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Emozioni ed Intelligenza emotiva negli sport da combattimento

Alcuni studi hanno indagato le emozioni degli atleti e hanno dimostrato come essi abbiano livelli più alti di intelligenza emotiva rispetto ai non atleti 

Di Laura Zamboni

Pubblicato il 04 Nov. 2016

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:08

Mayer (2008) individua quattro aspetti dell’ intelligenza emotiva correlati agli sport da combattimento: la valutazione delle proprie emozioni, cruciale nel regolare il livello di arousal; la comprensione delle emozioni altrui, necessaria per prevedere le reazioni ed azioni dell’avversario; uso delle emozioni per mascherare e fingere le proprie emozioni ed usarle a proprio vantaggio durante il combattimento ed infine, l’autoregolazione delle emozioni, per mantenere un appropriato livello di arousal e controllare la situazione.

Laura Zamboni, OPEN SCHOOL PTRC MILANO

 

Emozioni ed intelligenza emotiva: come influiscono sulle prestazioni sportive

[blockquote style=”1″]Si vince con la testa e le gambe. I pugni hanno un’importanza secondaria.[/blockquote]
Georges Carpentier

Le emozioni costituiscono una componente fondamentale nella vita di tutti i giorni, non occorre essere stati pugili come Georges Carpenter per aver provato sulla propria pelle quanto l’intensità di un’emozione possa migliorare od ostacolare una prestazione. Nella pratica clinica si parla di emozioni funzionali e disfunzionali, ma solo in tempi relativamente recenti questo interesse è stato esteso anche al contesto sportivo.

[blockquote style=”1″]Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla[/blockquote] (Pierre de Coubertin)

Dai primi studi condotti negli anni ’80 (Parfitt e Hardy, 1987) focalizzati sui rapporti tra prestazioni sportive ed emozioni quali rabbia e paura, si è arrivati con Hanin (1997, 2000) alla formulazione del modello IZOF, secondo il quale ogni atleta possiede una propria zona ottimale di funzionamento, all’interno della quale è possibile realizzare la performance migliore.

In questa prospettiva non si valuta più l’emozione singolarmente ed il suo peso sulla prestazione, ma si identificano diverse emozioni e si stima in che misura esse possano essere funzionali, in un preciso atleta, per permettere il raggiungimento di prestazioni ottimali. Seguendo la linea definita da Hanin (2003) nel ritenere le emozioni come una risorsa per comprendere se stesso e l’altro e per il fondamento dell’azione consapevole, possiamo notare come ci sia un forte avvicinamento al concetto di intelligenza emotiva definito per la prima volta da Salovey e Mayer (1990) come: [blockquote style=”1″]capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni.[/blockquote]

A rendere poi più nota l’intelligenza emotiva è stato Goleman (1995) che l’identificò con la capacità di riconoscere i propri ed altrui sentimenti, di motivarci e di gestire le nostre emozioni, anche nelle relazioni sociali. L’intelligenza emotiva, quindi, comprende sia competenze personali riferite alla consapevolezza e padronanza di sé ed alla motivazione, sia competenze sociali di empatia ed abilità sociali.

Se, come prima accennato, le emozioni sono state oggetto di studio nella psicologia dello sport a partire dagli anni ‘80, l’intelligenza emotiva considerata in questo ambito, costituisce un interesse ancora più recente, la letteratura sull’argomento è ad oggi nelle sue fasi iniziali, tanto più se prendiamo in considerazione lo specifico contesto degli sport da combattimento.

In questo caso verranno presi in esame sport da combattimento individuali intesi come : “Boxe in uno qualsiasi dei suoi stili, kick boxing in uno qualsiasi dei suoi stili, qualsiasi sport, arte marziale o attività in cui è richiesto ad ogni concorrente in una gara, di esporre o mostrare di quello sport, l’arte o l’attività di colpire, calciare, lottare, atterrare (proiettare) uno o altri concorrenti, come prescritto dal regolamento… Particolari regole determinano il vincitore della competizione, ad esempio, ottenendo più punti dell’avversario o immobilizzando, atterrando l’avversario” (New South Wales Legislation Act, Combact Sports Act 2008).

Una definizione più recente dell’intelligenza emotiva è quella di Mayer, Salovey e Caruso (2008), che la descrivono come [blockquote style=”1″]l’abilità di impegnarsi in sofisticati processi di elaborazione delle informazioni circa le proprie ed altrui emozioni e, l’abilità di utilizzare queste informazioni come una guida per il pensiero ed il comportamento.[/blockquote] Negli sport da combattimento numerose e complesse informazioni richiedono di essere processate per generare una risposta veloce ed adeguata, sia sul piano del pensiero sia su quello del comportamento.

Nell’elaborazione delle emozioni un ruolo fondamentale è giocato dal livello di arousal, inteso come generale attivazione fisiologica e psicologica che varia lungo un continuum, da una profonda quiete ad uno stato di eccitazione (Gould e Krane, 1992). In ogni tipo di sport, particolarmente in quelli da combattimento, l’arousal deve essere mantenuto ad un livello ottimale (Jokela e Hanin, 1999) per permettere agli atleti di reagire velocemente agli attacchi, così come di bloccare o evitare l’assalto dell’avversario (Devonport, 2006). Negli sport da combattimento viene richiesto un alto livello di intelligenza emotiva per ciò che concerne il continuo controllo e monitoraggio delle proprie emozioni e la valutazione delle emozioni dell’avversario.

Nel contesto sportivo, la relazione con l’altro, prevede l’utilizzo di tecniche adeguate combinate con le emozioni, che possano scaturire in un’anticipazione delle reazioni dello sfidante. Mayer (2008) individua quattro aspetti dell’intelligenza emotiva correlati agli sport da combattimento: la valutazione delle proprie emozioni, cruciale nel regolare il livello di arousal; la comprensione delle emozioni altrui, necessaria per prevedere le reazioni ed azioni dell’avversario; uso delle emozioni per mascherare e fingere le proprie emozioni ed usarle a proprio vantaggio durante il combattimento ed infine, l’autoregolazione delle emozioni, per mantenere un appropriato livello di arousal e controllare la situazione.

 

Gli studi sull’intelligenza emotiva degli atleti di sport di combattimento

Alla luce di quanto sostenuto, sono stati condotti diversi studi per valutare se il livello di intelligenza emotiva fosse più alto negli atleti rispetto ai non atleti. In particolare in uno studio di Szabo e Urban (2014), sono stati confrontati i livelli di intelligenza emotiva in atleti che praticavano boxe e judo, paragonati ai non atleti. I risultati mostrano come gli atleti abbiano maggiori livelli di intelligenza emotiva rispetto ai non atleti, gli autori, collegano quanto rilevato alla pratica di questi sport. Risultati simili sono stati ottenuti anche in uno studio condotto da Costarelli e Stamou (2009) su atleti d’élite di taekwondo e judo, confrontati con i non atleti.

Da studi longitudinali condotti da Lane (2002) e Devonport (2006) si può osservare come i pugili mostrino un incremento nell’intelligenza emotiva correlato agli anni di pratica. Questi risultati sembrano in controtendenza con quella che è l’opinione comune che vede il pugilato come uno sport segnato da un forte stima sociale, perché troppo aggressivo o violento.

Lane et al. (2009) hanno approfondito anche quali fossero le emozioni associate a performance di successo: vigore, felicità e calma; mentre quelle correlate a scarse performance sembrerebbero essere: confusione, depressione e stanchezza. Non solo l’intelligenza emotiva è correlata alle emozioni piacevoli, ma gli atleti che ottengono punteggi più alti nelle scale self-report su questo costrutto, utilizzano frequentemente competenze psicologiche.

Una delle questioni sorte nello studio delle emozioni in questo tipo di sport riguarda proprio il ruolo della rabbia, poiché è opinione comune associare sport da combattimento ad espressione di aggressività, dove la rabbia potrebbe giocare un ruolo incentivante. In realtà questa emozione dovrebbe essere dosata con cura e mantenuta a livelli bassi, perché sia d’aiuto alla performance (Robazza, Bertollo e Bortoli, 2006), altrimenti rischierebbe di provocare un dispendio di energie e quindi diminuire le probabilità di successo. Questi autori sottolineano come la rabbia sia connessa al tipo di sport praticato ed al livello di competitività dell’atleta, suggerendo come sia la capacità di controllare questa emozione e non di sopprimerla, ad avere un ruolo incentivante. Non solo, atleti che praticano sport quali karate, aikido e taekwondo, mostrano un migliore controllo dei comportamenti aggressivi che progredisce con gli anni di pratica (Graczyk et al.,2010).

Il controllo delle proprie emozioni e di altre competenze dell’intelligenza emotiva, non si apprende solo attraverso gli anni di pratica dello sport, ma anche con l’utilizzo di specifiche strategie e mental skills. Da una review condotta su diversi studi, Devonport (2006) individua sette mental skills utilizzate sia nelle arti marziali che nella kick boxing: strategie di ricerca visiva, uso del self-talk, rilassamento, attenzione focalizzata, autoregolazione dell’arousal, goal setting e imagery. Le caratteristiche psicologiche collegate al successo includono l’autoeffiacia e la motivazione. Queste skills sembrano essere presenti in diversi campioni, Muhammad Ali diceva: [blockquote style=”1″]è la ripetizione delle affermazioni che ti porta a crederci, e quella credenza si trasforma poi in una convinzione profonda, e le cose iniziano ad accadere.[/blockquote]

Gli atleti intervistati da Devonport enfatizzavano l’importanza di sviluppare oltre ad uno stile personale di combattimento, una propria preparazione mentale. A questo scopo gli intervistati hanno riferito di utilizzare diverse strategie: una routine pre-competizione con elementi di self-talk, imagery, controllo dell’arousal e del linguaggio corporeo; durante la competizione riportano di prestare attenzione al controllo dell’aggressività, paura ed ansia; mentre, post competizione, la riflessione viene ritenuta una parte fondamentale. Tazegul (2015) ha condotto uno studio circa i livelli di ansia di atleti di diversi sport: boxe, kickboxing e lotta, riscontrando come i lottatori abbiano minori livelli di ansia rispetto agli altri atleti, riconducendo questa abilità a migliori strategie di coping sviluppate proprio negli anni di pratica dello sport.

Secondo Salovey (1999) un prerequisito per un efficace coping delle emozioni negative, elicitate da eventi stressanti, è proprio l’intelligenza emotiva: individui con elevate competenze sembrerebbero in grado di percepire e valutare gli stati emotivi, di conoscere come e quando esprimerli e regolarli.
Come già accennato, dell’intelligenza emotiva non fanno parte solo l’autoconsapevolezza, il controllo e la regolazione delle proprie emozioni, ma anche la motivazione. Quest’ultimo aspetto viene ritenuto cruciale anche dagli atleti, soprattutto collegato al senso di autoefficacia. Un caso particolare osservato in diversi studi (Szabo, 2014; Graczyck, 2010) è quello dei pugili: spesso questi atleti provengono da condizioni socioculturali svantaggiate e trovano proprio in questo sport una motivazione ed attribuzione di autoefficacia, con relativa diminuzione dei comportamenti aggressivi. Troviamo esempio di ciò anche andando ad osservare la vita di pugili più noti, come Rocky Marciano: “la cosa a cui pensavo più spesso era la povertà che mia madre e mio padre avevano affrontato”.

Bandura (1977) individua un collegamento tra realizzazione della performance ed autoefficacia, secondo Lane (2002) ci sarebbero prove a supporto di questa relazione anche nel pugilato, dove è possibile riscontrare una connessione tra autoefficacia e stile di combattimento (attacco o difesa).

Considerando questi sport come fenomeni sociali, possiamo individuare la loro controparte relazionale e quindi le competenze di intelligenza emotiva necessarie ed implicate nella relazione con l’altro, cioè nei match. La capacità di controllare le proprie emozioni può essere utilizzata negli incontri con azioni che sorprendano l’avversario: finte, variazioni della velocità, utilizzo di combinazioni variegate e colpendo parti del corpo diverse (tra quelle ammesse dal regolamento).

[blockquote style=”1″]Il pugilato è uno sport mentale, se immaginate uno scontro per il titolo come una partita a scacchi sarete assai più vicini alla realtà che se lo paragonate ad una rissa in un vicolo.[/blockquote] (Budd Schulberg)

 

Conclusioni

Un limite di questo argomento risiede nel fatto che la letteratura sul tema sia ancora carente, le arti marziali sono conosciute e praticate da anni in tutto il mondo, mentre solo di recente si stanno diffondendo sport da combattimento, si pensi ad esempio alle MMA. Da sottolineare è anche il fatto che questi studi siano viziati da un bias di genere, poiché la stragrande maggioranza degli atleti intervistati sono di sesso maschile.

Emozioni ed intelligenza emotiva occupano un ruolo centrale all’interno degli sport da combattimento e solo recentemente si riconosce l’importanza di una preparazione mentale oltre che fisica. Studi in corso di realizzazione sembrano concentrarsi non solo sulla preparazione mentale dell’atleta, ma anche su quella dei coach, se essi siano in grado e come, di riconoscere e valorizzare le capacità di intelligenza emotiva dei propri allievi. Non si può dimenticare che in questi sport a produrre un’enorme differenza siano la filosofia e i metodi di insegnamento dei maestri.

[blockquote style=”1″]L’attitudine mentale determina l’azione. Nelle Arti Marziali si vince con la mente, molto più che con il corpo, l’abilità o altro.[/blockquote]
Yukio Mishima

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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