Dal tradizionale modello biomedico si è passato ad una concettualizzazione più complessa delle malattie croniche: esse hanno, infatti, un decorso progressivo determinato da una molteplicità di fattori, non solo medici ma anche psico-sociali.
Negli ultimi 50 anni è andata progressivamente a modificarsi la natura delle patologie mediche. Il tradizionale modello biomedico era centrato sull’intervento rivolto alla malattia acuta caratterizzata da decorso lineare.
Ora, per via dell’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione e anche della maggiore incidenza di malattie croniche, si è passato ad una concettualizzazione più complessa. Le malattie croniche e degenerative hanno, infatti, un decorso progressivo determinato da una molteplicità di fattori, non solo medici ma anche psico-sociali.
Le implicazioni psicologiche dell’ammalarsi
Dal punto di vista psicologico, l’ammalarsi comporta un cambiamento radicale rispetto alla vita conosciuta fino a quel momento, imponendo di conseguenza la ricerca di un nuovo significato di se stessi e della vita.
La malattia scandisce la vita quotidiana e necessita di un adattamento alla nuova condizione. Chi si ammala deve necessariamente ridimensionare le proprie abitudini e le aspettative sul futuro, deve riformulare la propria identità e modificare il proprio ruolo sociale.
Da molti anni la ricerca ha dimostrato come, tra le persone che soffrono di patologie fisiche, sia frequente l’incidenza di condizioni psicopatologiche. Ciò non solo comporta un sensibile peggioramento della qualità di vita del paziente, ma incide anche sull’aderenza alle cure, sugli esiti della riabilitazione, aumenta il rischio di mortalità e di richieste di prestazioni assistenziali.
Le risposte emotive, cognitive e comportamentali ai marcati cambiamenti esistenziali imposti dalle malattie croniche hanno valenze molto articolate. Queste possono trovare espressione in diverse forme di sofferenza psichica, alcune delle quali assumono i caratteri di veri e propri quadri psicopatologici.
Spesso, chi vive l’esperienza della malattia, manifesta depressione, ansia, elevato stress che rendono più difficoltoso affrontare la nuova condizione di vita ed il decorso della malattia.
L’importanza e le finalità dell’intervento psicologico nelle malattie croniche
Sono sempre più numerose le evidenze scientifiche, molte delle quali condotte in ambito oncologico, in merito all’efficacia e all’utilità dei trattamenti psicologici rivolti a persone affette da patologie croniche e degenerative.
L’intervento rivolto alla persona che si ammala inizia sempre da un’attenta valutazione della situazione psicologica, del grado di consapevolezza di malattia e delle risorse del paziente.
L’obiettivo principale è quello di offrire trattamenti specifici lungo l’intero decorso della malattia e nei momenti particolarmente complessi.
Dalla diagnosi alla terapia, alla sospensione delle cure e alla guarigione, il fine dell’intervento psicologico è quello di:
- Contenere i sintomi di sofferenza sia psicologica che psicopatologica;
- Modificare comportamenti a rischio che potrebbero influenzare negativamente le condizioni psicofisiche generali (come assunzione di alcol, disturbi del comportamento alimentare);
- Favorire il processo di accettazione e di adattamento alla nuova condizione di vita;
- Favorire l’aderenza ai piani di cura;
- Favorire la partecipazione attiva del paziente al piano di cura e alla sua vita, aiutandolo a ricostruire un senso dell’esperienza e ad adottare modalità più funzionali di essere ed agire.
L’ipotesi di un intervento psicologico domiciliare
Con l’aumento delle malattie croniche, la qualità di vita e il come questa è percepita dal paziente hanno acquisito un ruolo centrale in ambito sanitario.
Gli interventi di tipo psicologico sono ormai parte integrante del progetto di cura. La maggior parte degli interventi terapeutici sono di natura individuale. Vi sono, poi, anche efficaci interventi di gruppo. La totalità dell’offerta psicologica avviene in ambito ospedaliero e ambulatoriale.
Si ritiene che potrebbe essere molto utile attivare interventi psicologici in ambito domiciliare, attualmente previsti solo per le patologie in fase terminale. A volte la risposta alla diagnosi o al processo di cura può essere fortemente disfunzionale, portando il paziente a rifiutare o a evitare il contatto con i medici curanti. La reazione psicologica agli eventi può essere invalidante, con una sintomatologia ansiosa e depressiva marcata. Ciò comporta notevoli rischi rispetto al peggioramento della condizione medica del paziente e all’incolumità dello stesso.
In questi casi potrebbe essere utile un intervento all’interno del setting domiciliare che aiuti la persona a contenere la sofferenza psicologica e a riattivare le risorse necessarie a fronteggiare gli eventi.
L’intervento psicologico a domicilio dovrebbe essere mirato e di breve durata, proprio al fine di restituire al paziente la propria capacità decisionale e un senso di responsabilità verso di sé.
Una volta raggiunti gli obiettivi, qualora sia necessario, il percorso potrà essere proseguito in ambito ambulatoriale.