Negli ultimi anni si è avvertita l’esigenza di sviluppare modelli psicologici volti a prevedere e spiegare il comportamento di acquisto collocandolo in un più ampio sistema di credenze, valori, norme, atteggiamenti e conoscenze condivise. In tale ambito hanno dominato due modelli fondati sull’assunzione di razionalità dell’attore/consumatore: la teoria dell’azione ragionata e la teoria del comportamento pianificato.
Serena Marinari, Open School Scuola Cognitiva di Firenze
Psicologia e marketing: come spiegare il comportamento dei consumatori
La psicologia è la scienza più spesso chiamata in causa per spiegare il comportamento del consumatore. La disciplina economica e il marketing si sono tradizionalmente rivolte ad essa – sia pure con una certa dose di diffidenza, attenuata soltanto dalla spiccata simpatia verso la psicologia comportamentista – per esaminare quegli aspetti del consumo che gli strumenti di ricerca a disposizione si mostravano sempre più inadeguati ad indagare (Fabris, 1970). La crescente disponibilità di alternative di consumo fra cui scegliere ed una presunta maggiore “irrazionalità” del consumatore – dissonante rispetto ai criteri economici dell’utilità e della funzionalità – hanno ulteriormente sollecitato, in tempi più recenti, dapprima attenzione e successivamente attesa verso il contributo psicologico, per cui si riteneva che lo psicologo fosse l’unico in grado di studiare proficuamente il comportamento del consumatore (Fabris, 1970).
Il settore su cui, nel corso degli anni, è stato rivolto maggiore interesse è rappresentato dalle motivazioni del consumatore, ma queste non rappresentano che un aspetto del suo comportamento e non possono essere comprese se non inserite nel contesto sociale in cui l’individuo é immerso, di cui è attivamente partecipe e che profondamente influenza le sue azioni. Le motivazioni di consumo, infatti, sono espressione di impulsi e bisogni che si formano a livello individuale ma che hanno anche la loro genesi nel sociale, in quanto plasmate dai processi di apprendimento e di socializzazione e mediate dai processi cognitivi (Fabris, 1970).
All’origine di qualsiasi comportamento c’è uno stato di bisogno che può essere interno all’individuo, e presentarsi sotto forma di deficienza organica o di privazione reale o percepita come tale dal soggetto, oppure essere sollecitato da stimoli ambientali, come ad esempio l’esposizione ad un cartellone pubblicitario (Fabris, 1970).
Le diverse scuole psicologiche hanno proposto una serie di classificazioni dei bisogni, che risultano però largamente insoddisfacenti perché incomplete o troppo generiche (Sirigatti, 1995). I progetti di ricerca devono tendere ad individuare le motivazioni alla base di certi modelli di consumo che intervengono nel processo di formazione di specifiche decisioni di acquisto, piuttosto che tendere a formulare delle categorie astratte o ad individuare “la motivazione” che determina il comportamento del consumatore (Fabris, 1970).
Modelli psicologici della previsione del comportamento: la teoria dell’azione ragionata e la teoria del comportamento pianificato
Negli ultimi anni si è avvertita l’esigenza di sviluppare modelli psicologici volti a prevedere e spiegare il comportamento di acquisto collocandolo in un più ampio sistema di credenze, valori, norme, atteggiamenti e conoscenze condivise. In tale ambito hanno dominato due modelli fondati sull’assunzione di razionalità dell’attore/consumatore: quello dell’azione ragionata e quello del comportamento pianificato.
La Teoria dell’Azione Ragionata (TRA – Theory of Reasoned Action), sviluppata da Fishbein e Ajzen (1975; Ajzen e Fishbein, 1980) assume che il comportamento sia determinato dall’intenzione, definita in termini di probabilità soggettiva, che un individuo esegua una particolare azione, come ad esempio l’acquisto di un prodotto. L’intenzione, a sua volta, sarebbe determinata dall’atteggiamento – favorevole o meno – verso lo specifico comportamento e dalla norma soggettiva, intesa come la percezione da parte dell’individuo di quanto l’adozione del comportamento sia approvato o disapprovato da specifiche persone o gruppi di riferimento.
Il modello assume, inoltre, che gli atteggiamenti verso il comportamento dipendano dalle credenze relative alle conseguenze, in termini di costi-benefici, dell’adozione del comportamento stesso (credenze comportamentali), nonché dalla valutazione di ognuna di tali conseguenze. Analogamente, le norme soggettive sono considerate funzione della percezione della pressione normativa (credenze normative), nonché della motivazione ad agire in conformità con le aspettative dei gruppi di riferimento.
Con la Teoria del Comportamento Pianificato (TPB – Theory of Planned Behavior), Ajzen e Madden hanno introdotto un nuovo previsore delle intenzioni e del comportamento: il controllo comportamentale percepito, definito come ” la credenza di una persona di quanto facile o difficile è probabile che sia l’esecuzione del comportamento” (Ajzen e Madden, 1986). Tale costrutto è molto vicino nel significato alla nozione di self-efficacy di Bandura (1977), ossia la fiducia di un individuo di essere in grado di eseguire un particolare comportamento. Differisce invece dal concetto di locus of control (Rotter, 1966), in quanto, mentre quest’ultimo rappresenta un’aspettativa generale che rimane stabile nelle diverse situazioni, il controllo percepito varia da situazione a situazione.
Analogamente agli atteggiamenti e alle norme soggettive, il controllo comportamentale percepito è funzione delle credenze di controllo, che rappresentano la stima soggettiva della possibilità di accedere alle risorse e alle opportunità necessarie all’esecuzione del comportamento; esse si basano, in piccola parte, sul comportamento passato, mentre, in misura maggiore, su informazioni indirette e su esperienze di amici e conoscenti (Ajzen e Madden, 1986).
Ajzen e Madden (1986) hanno proposto due versioni del loro modello: la prima si basa sull’assunto che il controllo comportamentale percepito abbia un effetto indipendente sulle intenzioni, nel senso che ci si aspetta che l’intenzione riguardo ad un comportamento si formi soltanto quando la persona crede di avere i mezzi per eseguire il comportamento stesso; la seconda considera anche la possibilità di un’influenza diretta del controllo percepito sul comportamento, che può essere prevista soltanto quando si ipotizza che il controllo comportamentale percepito funzioni come un parziale sostituto per il controllo effettivo sui fattori interni ed esterni che potrebbero interferire con l’esecuzione del comportamento. Quindi, il path diretto dal controllo comportamentale percepito al comportamento rappresenta una determinazione non volitiva dell’azione.
Sempre più numerose ricerche supportano la teoria del comportamento pianificato; le principali verifiche sono state eseguite sull’obiettivo da parte di studenti universitari di conseguire il voto massimo (Ajzen e Madden, 1986) e su quello di perdere peso (Schifter e Ajzen, 1985). In entrambi i domini si è potuto constatare che il costrutto del controllo comportamentale percepito aumentava il potere di previsione del modello originario di Ajzen e Fishbein (1980).
Prodotti alimentari biologici e comportamenti di acquisto: presentazione di una ricerca qualitativa
A partire dal successo ottenuto dalla applicazione della Teoria del comportamento pianificato nei diversi ambiti, in particolare per spiegare e predire i comportamenti di acquisto (Caprara, Barbaranelli e Guido, 1998), si intende presentare una ricerca svolta per una tesi di laurea in Psicologia degli Atteggiamenti e delle Opinioni presso la Facoltà di Psicologia di Firenze (Marinari, 2004). Tale studio ha preso in considerazione un argomento ancora oggi molto attuale: l’acquisto di prodotti alimentari biologici, ossia quei prodotti ottenuti senza l’impiego di concimi chimici, antiparassitari o diserbanti e certificati da parte di uno degli organismi preposti per legge a tale funzione (Regolamento CEE/n. 2092/91). (Fig. 3)
L’obiettivo è quello di verificare se e in che misura le intenzioni di acquisto di prodotti “bio” siano influenzate dalle norme soggettive, dal controllo comportamentale percepito e da variabili che, in precedenti studi, avevano dimostrato di aumentare la predittività del modello: il comportamento passato (Fredricks e Dossett, 1983; Caprara, Barbaranelli e Guido, 1998), la soddisfazione relativa a precedenti acquisti (Pierro, Mannetti e Feliziola, 1998; 1999) ed il desiderio (Bagozzi, 1999), facendo riferimento alla teoria del comportamento pianificato.
Il campione utilizzato, reclutato all’interno di residenze universitarie, convitti e luoghi adibiti allo studio, è composto da 135 studenti universitari (51% femmine e 49% maschi) ed ha una età media di 25,08 anni (DS=3,13): il 74% è rappresentato dai consumatori di prodotti alimentari biologici, che in base alla frequenza dell’acquisto si dividono in abituali ed occasionali, mentre il restante 26% è rappresentato dai non consumatori.
Ad essi è stato somministrato un questionario costruito appositamente per la presente ricerca sulla base della Teoria del comportamento pianificato, composto da items che misurano i costrutti considerati nel modello e le variabili aggiuntive.
Per verificare gli obiettivi della ricerca, sono state eseguite due regressioni multiple: una al fine di analizzare quanto i valori dell’intenzione di acquisto dipendano o siano determinati dai valori del controllo comportamentale percepito, delle norme soggettive e del desiderio; l’altra per esaminare se l’intenzione, nei consumatori occasionali, possa essere predetta, oltre che dalle variabili indipendenti sopra menzionate, anche dal comportamento passato e dalla soddisfazione derivata da precedenti acquisti, come emerso in numerose ricerche.
Risultati e discussione: la teoria del comportamento pianificato per spiegare l’acquisto di prodotti bio
Dall’ analisi delle risposte del questionario definito sulla base della teoria del comportamento pianificato è emerso che le credenze comportamentali dei consumatori nei confronti dell’acquisto risultano essere qualità, sicurezza e rispetto per l’ambiente, per quanto riguarda i vantaggi; costi elevati e difficile reperimento, per quanto concerne gli svantaggi.
Anche per i non consumatori le credenze comportamentali relative ai vantaggi di un ipotetico acquisto sono la qualità, la sicurezza e il rispetto per l’ambiente, con l’unica differenza che alla sicurezza viene riconosciuta un’importanza maggiore. Gli svantaggi riportati sono i costi elevati e le scarse garanzie di controllo, a testimonianza di una maggiore diffidenza verso questi prodotti e della limitata conoscenza delle normative europee che regolano l’agricoltura biologica.
La riduzione dei prezzi ed una distribuzione più capillare sul mercato sono risultati essere i principali fattori in grado di facilitare l’acquisto di tali prodotti. È emerso, inoltre, il bisogno di una maggiore informazione che permetta una conoscenza più approfondita di tali prodotti e di una maggiore attrattività delle confezioni, che potrebbe invogliare all’acquisto anche i non consumatori. Il fattore che ostacola in modo determinante l’acquisto risulta essere ancora una volta il prezzo, probabilmente perché il campione considerato è costituito da studenti universitari, soprattutto fuori sede.
Questo risultato sembra essere confermato anche dall’atteggiamento nei confronti dell’acquisto, in cui l’aggettivo “dispendioso” è risultato essere quello più adatto a definire l’acquisto stesso, assieme a “maturo” e “attento”.
Relativamente alle credenze normative, da un’analisi delle medie delle risposte dei soggetti, è emerso che i referenti che approverebbero maggiormente l’acquisto sono risultati essere i genitori, oltre al partner (nel caso dei consumatori) e ad altri parenti (per i non consumatori). I consumatori attribuiscono ai genitori ed al partner anche una più elevata importanza circa le loro opinioni, indice di una maggiore motivazione a conformarsi a quello che tali referenti pensano dell’acquisto. Questi risultati sembrano confermare quanto emerso nell’indagine di Zani e Cicognani (1998) che attribuiscono alle norme soggettive, soprattutto quelle relative a genitori e partner, un importante peso nel predire le intenzioni. Per quanto riguarda i non consumatori, invece, nessun referente sembra avere importanza nell’eventuale scelta di acquistare prodotti “bio”.
L’intenzione di acquisto, considerata sia in termini di probabilità di avere l’intenzione di acquistare che come probabilità di compiere effettivamente l’acquisto, risulta dunque essere determinata dalle norme soggettive, soprattutto quelle riguardanti la percezione dell’opinione dei referenti e dal controllo comportamentale relativo alla facilità di acquisto.
I dati ottenuti con le regressioni hanno messo in evidenza il maggiore potere predittivo delle norme soggettive rispetto al controllo comportamentale. Oltre a queste variabili, però, sembra importante il ruolo svolto dal desiderio di effettuare l’acquisto, che presenta il coefficiente più alto. Ciò confermerebbe quanto sostenuto dalla teoria della regolazione di sé, secondo cui i desideri, con il loro carico motivazionale, influenzerebbero le intenzioni (Bagozzi, 1999).
Il comportamento passato non risulta essere una variabile significativa nel predire le intenzioni di acquisto. Infatti, l’avere acquistato in precedenza prodotti alimentari biologici sembra non esercitare alcuna influenza né sulla probabilità di avere l’intenzione di acquistarli né su quella di acquistarli successivamente, a differenza di quanto emerso dagli studi di Caprara, Barbaranelli e Guido (1998).
Anche la soddisfazione risulta essere uno scarso predittore sia della probabilità di avere l’intenzione di acquistare sia della probabilità di compiere effettivamente l’acquisto, contrariamente ai risultati ottenuti dalle ricerche di Pierro, Mannetti e Feliziola (1998, 1999).
Bisogna, comunque, tenere presente che i risultati ottenuti dall’analisi delle regressioni multiple dell’intenzione sul comportamento passato e sulla soddisfazione sono parziali in quanto riguardano solo una piccola parte del campione oggetto di studio.
Il potere predittivo della Teoria del comportamento pianificato sembra essere confermata dai risultati ottenuti dall’analisi statistica.
Conclusioni
Nell’ambito della letteratura, la teoria del comportamento pianificato non è mai stata applicata al comportamento di acquisto di prodotti alimentari biologici, un campo che risulta essere ancora inesplorato. L’indagine presentata si limita ad esaminare le intenzioni di acquisto di un campione di studenti universitari ma sarebbe interessante includere, in ricerche future, un target più ampio che comprenda diverse fasce di età. Come è emerso in numerosi studi svolti soprattutto in Europa, infatti, l’acquisto di prodotti “bio” è maggiormente diffuso in famiglie con bambini, a testimonianza dell’importanza del loro aspetto salutistico. In tal senso, l’atto dell’acquisto si può leggere come un fattore di rassicurazione psicologica per i genitori, più attenti al rapporto tra alimentazione e salute dei loro figli.
Inoltre, coerentemente con i suggerimenti delineati da Bagozzi (1999), si avverte la necessità di aumentare la predittività dei modelli di previsione dei comportamenti di acquisto, inserendo sia variabili emozionali che medino la relazione tra atteggiamento verso il prodotto ed intenzione di acquistarlo (desiderio), sia aspetti legati all’identità personale e sociale degli individui.
Nella ricerca presentata il desiderio ha rivestito un ruolo importante nel predire le intenzioni, soprattutto quelle riguardanti la probabilità di compiere effettivamente l’acquisto. Non è, invece, stata presa in considerazione l’identità, la cui rilevanza è stata testimoniata in diversi studi (Sparks e Guthrie, 1998; Rosengard, Adler, Gurvey, Dunlop, Tschann, Millstein e Ellen, 2001). Nell’indagine condotta da Bebetsos, Chroni e Theodorakis (2002), l’identità risultava essere, assieme all’atteggiamento ed alla percezione del controllo comportamentale, maggiormente correlata all’intenzione di mangiare in modo salubre da parte di studenti che praticavano attività fisica.
Alla luce delle credenze comportamentali emerse nella ricerca, un altro suggerimento potrebbe essere quello di costruire campagne pubblicitarie a favore dell’acquisto dei prodotti “bio”, basate su messaggi volti a sottolineare le conseguenze positive di tale acquisto, come la sicurezza per la salute o il rispetto per l’ambiente. Poiché i mass media rappresentano le maggiori fonti di influenza, come hanno dichiarato gli studenti del campione oggetto dello studio, questo potrebbe essere un modo per incentivare l’agricoltura biologica ed incrementarne lo sviluppo anche in Italia.