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Il cigno nero (2010). Un caso di psicopatologia nella danza – Recensione del film

Nel film Il cigno nero, il caso di Nina esprime alcune fragilità psicologiche che nella danza possono trovare un terreno fertile per aggravarsi.

Di Nicole Tornato

Pubblicato il 05 Dic. 2016

Protagonista del film Il cigno nero è Nina, una giovane ballerina di una nota compagnia americana, perennemente ostinata a raggiungere la perfezione in ogni piccolo dettaglio. Estremamente dotata dal punto di vista tecnico, la giovane si blocca quando è costretta a mostrare sensualità e sicurezza.

 

 

Il cigno nero: trama del film

Protagonista del film Il cigno nero è Nina, una giovane ballerina di una nota compagnia americana, perennemente ostinata a raggiungere la perfezione in ogni piccolo dettaglio.  Nonostante la fervente dedizione all’esercizio e al perfezionismo, la protagonista non possiede tutte le qualità di un’ineccepibile prima ballerina, tra cui la versatilità e la passione, fondamentali per assumere le personalità dei personaggi.

Estremamente dotata dal punto di vista tecnico e abile ad interpretare le parti in cui predominano la fragilità e l’inibizione, la giovane si blocca quando è costretta a mostrare sensualità e sicurezza, di conseguenza finisce per ripetere lo stesso copione, ma nel personaggio sbagliato.

Per questo motivo, agli occhi dell’esigente coreografo Leroy resta assolutamente inadeguata a ricoprire il ruolo di protagonista in uno dei balletti più complessi del repertorio classico: Il lago dei cigni. In tale frangente la difficoltà complessiva, infatti, non si posa solo sulle competenze tecniche, ma anche, e soprattutto, sulla malleabilità interpretativa.

La storia vede protagoniste due principesse, uguali nell’aspetto, ma dalla personalità antitetica; il cigno bianco, fragile e insicuro, il cigno nero, sensuale e coinvolgente, e spetterà alla prima ballerina interpretarli entrambi. Naturalmente, per sortire un effetto credibile, la finzione deve risultare verosimile e Nina è assolutamente troppo controllata e insicura per calarsi nei panni dell’affascinante e malvagia Odile, sosia e sostituta della principessa Odette creata dal perfido mago Rothbart  per ingannare il principe e consolidare la maledizione che costringerà la principessa a restare un cigno per l’eternità. Decisamente più affine alla delicata e debole Odette, Nina rivela fin da subito la fragilità psicologica che la accompagna dalla nascita.

 

Il rapporto della protagonista con la figura materna

Cresciuta con la madre che a soli 28 anni abbandona controvoglia la carriera da danzatrice per allevare da sé la figlioletta, Nina rimane l’eterna bambina della mamma che si dimostra estremamente disponibile e accudente nei suoi confronti, ma anche carica di rancore e odio per averla indotta, seppur involontariamente, nella condizione di commettere l’errore più grande della sua vita.

Giovane, ma pur sempre adulta, la protagonista de Il cigno nero non sembra aver realizzato una separazione- individuazione dal caregiver che amplifica e rafforza i tratti immaturi; la cameretta piena di giochi, i ritratti eseguiti compulsivamente, gli atteggiamenti invadenti e controllanti da un lato, inibiti e infantili dall’altro, la mancanza di rapporti sentimentali e sociali, sono alcuni degli elementi rilevanti nel rapporto tra Nina e la madre evidenziati con chiarezza ne Il cigno nero.

A tal proposito la ragazza appare un’estensione narcisistica dei bisogni materni: emblematica è la scena in cui la madre l’avverte sulle possibili avances del coreografo, che in passato gli sono costate l’interruzione del suo sogno nel cassetto, dichiarando apertamente il profondo odio nei confronti della figlia, condannata a pagare il prezzo della perfezione da raggiungere anche a costo della vita.

Il perfezionismo è quindi un modo per guadagnare le rassicurazioni esterne, ma anche un probabile “distrattore” dai bisogni di attaccamento: Nina evita i contatti sociali, amicali e sentimentali, l’allenamento è il suo chiodo fisso, fino a quando non basta più a raggiungere la completezza.

 

Tra perfezionismo e delirio

È allora che incontra la rivale Lily, una ballerina anticonformista, tatuata, fumatrice e ritardataria, ma proprio per questo ammirata dal coreografo che vede in lei il cigno nero, sensuale, coinvolgente e sicuro di sé. Imperfetta dal punto di vista tecnico, ma naturale, spontanea e imprecisamente interessante, Lily è sostanzialmente l’esatto opposto di Nina che, sempre più pressata dalle aspettative esterne e confusa sulle soluzioni per diventare la protagonista perfetta, comincia a maturare significativi deliri e allucinazioni a sfondo persecutorio.

Nella trama psicotica, Lily assume una forte valenza, proprio perché possiede i tasselli mancanti per interpretare entrambi i cigni: tuttavia, ogni tentativo di imitarla fallisce perché forzato dall’esterno e coadiuvato dalle sostanze. Nina è attratta dal carattere dell’amica che non teme il giudizio, né si preoccupa di rasentare la perfezione, perché la sua spontaneità è premiata anziché condannata. Lily è tutto ciò che Nina non è e non riesce ad essere per l’eccessivo bisogno di rassicurazioni, interne ed esterne; non è spontanea ma rigidamente ancorata agli standard e agli ideali irraggiungibili, alla necessità di definizione e di perfezione attraverso la minuziosa attenzione ad ogni dettaglio.

Nemmeno Leroy riesce a correggerla efficacemente e a contenere le sue paure, anzi, la istiga a spada tratta, fomentando i dubbi e le paure, forse per spronarla a tirare fuori quel lato di sé nascosto, ma presente. Il cigno nero, sensuale e coinvolgente, ma anche distruttivo e malato, è sempre stato in Nina, ma la riluttanza ad accettare quel lato oscuro di sé diventa un potente deterrente per l’insorgenza della psicosi.

In questo senso, i colleghi vengono visti come pericolosi complottisti che tramano per escluderla dal saggio finale, qualsiasi segnale diventa la conferma che la parte verrà affidata a Lily perché possiede le carte in regola per la protagonista perfetta; l’improvvisa uscita di scena di Beth, la precedente prima ballerina, gli apprezzamenti su Lily che diventa la protagonista “di riserva” nel caso Nina non fosse in forma per il debutto, assumono un significato abnorme e confermano le idee persecutorie di partenza.

Quello che sfugge alla protagonista è, in qualche modo, un principio sottolineato da Leroy: “La perfezione non è solo un problema di controllo, è necessario metterci il cuore. Sorprendi te stessa e sorprenderai chi ti guarda.”  Il coreografo cerca di migliorarla, di indurla ad accettare l’altra sé, il cigno nero, che ha visto in lei poco prima di annunciarla come protagonista. Leroy crede nelle risorse di Nina, ma la incoraggia nel senso sbagliato, prova a farle notare che quella parte è dentro di lei più di quanto immagini, ma le sue direttive sembrano più orientate su precetti che la ragazza interpreta alla lettera, e i confronti con le colleghe non si rivelano ottime strategie di miglioramento, anzi, peggiorano la sintomatologia fino a renderla aggressiva verso gli altri, e infine verso sé.

L’autolesionismo, che prima arrivava a qualche graffio sulla schiena, verso la fine del film sfocia nel suicidio: anche in questo momento, è interessante notare l’oscillazione tra la fantasia delirante e la realtà dei fatti. Nina è convinta di uccidere Lily, dopodiché si sente libera di scatenare il cigno nero, ma quando si confronta con la verità, ovvero che Lily è viva, intatta ed entusiasta per il successo dell’amica, è allora che realizza di non avere altri nemici oltre a se stessa, e ritorna la fragile e debole Odette che si congeda dal mondo dei vivi serafica, per aver raggiunto lo scopo della sua esistenza: essere perfetta.

 

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL TRAILER DEL FILM 

 

La psicopatologia e il malessere nella danza

Il film Il cigno nero è un ottimo punto di partenza per riflettere sulle possibili problematiche legate al mondo della danza. Il caso di Nina esprime alcune fragilità psicologiche che nella danza possono trovare un terreno fertile per aggravarsi; i confronti svilenti con le compagne, la comunicazione inefficace, l’assenza di supporto psicologico nella preparazione, la competizione e le pressioni esasperanti contribuiscono a peggiorare i sintomi fino al finale tragico.

In tal senso occorre considerare questi fattori di rischio trasversali a varie discipline; la danza, ad esempio, può essere un ottimo strumento terapeutico in grado di promuovere una consapevolezza di sé attraverso l’espressione emotiva intrisa nei movimenti corporei, proprio a questo proposito non devono mancare le strategie di insegnamento più indicate per indurre ogni allievo a raggiungere una coscienza dei pregi e dei difetti personali, al fine di accettarli o valorizzarli e migliorarli.

Nel caso di Nina, Leroy non spiega dettagliatamente il problema, bensì resta su un piano generalizzante, a tal punto che la ragazza in diverse occasioni ripete l’errore e chiede informazioni aggiuntive senza ottenere una risposta esaustiva.

Episodi analoghi accadono con elevata frequenza nel rapporto allievo-docente: spesso gli insegnanti danno per scontati alcuni passaggi o la spontaneità dei gesti, ostinandosi sul proprio punto di vista. Il rischio è quindi di esacerbare un circolo vizioso di incomprensioni, senza la possibilità di focalizzarsi costruttivamente sul problema per risolverlo.

Un altro errore ricorrente è il confronto con gli altri, o addirittura la valorizzazione di un singolo allievo: prendere un soggetto isolatamente come un esempio per eseguire correttamente un esercizio, non si dimostra un mezzo efficace per ottenere un miglioramento, anzi rafforza la competizione tra i compagni evitando la possibilità di intervenire sulle carenze.

È importante trasmettere la motivazione nelle giuste modalità, manifestando empatia e disponibilità ad aiutare ad affrontare il nodo problematico: ad esempio, comunicare la complessità dell’esercizio o dell’espressione delle emozioni in pubblico, specialmente per i principianti, ma anche l’importanza di esercitare le carenze, o in casi estremi, di accettarle come limiti delle proprie capacità può rivelarsi efficace.

Il perfezionismo, infine, non va confuso con la motivazione al cambiamento e al miglioramento delle prestazioni: è necessario distinguere l’esasperazione nel raggiungimento degli obiettivi ad ogni costo, dall’impegno consapevole dei limiti e delle potenzialità.

È opportuno precisare che il caso di Nina è, con molte probabilità, un tipico quadro di una schizofrenia per gli elementi ricorrenti in questa patologia psichiatrica; la famiglia controllante, ipercritica e intrusiva, con pochi contatti sociali, la prevalenza di schemi orientati sulla diffidenza, l’incapacità di coltivare rapporti intimi sentimentali e amicali. Come accade solitamente, la sintomatologia schizofrenica si scatena in seguito ad eventi dove le responsabilità e il carico di lavoro, o di studio, aumentano vertiginosamente, o ancora, quando compare una delusione affettiva.

Per quanto riguarda Nina, tra gli eventi di vita collegati con più frequenza all’esordio spiccano l’audizione per la parte principale del saggio e la conseguente assegnazione del ruolo. Non sono gli episodi presi isolatamente ad essere particolarmente stressanti, bensì l’interpretazione della protagonista che estremamente sensibile al giudizio esterno e alla realizzazione di una performance completa subisce un crollo psicologico quando le strategie utilizzate in precedenza si rivelano fallimentari. In tal senso è fondamentale prendere in considerazione il livello di gravità per un intervento su vari piani volti a ridurre il peggioramento della sintomatologia; ad un intervento psichiatrico e psicoterapico centrato sul paziente, vanno associati gli interventi psicologici rivolti ai famigliari, e la possibilità di un ricovero in fase acuta.

Infine, il film Il cigno nero trasmette un’importante lezione nel contesto artistico: per emozionare il pubblico è necessario emozionarsi, e quindi affrontare ,e allenare, determinate caratteristiche di personalità, come la timidezza ad esempio, o la sensualità. La vicenda insegna che la completezza artistica non comprende solo la padronanza tecnica, ma anche l’importanza di suscitare un impatto emotivo nello spettatore, una competenza che può maturare attraverso le competenze psicologiche, come l’assunzione di molteplici prospettive, il riconoscimento e l’espressione emotiva, l’intraprendenza, per citarne alcune. Da ciò si deduce la necessità di una figura psicologica da affiancare all’insegnante per allenare le potenzialità psichiche implicate nell’espressione artistica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bara, B. (2005). Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva. Volume secondo. Clinica. Bollati Boringhieri.
  • Guidano, V. (1988). La complessità del sé. Bollati Boringhieri.
  • Guidano, V. (1992). Il sé nel suo divenire. Bollati Boringhieri.
  • Peserico, M. (2004). Danzaterapia. Il metodo Fux. Carocci Faber.
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