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Il Programma Montessori per la Demenza: oltre il trattamento farmacologico delle demenze

Il Programma Montessori per la Demenza si presenta come programma facilmente comprensibile ed applicabile da parenti e operatori.

Di Barbara Sbrolla

Pubblicato il 29 Nov. 2016

Aggiornato il 01 Ott. 2019 15:36

Il Programma Montessori per la Demenza (MPD), ideato da J. Camp, utilizza i principi della didattica montessoriana per mantenere e/o rinforzare le capacità di base e le abilità necessarie a svolgere le attività quotidiane dei pazienti affetti da demenza.

Barbara Sbrolla – OPEN SCHOOL San Benedetto del Tronto

 

A partire dagli anni ’90 si è sviluppato un sempre maggior  interesse per la sperimentazione delle cure non farmacologiche (spesso affiancate ad interventi farmacologici) per il trattamento di persone con deficit cognitivi, in particolare per quanto riguarda il campo delle demenze, visto l’aumentare della prospettiva di vita, e quindi del  livello di anzianità della popolazione.

 

Cosa si intende per demenza

Con il termine demenza si definisce una sindrome che si manifesta con compromissione delle funzioni mnestiche e di almeno un’altra funzione cognitiva, alterazioni  dello stato emozionale e disturbi comportamentali ed implica un’incapacità, da parte dell’individuo affetto, di rispondere alle proprie esigenze quotidiane. Spesso la persona con demenza presenta, accanto a questa sintomatologia, dei disturbi della comunicazione connessi con i deficit cognitivi che rendono impossibile esprimere i propri bisogni utilizzando il linguaggio (Burgeois & Hickey, 2009). Questo rende difficoltoso gestire la malattia e la routine per gli operatori sanitari, i familiari ed i pazienti stessi.

Non va sottovalutato l’aspetto che l’anziano con demenza, nonostante le evidenti compromissioni, continui a possedere dei bisogni di base come sostenere la propria autostima ed autoefficacia, esprimere pensieri ed emozioni, bisogno di appartenenza, di autorealizzazione e senso dell’ordine, specialmente durante i primi stadi della malattia.

Molte manifestazioni che aggravano il quadro della demenza, come la depressione, l’apatia e l’incapacità di gestire adeguatamente gli stress, scaturiscono dal non riuscire più a soddisfare questi bisogni (Paradigma dei bisogni insoddisfatti, Cohen et al. 2001). Si rende necessario quindi lavorare sulle autonomie residue del paziente affetto da demenza, riattivando le abilità utili a permettergli di preservare o riacquistare l’autonomia, in modo che possa ancora esperire l’autoefficacia di provvedere a se stesso ed ai propri bisogni. Ciò deve essere costruito in base alle propensioni ed alla storia di ogni paziente, preservando la dignità e l’autostima della persona.

Questi aspetti personali e relazionali spesso rimangono sullo sfondo della relazione di cura, se non addirittura dimenticati a causa delle numerose problematiche che accompagnano i diversi stadi della malattia e che sembrano esaurire le energie dei caregivers.

 

Il Programma Montessori per la Demenza

Negli ultimi anni, diversi ricercatori hanno evidenziato le correlazioni positive tra l’utilizzo di terapie non farmacologiche e il miglioramento dei sintomi della demenza, nonché della qualità della vita per gli individui affetti da demenza ed i loro caregivers, anche perché risulta spesso evidente come alcuni sintomi comportamentali rispondano solo parzialmente ai farmaci.

E’ in questo scenario che si inserisce il Programma Montessori per la Demenza (MPD), ideato da J. Camp, che utilizza i principi della didattica montessoriana per mantenere e/o rinforzare le capacità di base e le abilità necessarie a svolgere le attività quotidiane dei pazienti affetti da demenza.

I principi mutuati dal metodo Montessori possono essere riassunti in pochi punti, devono essere inseriti in un rapporto diadico, rogersiano, tra operatore e paziente e ben sembrano adattarsi alle esigenze delle persone affette da demenza, in particolare di tutte quelle persone con Alzheimer.

I pazienti con demenza necessitano di setting strutturati ed ordinati in cui poter utilizzare materiale predisposto per attività piacevoli e collegate alla vita quotidiana. E’ importante poter fornire loro delle istruzioni brevi e comprensibili e sviluppare un set di attività in base ad una progressione che si muove da azioni semplici e concrete ad altre più complesse ed astratte.

La progressione tra un’attività e l’altra può essere di due tipi, in base sempre alle esigenze del soggetto e può essere “orizzontale” o “verticale”. Nel primo caso si presentano al soggetto delle attività con difficoltà e procedure simili ad una proposta (che si può lasciar scegliere al paziente, finché possibile, in un’ottica di libertà ed educazione all’autonomia), che vadano quindi ad agire su una stessa abilità-bersaglio; nel secondo caso si decide di semplificare (in caso emergano eventuali frustrazione o apatia) od arricchire la richiesta (se si verifica apprendimento o l’attività risulta troppo semplice), adeguandosi ai tempi del soggetto, ponendo attenzione nel massimizzare le possibilità di successo e, cosa da non sottovalutare, minimizzare le possibilità di insuccesso.

L’obiettivo non è infatti “non sbagliare” o fare “più cose possibili”, ma è l’effetto della stimolazione stessa, inserita in una relazione di cura. Le attività si dividono in: sensoriali (ad esempio esercizi di discriminazione uditiva), motorie (compiere azioni per stimolare la motricità fine e la coordinazione), cognitive e sociali (risolvere problemi, confrontare oggetti, prendersi cura di sé e dell’ambiente), e vengono utilizzate in base al grado di compromissione dei pazienti. Le attività sensoriali sono infatti maggiormente indicate per pazienti con demenze severe, mentre chi si trova ai primi stadi della malattia potrà trarre più coinvolgimento dalle attività cognitive.

Un altro aspetto di fondamentale importanza con questi pazienti è l’insegnamento di sequenze di azioni, cioè la scomposizione di attività che possono essere ri-composte in un secondo momento secondo procedure di ripetizione guidata che forniscono un feedback immediato, che viene utilizzato soprattutto nel campo della cura del sé quotidiana (routine di lavaggio, appendere i vestiti, etc..). In questo modo si lavora sulla memoria procedurale/implicita, che risulta maggiormente preservata rispetto a quella esplicita e permette di minimizzare la parte verbale (spesso compromessa, come già accennato), stimolando la ricerca ed il riconoscimento di indizi esterni per compensare i deficit cognitivi, con la conseguenza di abbassare il livello di stress e frustrazione percepiti, che sono proprio i responsabili di  comportamenti rabbiosi o di agitazione tipici di questi pazienti.

Molti studiosi, nell’ultima decade, hanno rilevato che l’applicazione del Programma Montessori per la Demenza (MPD), secondo delle sessioni bisettimanali di circa 90 minuti ciascuna (30 minuti effettivi di attività, più osservazione pre-  e post- intervento, per un totale di 12 ore per paziente) in concomitanza ad un intervento farmacologico, si è dimostrato più efficace nel diminuire la frequenza di comportamenti aggressivi o di agitazione in pazienti con demenza moderata o severa rispetto ad una situazione di controllo (semplice intervento farmacologico). Inoltre, è stato rilevato nei soggetti un aumento dei comportamenti non aggressivi e dell’espressione di affetti positivi ed una maggior condizione di “presenza” o vigilanza (Van der Ploeg, O’Connor, 2010).

Diversi studi hanno dimostrato che centrare le attività sulla persona in base alle proprie preferenze o ai bisogni esperiti produca una maggiore attivazione, aumento di atteggiamenti e affetti positivi, ed una maggior cura di se stessi con, ad esempio, significativi miglioramenti nella alimentazione (Giroux et al., 2010; Lin et al., 2010). Una spiegazione valida potrebbe essere che il soggetto è motivato a perseguire attività che reputa importanti; in altre parole risulta impegnato attivamente nel raggiungere un obiettivo collegato con un suo bisogno, e questo è correlato con indici di successo degli interventi (Cohen-Mansfield et al, 2009).

Le applicazioni del Programma Montessori per la Demenza sono molteplici: ad esempio, può essere usato per migliorare le relazioni tra caregivers, specialmente familiari, e pazienti ricoverati in case di riposo. I familiari dei pazienti spesso non percepiscono un alleggerimento del carico di responsabilità e stanchezza cronica che la malattia del parente porta con sé, anzi a tutto ciò sembrano aggiungersi gli stress collegati ai costi elevati di ricovero, difficoltà nel seguire gli orari di visita, senso di colpa, risentimento e scambi interpersonali deteriorati e scarsamente soddisfacenti, dovuti anche all’esacerbarsi di confusione, sintomatologie depressive, ansiose o disforiche collegate al ricovero nell’assistito (Yeh et al., 2002).

Formare i parenti alle attività del Programma Montessori per la Demenza da svolgere assieme ai propri familiari affetti da demenza quando si recano a far loro visita aiuta notevolmente a preservare il rapporto tra il paziente ed il caregiver: dagli studi condotti in merito emerge una notevole diminuzione dello stress percepito, anche grazie al viraggio verso una valutazione più positiva della relazione, ed all’aumento della qualità della vita percepita sia da parte dei familiari che dei pazienti (Van Der Ploeg et al., 2012).

Oltre ai parenti, ovviamente, possono essere formati tutti gli operatori che lavorano in un ambito residenziale con la persona affetta da demenza: uno studio ha rilevato una maggiore soddisfazione del personale e dei pazienti immersi in una realtà di ricovero e maggiore capacità di prevenzione di comportamenti aggressivi da parte delle diverse figure professionali  (Janzen et al., 2013).

Un’ulteriore applicazione del Programma Montessori per la Demenza è quella che si avvale della figura del “paziente-leader”, ossia un soggetto ai primi stadi di una demenza che possa fungere da esempio e catalizzatore per altri anziani nella cura giornaliera (in coppia ma anche in piccoli gruppi) o come insegnante per bambini, abbattendo anche il muro intergenerazionale ed aumentandone l’autostima e l’autoefficacia, donando al soggetto un ruolo significativo nella trasmissione di conoscenze, e quindi facendolo riappropriare di una posizione riconosciuta nella società (Camp et al., 2011).

 

Programma Montessori per la Demenza: conclusioni

In conclusione, l’applicazione poliedrica del Programma Montessori per la Demenza apre a nuove prospettive nella cura non farmacologica dei soggetti affetti da demenza, grazie ad un programma facilmente comprensibile ed applicabile (con qualche accorgimento per quanto riguarda il setting) da parenti, operatori e dagli stessi anziani ai primi stadi di demenza. Il punto di forza del Programma Montessori per la Demenza è la semplicità delle attività che permettono di riconoscere dignità a soggetti che spesso vengono infantilizzati ed ostracizzati, rendendo loro l’opportunità di esprimere e soddisfare i propri bisogni, scegliere, impegnarsi attivamente ed essere soddisfatti di loro stessi, comportando ovvie ripercussioni positive sulla percezione della qualità di vita da parte dei caregivers.

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