Lo psicoterapeuta scopre di applicare una doppia morale, forse l’unica praticabile. Nel suo studio inizia la cura spiegando ai pazienti che non devono accusarsi delle loro passate azioni fallaci: non avevano consapevolezza delle motivazioni che li guidavano, nè controllo sui propri affetti. La responsabilità, in terapia, è la meta cui arrivare. Lo stesso non possiamo affermare se chiamati a far da periti in tribunale.
L’articolo è stato pubblicato da Giancarlo Dimaggio sul Corriere della Sera del 27 novembre 2016
Il caso di Carlos Cienfuegos
Carlos Cienfuegos, studente cileno, entra nella camera della Pensione Dienesen il 6 marzo 1915. Lo scopo: alla sua amante, la contessa Bianca Hamilton, vuol fare una sorpresa. Ne riceve una: una lettera d’amore, ma non indirizzata a lui. Decide di uccidersi. Sopraggiunge la contessa. Che succede? Certo è che spara tre colpi a lei e poi uno a sé, al quale per caso sopravvive. Forse hanno fatto l’amore un’ultima volta, forse perché lei, terrorizzata, voleva placarlo.
L’avvocato difensore di Cienfuegos era Enrico Ferri, criminologo di opinioni mutevoli e d’innegabile abilità: Cienfuegos agì eclissato da una vertigine. Il delitto quasi giustificato a fronte del degrado morale della contessa. Cinque anni e otto mesi sarà la condanna di Cienfuegos. Lo stesso Ferri, collega di Lombroso, era esponente illustre della Scuola Positiva, il tentativo italiano di introdurre l’antropologia nella giurisprudenza.
Nel resoconto di Emilia Musumeci (Emozioni, Crimine, Giustizia. Franco Angeli, pp. 256, €32), Ferri contribuisce a distinguere tra delitti mossi da passioni sociali e antisociali. Il crimine spinto dall’aberrazione di una passione morale, l’amore, la giustizia, non sarebbe punibile. Quello nato da una pulsione antisociale sì. La giurisprudenza si piega sempre alla prassi nell’aula. Ferri aveva sostenuto che il delitto passionale non nasca dall’amore ma dall’“egoismo possessorio”. Nel difendere Cienfuegos sosterrà il contrario e l’avrà vinta. Un altro delinquente passionale salvato.
La Scuola Classica, riassume Musumeci, sosteneva il contrario: il centro è il crimine commesso, non il soggetto agente, non l’emozione. Musumeci si schiera: non esiste un diritto che escluda l’influenza delle emozioni.
Come gestire le emozioni criminali e i precedenti penali in psicoterapia
Lo psicoterapeuta scopre di applicare una doppia morale, forse l’unica praticabile. Nel suo studio inizia la cura spiegando ai pazienti che non devono accusarsi delle loro passate azioni fallaci: non avevano consapevolezza delle motivazioni che li guidavano, nè controllo sui propri affetti. La responsabilità, in terapia, è la meta cui arrivare. Lo stesso non possiamo affermare se chiamati a far da periti in tribunale. Dobbiamo essere severi, lasciare l’irresponsabilità delle proprie azioni a chi non è capace di intendere e volere. Due pesi e due misure e io non ho trovato una soluzione migliore a questo dilemma.
Più agevole è raccogliere l’eredità della Scuola Positiva nella pratica riabilitativa. Per i delinquenti a sangue freddo ci si rassegni. Per i delinquenti passionali si può fare molto. Con i colleghi Robert Schweitzer e Dave Misso della Queensland University of Technology di Brisbane stiamo lavorando a un modello di terapia per i perpetratori di violenza domestica. L’obiettivo è farli accedere al senso di vulnerabilità precedente all’esplosione di rabbia che è diventata aggressione. E curare quella ferita. Se si riesce a farlo, si guadagnano un uomo restituito alla società e una vittima in meno all’uscita dal carcere.