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Westworld: la funzione del dolore e la nascita della coscienza

Westworld è una serie tv che ha come protagonisti degli androidi simili agli umani e tratta i temi psicologici del dolore e della nascita della coscienza.

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 01 Feb. 2017

Westworld è una serie TV uscita nel 2016 per la HBO creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy che ha riscosso un grande successo, collocandosi in vetta alle serie TV più seguite tra quelle debuttanti per la HBO. Il sottotitolo della serie recita “Dove tutto è concesso”, e già questo dovrebbe metterci nel giusto mood.

 

Westworld: la trama

La trama di Westworld, molto intricata, in realtà si può riassumere in un modo molto semplice: Westworld è il nome di un parco a tema che gli utenti paganti visitano per vivere avventure a sfondo western con la possibilità di fare più o meno tutto quello che vogliono (“Dove tutto è concesso”, appunto). Cosa rende speciale questa esperienza? La presenza di esseri androidi, chiamati “residenti”, che assomigliano in tutto e per tutto agli esseri umani, ma che una volta uccisi possono essere sistemati e rigenerati per prendere parte a una nuova avventura. Quindi, visto dalla parte degli umani sembrerebbe trattarsi di una realtà virtuale incarnata, dove poter ferire e uccidere senza alcuna conseguenza morale o legale.

Visto dalla parte dei residenti, ammesso che si possa parlare di una parte, dal momento in cui si presuppone che questi siano “solo” dei sofisticatissimi robot, si tratta di una sorta di Truman Show perenne, in cui con tempi più o meno lunghi, ci si ritrova all’interno delle stesse fila narrative e della stessa trama, senza mantenere mai memoria di quanto successo in precedenza. Sì, perché con la rigenerazione post-mortem i residenti vengono anche inizializzati: resettati e reinseriti nel ruolo che è stato stabilito per il loro personaggio.

 

Il legame tra Westworld e la psicologia

Cosa c’entra questa cosa con la psicologia? Di nuovo, vista dalla parte degli umani, vediamo delle persone che con la consapevolezza di trovarsi in un mondo parallelo abitato da macchine non si fanno scrupoli a dare sfogo al peggio di sé, aiutati anche dalla propria inattaccabilità (per loro è impossibile morire per mano degli androidi). E a questo riguardo potremmo parlare di quello che Zimbardo ha chiamato “Effetto Lucifero”, cioè di quanto il ribaltamento delle regole condivise dal gruppo possa portare a condotte altamente devianti anche se non richieste e non necessarie (ricordiamo, per esempio, l’esperimento carcerario di Stanford).

Ma la cosa più interessante riguarda, ovviamente, i residenti. Dunque, abbiamo detto che i residenti sono in sostanza robot androidi costruiti con materiali che li rendono in tutto e per tutto assimilabili a esseri umani. Il sistema operativo è stato nel corso degli anni aggiornato a versioni sempre più somiglianti al “sistema operativo” umano, e nella quotidianità gli androidi si muovono su trame più o meno predefinite, mantenendo tuttavia una quantità di improvvisazione possibile, al fine di rendere l’andamento delle storie meno meccanico.

A un certo punto il costruttore aggiunge quelle che vengono chiamate “ricordanze”, che sono in sostanza nuove classi di gesti relativi all’espressione emotiva che rendono i residenti ancora più simili agli esseri umani, ed è qui che succede qualcosa di imprevisto. Succede che la memoria si fissa, che il resettaggio a fine corsa degli androidi non è più possibile per intero, perché proprio a partire dalla memoria legata alle emozioni e non più solo ai fatti gli androidi iniziano a sviluppare una sorta di coscienza. Su questo piccolo effetto collaterale vengono proposte le riflessioni più interessanti, da un punto di vista psicologico, dal costruttore di tutto il parco, interpretato da Anthony Hopkins.

 

Il dolore, il dialogo interno e la nascita della coscienza in Westworld

Come nasce la coscienza negli androidi? Da un punto di vista percettivo, si inizia a parlare di coscienza quando gli androidi passano dal percepire le riflessioni come istruzioni dettate dalla voce del loro costruttore a percepirle nella propria testa dettate da una propria voce, cioè sotto forma di dialogo interno. La coscienza, poi, fa confusione. I personaggi, inizialmente pensati per recitare un proprio copione, iniziano ad avere del flashback e del flash-forward, confondendo il passato con il presente e in sostanza ricordando. Il dialogo più bello a riguardo è quello tra il costruttore e uno dei personaggi, nella penultima puntata della prima stagione. Anthony Hopkins parla di pena, noi potremmo forse parlare di dolore, e dice che [blockquote style=”1″]le creature spesso arrivano agli estremi per proteggere se stessi dalla pena.[/blockquote] Nel momento in cui uno dei residenti si trova a riflettere sulla condotta dei residenti stessi (in una sorta di funzione riflessiva, di consapevolezza di sé a cui accediamo tutti ogni qual volta ragioniamo su noi stessi), il residente si blocca e non riesce a formulare più nessun pensiero. Il costruttore allora gli spiega che “questo accade quando cerchi risposte a domande che è meglio non formulare”, e apre il parallelismo con quello che succede anche nella coscienza umana.

Tornando sul dolore, e cercando di non fare troppo spoiling, quando Anthony Hopkins spiega la trama fondante dei singoli personaggi ci dà uno squarcio molto bello sulla funzione del dolore, dicendoci che nel dare ai residenti un antefatto (una memoria portante dicono loro; un passato o una storia di vita diremmo noi), quelli tragici sembrano funzionare meglio: rendono i personaggi più convincenti. Il dolore avvicina quindi i residenti agli uomini, li rende ancora di più a loro immagine e somiglianza. Infine, sulla funzione del dolore il residente si riferisce alla perdita di una persona cara e rivolto a questa persona dice [blockquote style=”1″]la pena per la tua perdita la desidero, la rivivo, la rievoco ancora e ancora, è l’unica cosa che mi trattiene.[/blockquote]

Allora, se la coscienza è quella cosa che parla a noi stessi di noi stessi con la nostra stessa voce, il dolore sembra essere quella cosa che trattiene le nostre stesse parti, che ci dà memoria storica e ci consente in questo modo di avere un’integrazione nel tempo e una continuità, appunto, nella coscienza. Il dolore, poi, ci consente di crescere e di diventare più esperti, come fossimo versioni sempre più elaborate di noi stessi, fino a renderci persone diverse da quelle che eravamo in partenza. Anche T.S. Eliot sottolineava questa ciclicità dell’esperienza, che come nella vita sempre uguale dei residenti ci porta continuamente al punto di partenza, trovandoci però a fare i conti con un’esperienza identica e allo stesso tempo radicalmente diversa: nel frattempo siamo cambiati noi. Riprendendo le parole del poeta,

[blockquote style=”1″]Alla fine della nostra esperienza arriveremo al punto di partenza e conosceremo quel posto per la prima volta.[/blockquote]

 

Westworld, TRAILER:

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SCRITTO DA
Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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