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La concettualizzazione cognitivo-comportamentale del caso: Il modello LIBET – Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion

Report dal Congresso 3G 2017: Mindfulness, Acceptance, Compassion: nuove dimensioni di relazione.

Di Alessia Incerti, Giovanni Mansueto

Pubblicato il 28 Mar. 2017

Aggiornato il 08 Lug. 2019 12:54

I° congresso italiano di confronto tra psicoterapie cognitivo-comportamentali di terza generazione:

Mindfulness, Acceptance, Compassion: nuove dimensioni di relazione

a cura di Alessia Incerti & Giovanni Mansueto

 

Nuovi processi e vecchi contenuti per la concetualizzazione cognitivo-comportamentale del caso: Il modello Libet

(life teme and plans implications of biased beliefs: elicitation and a treatment)

Sandra Sassaroli – Giovanni Maria Ruggiero – Gabriele Caselli

 

Milano, 23 Marzo 2017

In apertura l’intervento di Giovanni Ruggiero presenta una dettagliata e attenta analisi critica dell’evoluzione storica della psicoterapia cognitiva e comportamentale mettendo in evidenza il graduale spostamento di focus dai contenuti, ai processi e alle metacognizioni.

Si parte dalla descrizione del modello cognitivo clinico standard proposto da Beck (1962) il quale sembra rappresentare una frattura strutturalista rispetto al funzionalismo comportamentista favorendo una semplificazione teorica in cui le credenze sono considerate come strutture gerarchicamente organizzate relative all’area del sé: self-belief. Ruggiero sottolinea alcuni aspetti che possono aver favorito il successo del modello di Beck:

  • Una maggiore livello di comprensibilità per la mentalità “strutturalista” del clinico medio;
  • Modello più fruibile dai clinici in quanto consente di individuare semplici self-belief facilmente operazionalizzabili;
  • L’adozione da parte di Beck del sistema diagnostico della psichiatria (DSM), rendendo testabile l’efficacia del modello.

Negli anni ’80 si riscontra una netta affermazione del modello CBT: creazione di protocolli di terapia cognitiva modellati sul lavoro di Beck per il trattamento dei disturbi d’ansia (disturbo di panico, fobia sociale, il disturbo post-traumatico da stress, disturbo ossessivo-compulsivo) e disturbi alimentari. Nel 2004 la CBT standard entra nelle linee guida NICE del sistema sanitario inglese come trattamento di elezione per ansia e depressione. In tale direzione nel 2007 sempre in Inghilterra il programma IAPT (Improving Access to Psychological Therapies) rafforza ulteriormente il rilievo della CBT.

La concettualizzazione cognitivo-comportamentale del caso Il modello LIBET - Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion 1

Giovanni Maria Ruggiero, Sandra Sassaroli, Gabriele Caselli

 

Dalla modificazione delle self-beliefs alle disfunzioni di processo

La svolta processualista porta a uno spostamento del focus in cui  il cambiamento terapeutico non è legato alla modificazione diretta delle self-beliefs, come teorizzato da Beck, ma sembra essere per lo più legato all’azione centrata sulle disfunzioni di processo (funzione).

In tale contesto i modelli processualisti possono distinguersi in modelli che agiscono sulle funzioni di pensiero attraverso approccio Bottom-up e Top-down.

Nell’approccio Bottom-up sembra essere accentuata prevalentemente la componente esperienziale. In tale approccio possiamo ritrovare i contributi teorici dell’ Acceptance and Commitement Therapy, Schema Therapy, Metacognitive and Intepersonal Therapy, Sensorimotor Psychotherapy, Eye Movement Desensitization and Reprocessing.

Diversamente nell’approccio top-down appare evidente il ruolo attivo delle rappresentazioni metacognitive. Nella Metacognitive Therapy la funzione metacognitiva è definita come gestione della funzione attentiva: attenzione e metacognizione sono ritenute il “collo di bottiglia” (bottleneck) strategico sul quale agire in terapia. Tale svolta metacognitiva porta a considerare lo stato di malessere legato per lo più all’uso errato di una funzione, l’attenzione.

Tale prospettiva, quindi, orienta il lavoro del clinico verso azioni terapeutiche volte a incrementare il livello di consapevolezza del funzionamento delle funzioni volontarie di controllo cognitivo e di selezione attentiva dell’informazione.

In chiusura Ruggiero invita a riflettere su sui seguenti punti:

  • la svolta processualista potrebbe ostacolare la comunicazione tra i clinici dal momento in cui sembra evidente una propensione a concettualizzare e raccontare il caso in termini narrativi della storia più che in termini di funzioni;
  • riflettere sulla necessità di considerare modelli di concettualizzazione funzionalista del caso, compatibili con la mentalità narrativa dei clinici che contengano sia le basi evolutive delle esperienze dolorose (che hanno reso gli individui emotivamente vulnerabili) sia i  processi mentali in cui i pazienti tendono a ingaggiarsi considerandole, sulla base di credenze metacognitive disfunzionali, funzionali o incontrollabili.

 

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO LE IMMAGINI DAL CONVEGNO

La concettualizzazione cognitivo-comportamentale del caso Il modello LIBET - Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion 2

 

La concettualizzazione cognitivo-comportamentale del caso Il modello LIBET - Report dal congresso Mindfulness, Acceptance, Compassion 3

 

Il ruolo della storia evolutiva del paziente

Sandra Sassaroli, nel suo intervento, racconta attraverso la propria storia di clinico e ricercatore i modelli che hanno costruito la storia del cognitivismo clinico e come siamo giunti alla terza generazione.

Nella tradizione cognitivista italiana c’è sempre stata una grande attenzione a come alcune esperienze di vita importanti orientano i comportamenti tardivi, la dottoressa Sassaroli ricorda come il suo incontro con J. Bowlby ha stimolato la sua attenzione allo studio della relazione tra pattern di attaccamento e psicopatologia.

Tuttavia non è sempre il momento di trattare la storia evolutiva del paziente ma non è neanche sempre il momento di trattare i processi di funzionamento del paziente stesso o il contenuto dei suoi processi stessi.

Quale potrebbe essere un modello ideale che spieghi il funzionamento di un paziente ? Quale modello per concettualizzare il caso, per formulare il piano terapeutico, per orientare la supervisione e la formazione personale degli stessi terapeuti?

Il valore euristico dei modelli psicopatologici centrati sui contenuti di pensiero è indispensabile per la condivisione tra specialisti e per creare un linguaggio scientifico comune per capire il paziente stesso. “Ma possiamo riferirci ad un modello più completo?

 

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO LE IMMAGINI DAL CONVEGNO

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Il modello Libet

LIBET (life theme and plans implications of biased beliefs: elicitation and a treatment) è l’acronimo del modello concettualizzato dal gruppo di Studi Cognitivi coordinato dalla dottoressa Sassaroli. Il modello Libet è un modello attenzionale, metacognitivo ed evolutivo, spiegano gli autori.

Il modello descrive la sofferenza secondo due coordinate: i temi e i piani.

 

Il tema nel modello Libet

E’ uno stato mentale doloroso emotivamente intenso, evolutivamente appreso nella storia di vita personale, rigido, inflessibile e giudicato intollerabile.

Come ha spiegato Gabriele Caselli dall’analisi del campione di interviste cliniche, fino ad oggi condotte, sono stati individuati tre temi dolorosi distinti.

Il primo tema è detto della “minaccia terrifica”. Deriva da esperienze traumatiche, in un clima in cui il soggetto ha vissuto i genitori come pericolosi ed ha provato spesso un senso di minaccia al senso di sicurezza.

Un altro tema, individuato dagli autori, è denominato del disamore/ inadeguatezza. Deriva da Esperienza di genitori “freddi”, distanti che non ascoltano e emotivamente distanzianti; o dalla relazione con genitori presenti ma che non hanno fornito modelli per affrontare il mondo, perché inadeguati o iperprotettivi.

Infine vi è il tema d’indegnità personale. Esso deriva dall’esperienza di relazione con genitori frustranti e critici: direttamente criticisti o indirettamente attraverso l’obbligo a regole rigide di prestazione.

E’ interessante comprendere, spiega Sandra Sassaroli, come una persona gestisce il proprio tema doloroso.

Attraverso piani semi-funzionali, ovvero strategie che hanno funzionato e che hanno in parte permesso ad un ritorno alla dimensione di sicurezza.

 

I piani nel modello Libet

Vi sono tre piani teorizzati dal modello Libet:

  • Prudenziale “non penso ai temi dolorosi, li evito e non esploro”.
  • Prescrittivo : “monitoro la minaccia, mi sforzo di prevenirla con comportamenti rigidi e di ipercontrollo”.
  • Immunizzante: “ignoro la minaccia e mi sforzo di tenere una stato desiderato , la ricerca di un’ alternativa estrema”.

Ad oggi non abbiamo ipotizzato, spiega Sandra Sassaroli rapporti univoci tra piani e temi, non c’è un tema che è gestito da un unico piano. E’ importante porre attenzione ai processi mediante i quali i piani si rompono, ovvero: come mai ad un certo punto non funzionano?

Gli autori individuano due modalità secondo le quali un piano si può rompere:

  • Per esaurimento: a causa degli alti costi di mantenere il piano attivo (es. “a forza di stare solo, la mia vita perde senso”)
  • Per invalidazione: ad esempio un piano prudenziale può essere invalidato quando la realtà pone delle imposizioni inevitabili che impediscono ritiro o fuga; o ancora il piano prescrittivo può essere invalidato dalla frustrazione del piano ideale imposta dalla realtà;

Mentre il piano immunizzante è invalidato dall’insight: “è la quarta volta che questa settimana ho picchiato mia moglie perché ho sentito la minaccia di essere abbandonato”.

Caselli illustra, gli effetti dell’irrigidimento del piano a cui consegue l’ irrigidirsi di tutto il funzionamento della persona stessa producendo una nuova sofferenza psicologica: “la mia paranoia mi lascia da solo”.

Vi possono essere dei casi in cui il piano semi adattivo funziona: un piano di dipendenza affettiva da una persona che protegge sempre. Può poi esserci una cristallizzazione su un piano, non è detto che questo non abbia svantaggi e costi: “sono protetta, al sicuro ma non esploro”.

Tutti noi abbiamo temi dolorosi e siamo più sensibili a certi stati emotivi e tendiamo a rispondervi con determinate strategie e comportamenti (piani).

Il modello Libet aiuta a comprendere come dalla propria storia evolutiva e dalla sensibilità personale si giunge alla psicopatologia.

L’intervento sul piano mira all’aumento della flessibilità psicologica ed alla costruzione di alternative;  l’intervento sul tema è in linea con l’accettaptance and committment.

L’intervento degli autori si conclude con le direzioni future del gruppo di lavoro Libet.

Il tema doloroso è davvero l’unico libro che ciascuno di noi può scrivere.”

Sandra Sassaroli

 

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Alessia Incerti
Alessia Incerti

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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