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Relazioni tra pari: come lo status sociale nel gruppo classe potrebbe causare disturbi di internalizzazione ed esternalizzazione in età scolare

Nelle relazioni tra pari si riscontra un’associazione significativa tra status sociale e la presenza di sintomatologia internalizzante ed esternalizzante.

Di Marzia Paganoni

Pubblicato il 30 Nov. 2016

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:26

Ad oggi quindi, il sistema di relazioni tra pari, è considerato un fattore protettivo e/o di rischio che risulta essere tanto determinante quanto il sistema di relazioni verticali che il bambino instaura con l’adulto.

Marzia Paganoni – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca

 

Non c’è alcun periodo dello sviluppo nel quale l’essere umano viva al di fuori del regno dei rapporti interpersonali (Sullivan, 1982).

 

Da diversi anni la ricerca (Salmivalli, Isaacs, 2005; Bukowski & Sippola, 2001; Perry, Kusel, & Perry, 1988; Ladd & Troop-Gordon, 2003; Parker & Asher, 1987) si occupa in modo sempre più approfondito di indagare le relazioni che i bambini hanno con i loro coetanei.

Lo sviluppo del bambino infatti è fortemente influenzato dalla rete sociale in cui si trova inserito. È proprio nel contesto delle relazioni tra pari che i bambini imparano a padroneggiare abilità sociali come la comprensione, il rispetto delle regole, l’assunzione del punto di vista altrui e le abilità di negoziazione e gestione dei conflitti (Salmivalli, Isaacs, 2005).

Bagwell et al. (2001) sostengono che le relazioni tra pari rappresentino più di una semplice compagnia. Gli esseri umani hanno infatti un innato bisogno di appartenere che, se soddisfatto, è fortemente legato al benessere e all’euforia mentre, se non soddisfatto porta ad insicurezza, rifiuto e stress.

Le esperienze negative tra pari sono infatti associate, secondo diversi autori (Hawker & Boulton, 2000; Ladd, Kochenderfer, & Coleman, 1997; Parker & Asher, 1987) a problemi nell’adattamento durante l’adolescenza e l’età adulta.

Secondo Zimmer-Gembeck & Pronk (2012), problemi come l’ansia sociale, la solitudine, la depressione, la bassa autostima e l’atteggiamento negativo a scuola rappresentano i precursori di molte forme comuni di disadattamento, che vengono associate a problemi riscontrati nelle relazioni tra pari.

Ad oggi quindi, il sistema di relazioni tra pari, è considerato un fattore protettivo e/o di rischio che risulta essere tanto determinante quanto il sistema di relazioni verticali che il bambino instaura con l’adulto.

Genta (2005) sottolinea come sia proprio per questo motivo che ad oggi sono molto studiati, all’interno del gruppo dei pari, i comportamenti di accettazione e rifiuto, di prosocialità e di empatia, nonché di aggressività diretta ed indiretta.

 

Lo status sociometrico nelle relazioni tra pari

Nell’ambito dello studio delle relazioni tra pari, la dimensione a cui generalmente si fa riferimento è quella del gruppo classe in quanto viene comunemente considerato come un esempio tipico di piccolo gruppo (Genta, 2005).

All’interno delle relazioni tra pari si vengono a creare nel breve tempo situazioni che richiedono la messa in pratica di competenze specifiche da parte dei bambini e, il grado in cui si padroneggiano queste capacità determina la posizione che questi ultimi vengono ad occupare all’interno del gruppo. Questa posizione costituisce il cosiddetto “status sociometrico” che si può definire come il grado in cui i bambini piacciono oppure non piacciono ai coetanei che appartengono al loro stesso gruppo.

La tecnica più usata per la definizione dello status sociometrico è la nomina dei pari. Questo metodo consiste nel chiedere ad ogni bambino, dopo avergli detto che le sue risposte rimarranno riservate, di scegliere, all’interno del gruppo classe, quelli che sono i compagni che preferisce e quelli che gli piacciono di meno, con un massimo di tre nomine positive e tre negative.

Le nomine si basano su due dimensioni: l’impatto sociale, ovvero  la somma delle nomine positive e di quelle negative ricevute da ogni bambino, e la preferenza sociale, cioè la differenza tra nomine positive e negative. Grazie all’osservazione congiunta di questi due indici e all’applicazione di alcune specifiche regole di standardizzazione dei punteggi, i bambini possono essere classificati come appartenenti a cinque diverse categorie di status sociale: popolare, rifiutato, ignorato, controverso e gregario.

I bambini popolari hanno un carattere allegro e positivo, numerose interazioni diadiche, un livello elevato di gioco cooperativo, sono considerati dei buoni leader e sono disposti a condividere (Reffieuna, 2003; Smoti, 2001) mentre i bambini rifiutati hanno un comportamento irruente e inadeguato, sono asociali, litigiosi, tendono a preferire attività solitarie, condividono poco con gli altri i propri oggetti e sono quindi poco cooperativi (Coie, Dodge e Kupersmidt, 1990).

I bambini popolari mostrano generalmente un livello più alto di socializzazioni e maggiori abilità cognitive rispetto ai coetanei non appartenenti a questo status sociale, oltre ad un livello minimo di aggressività ed isolamento sociale mentre, i bambini rifiutati, sono quelli più a rischio di disturbi psicologici futuri come ansia e depressione (Ladd & Troop-Gordon, 2003).

Nello status sociale dei controversi rientrano invece quei bambini che risultano molto apprezzati da alcuni compagni e contemporaneamente anche poco apprezzati da altri (Cassibba e Elia, 2009). Sono bambini che a volte risultano anche molto aggressivi ma che compensano questa loro aggressività con qualità tipiche dei bambini popolari come per esempio buone abilità socio-cognitive e buone capacità di condivisione e cooperazione (Newcomb, Bukowski e Pattee, 1993).

I bambini ignorati sono quei bambini che hanno poco impatto sociale (Cassibba e Elia, 2009), appaiono timidi e tendono a mettere in atto un numero elevato di comportamenti solitari (Coie, Dodge e Kupersmidt, 1990). Questo status sociale tende a rimanere stabile nel tempo mentre si modificano le valutazioni delle condotte di questi bambini da parte dei pari in quanto, il comportamento che in età prescolare era comunque accettato nella relazione tra pari, in età scolare e ancor di più nel periodo pre-adolescenziale, assume una valenza negativa perché, il rimanere ai margini o fuori dal gruppo tende ad essere considerato sempre di più come una deviazione rispetto alla norma (Cassibba e Elia, 2009).

I bambini considerati gregari, che racchiudono circa il 60-70% dei soggetti, non manifestano ne abilità necessarie per diventare popolari né comportamenti problematici che li possono portare ad essere rifiutati o ignorati dal gruppo dei pari (Cassibba e Elia, 2009).

 

Disturbi di Internalizzazione

A partire dalla seconda metà degli anni ’80 hanno preso il via alcuni studi sugli effetti che disturbi ansiosi o depressivi possono avere sulle relazioni sociali dei bambini. Paura e ansia sono molto comuni nell’infanzia ma, il fatto che spesso siano di breve durata e scompaiano in poco tempo, ha portato molti psicologi a dedicar loro poca attenzione (Cartwright-Hatton, McNicol, & Doubleday, 2006).

Negli ultimi decenni questa opinione è però cambiata e difatti, secondo diversi autori (Bell-Dolan & Brezeal, 1993; Costello & Angold, 1995; Gurley, Cohen, Pine, Brook, 1996), i disturbi d’ansia sono i disturbi psichiatrici più comuni tra i bambini e gli adolescenti (2.4%- 17.7%)  in quanto risultano caratterizzati da esordio precoce e da una molteplicità di sintomi che predispongono i soggetti ad una continuità psicopatologica nelle successive fasi di sviluppo. Lo stato d’ansia è da considerarsi patologico quando presenta un’elevata intensità e persistenza, oppure quando il suo scopo principale non risulta più essere quello di segnalare la presenza di un reale pericolo (Kandel, 2007).

I bambini che soffrono di disturbi di internalizzazione, come ansia e depressione, soffrono in silenzio in quanto difficilmente i genitori e/o gli insegnanti riconoscono questa problematica (Albano, Chorpita, Barlow, 2003).

Gli studi effettuati sulle relazioni tra pari hanno evidenziato come i bambini impopolari, di cui fan parte i bambini rifiutati e gli ignorati, si ritrovano spesso in una situazione di totale isolamento e tendono quindi a sviluppare nel tempo sentimenti di solitudine, di ansia e di bassa stima di sé (Asher, Hymel, Renshaw, 1984; Cassidy, Asher, 1992).

Asher et al., (1984), riscontrarono che i bambini di terza elementare appartenenti alla categoria dei rifiutati e degli ignorati avevano più alti livelli di solitudine e insoddisfazione sociale e si percepivano come più negativi rispetto ai bambini popolari.

Altri autori sottolineano come le valutazioni della depressione siano correlate negativamente con la popolarità e positivamente con il rifiuto da parte dei pari (Kennedy, Spence, Hensley, 1989; Asher & Wheeler, 1985; Asher, Hymel, & Renshaw, 1984; Cole & Carpentieri, 1990;  Verduin & Kendall, 2008).

Cole e Carpentieri (1990) conducendo una ricerca su bambini che frequentavano la quarta elementare hanno riscontrato, in accordo con quanto detto poco sopra, che i bambini rifiutati risultano essere più depressi dei bambini popolari, ignorati e gregari e che i popolari risultano significativamente meno depressi rispetto a tutti gli altri gruppi di bambini.

Quando diventano adolescenti e poi adulti molti di loro continuano a provare insicurezza e difficoltà nel rapporto con gli altri e soffrono di depressione e altri problemi psichiatrici (Parker & Asher, 1987).

Un numero spropositato di adulti affetti da gravi disturbi psichiatrici ricordano esperienze sociali dolorose risalenti all’infanzia e alla fanciullezza che descrivono come caratterizzate da un comportamento sociale problematico e cattive relazioni tra pari e, per contro, un numero straordinario di bambini rifiutati sviluppa, crescendo, problemi di comportamento antisociale e di salute mentale legati ad ansia e depressione (Parker et al., 1995).

Strauss e collaboratori (1988) hanno esaminato la relazione che intercorre tra la posizione sociale assunta dai bambini nel gruppo dei pari e la presenza di disturbi d’ansia, individuando livelli di accettazione estremamente inferiori nei bambini con psicopatologia rispetto ai controlli. Ciò sembra essere particolarmente evidente quando è rintracciabile una sintomatologia depressiva in comorbidità. Infatti, secondo quanto osservato dagli autori, i bambini che presentavano solo disturbi d’ansia rientravano nella categoria dei gregari, mentre i bambini con disturbi d’ansia e di depressione risultavano ignorati.

Non è un caso, quindi, che molte ricerche considerino la comorbidità di problemi d’ansia e depressione in infanzia un fattore di rischio maggiore per il rifiuto, o la non considerazione, da parte dei pari rispetto alla presenza di un singolo disturbo (Strauss, Lahey, Frick, Frame, & Hynd, 1988; Hecht, Inderbitzen, & Bukowski, 1998).

Boivin et al. (1995) hanno osservato un gruppo di bambini longitudinalmente per due anni riscontrando come i soggetti vittimizzati dai compagni durante il primo anno di scuola elementare evidenziavano un incremento di comportamenti problema l’anno successivo, fra cui un maggior grado di ritiro sociale e/o un comportamento sociale invadente e immaturo.

L’esposizione agli approcci ostili e alla vittimizzazione da parte dei pari favorisce quindi sentimenti di solitudine, risentimento, ansia, depressione e alienazione (Boivin, Hymel e Bukowski, 1995; Perry, Kusel e Perry, 1988). Asher e Wheeler (1985) avevano riscontrato che i bambini rifiutati riportavano più solitudine e insoddisfazione per le loro relazioni tra pari rispetto agli altri gruppi sociometrici e che i bambini ignorati invece non ottenevano punteggi di solitudine differenti dai pari con elevato status sociometrico.

Crick e Ladd (1993) sostengono inoltre come siano i bambini ignorati a presentare il più alto livello di stress sociale rispetto ai bambini appartenenti agli altri status sociali (popolare, gregario e controverso) che si sentono comunque socialmente stressati.

 

Disturbi di Esternalizzazione

Nei bambini, l’aggressività è un tratto che si accompagna a vari aspetti di disadattamento come il rifiuto, la disregolazione emotiva, la vittimizzazione e la povertà di relazioni tra pari (Card & Little, 2006 ). In generale l’essere di sesso maschile è considerato uno dei fattori di rischio per lo svilupparsi di problematiche esternalizzanti (Gerbino et al., 2002). Tuttavia, diverse ricerche ci dicono che i maschi non sono più aggressivi delle femmine a livello assoluto ma che i primi ricorrono più facilmente all’aggressività diretta, mentre le femmine sembrano prediligere l’aggressività relazionale (Card & Little, 2006).

La relazione tra status sociale e aggressività è stata generalmente rilevata come piuttosto forte e risulta moderata da fattori demografici, social-cognitivi e di personalità (Bukowski, 2011).

Tra i fattori demografici, uno dei più interessanti è l’età. Durante la media fanciullezza, infatti, l’aggressività è associata al rifiuto dei pari, ma lo è molto meno durante la prima infanzia e all’inizio dell’adolescenza. Addirittura, man mano che dall’infanzia si va alla tarda adolescenza sembra che l’aggressività relazionale e l’aggressività fisica incrementino la popolarità di coloro che ne fanno uso (Cillessen & Rose, 2005).

Diversi studi indicano che essere rifiutati o ignorati dai pari sono considerati sia come antecedenti che come conseguenti di problemi emotivi e di comportamento; in particolare sembra che i più alti livelli di aggressività siano riscontrati nei soggetti rifiutati, rispetto agli ignorati (Bierman, 2004; Newcomb et al., 1993). I bambini rifiutati, a differenza di quelli popolari, tendono a ritenere i fallimenti originati da cause interne, sono meno accurati nell’interpretazione degli stimoli esterni e nel decodificare le intenzioni dei pari, di fronte a situazioni nuove mettono in atto soluzioni insufficienti, inefficaci e poco articolate ed infine, ritengono la modalità aggressiva l’unica via possibile alle relazioni tra pari (Newcomb et al., 1993). Secondo Bierman (2004), i bambini che manifestano condotte aggressive tendono ad essere isolati dal gruppo dei pari ed è proprio questo isolamento che li porta a manifestare una quantità e varietà di atti aggressivi tali, da scoraggiare ogni tentativo di approccio sociale da parte dei coetanei, innescando così un vortice di azioni e reazioni.

I bambini aggressivi rifiutati provano infatti una forte attrazione verso i coetanei che presentano le stesse problematiche alimentando così la creazione e la conservazione di legami interpersonali devianti che mantengono i comportamenti problema.

Secondo Card e Little (2006), i comportamenti aggressivi non sono sempre disadattivi in quanto, in certi casi, questo tipo di comportamento è associato a una regolazione positiva. Molti bambini aggressivi vengono infatti percepiti come cool e popolari dai pari (Rodkin, Farmer, Pearl & Van Acker, 2000; Cillessen & Rose, 2005; Rose, Swenson & Carlson, 2004).

Nello specifico, ad esempio, diversi studi hanno dimostrato che, se in certi casi l’aggressività è legata al rifiuto sociale (Salmivalli & Helteenvuori, 2007; Salmivalli & Isaacs 2005), in altri casi, al contrario, è correlata con la popolarità (Bukowski, 2011). Anche secondo Bierman (2004) non sempre l’aggressività si accompagna a rifiuto sociale.

Questo dato potrebbe suggerire come le condotte aggressive favorirebbero uno status sociale popolare se alternate alla messa in atto di comportamenti prosociali mentre porterebbero al rifiuto da parte dei coetanei quando non vengono associate a questi comportamenti positivi.

Gli studi sulla teoria della mente ci riportano infatti come la comprensione degli stati mentali sia importante per lo sviluppo sociale in quanto, fornisce indizi specifici che consentono di attribuire significato al comportamento umano, di formulare ragionamenti sociali, e di manipolare gli stati mentali altrui con l’inganno come riscontrato in quei bambini definiti “machiavellici”.

I teorici della teoria della mente infatti ipotizzano un altro aspetto della cognizione sociale nell’aggressività guardando alla competenze piuttosto che ai deficit che li portano quindi ad associare il comportamento aggressivo anche allo status di bambini popolari e non solo ai bambini classificati come rifiutati (Sutton et al., 1999).

Ovviamente il legame fra rifiuto sociale e aggressività dovrà essere intensamente studiato per numerosi anni prima di poter essere almeno in parte chiarito, poiché gli studi hanno sempre più evidenziato la complessità del tema.

 

Conclusione

In conclusione, diverse ricerche (Asher & Wheeler, 1985; Coie et al., 1990; Strauss, Lahey, Frick, Frame, Hynd, 1988; Cole & Carpentieri, 1990), vanno ad evidenziare l’ipotesi dell’esistenza di un’associazione/relazione significativa tra status sociale, misurato nel gruppo classe, e la presenza di sintomatologia internalizzante ed esternalizzante in età evolutiva.

Nello specifico, l’appartenere alla categoria sociometrica dei rifiutati o degli ignorati può portare il bambino a sviluppare problemi di adattamento futuri ed è spesso legato alla presenza di disturbi sia internalizzanti di tipo ansioso-depressivo che esternalizzanti di tipo aggressivo (Parker & Asher, 1987; Coie et al., 1990; Cole & Carpentieri, 1990).

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