Le storie e le fiabe in terapia hanno duplice valore comunicativo, poiché trasmettono non solo contenuti, ma anche nuclei di senso, capaci di risuonare e di connettersi in maniera spontanea con la porzione più arcaica del nostro essere.
Passato, presente e futuro, in una connessione magica, trovano spazio e tempo nello “spazio senza tempo” delle fiabe.
Tutto ciò accade al di sotto della narrazione verbale: la fiaba, anello di congiunzione tra generazioni diverse, racconta una storia. La storia, oltre al contenuto manifesto, ne convoglia uno latente, potremmo dire quasi “rivestito” degli abiti fiabeschi… ed è proprio quel nucleo latente ad avere la potenzialità di risvegliare e nutrire gli aspetti più profondi della psiche. Genitori, non stancatevi di raccontare le fiabe!
Quella porticina speciale che solo le fiabe sanno aprire, può diventare una delle vie maestre di accesso alle emozioni, ai sogni e ai desideri, e l’apertura di senso consente un importante viaggio tra i simboli utilizzabili per la cura (Marinelli, 2004).
Il valore delle Fiabe in terapia
Ma come possono, le fiabe in terapia, costituire un accesso privilegiato alla cura?
Le fiabe svolgono la funzione di oggetto mediatore: le fiabe in terapia sono portatrici di contenuti profondi, e permettono in una relazione terapeutica o educativa di potersi avvicinare ad essi in modi non diretti.
Le fiabe in terapia esercitano infatti una funzione organizzatrice del pensiero. Attraverso tale funzione è possibile dare forma concreta ai propri fantasmi, trasformando il caos dei pensieri più selvaggi in fisionomie individuabili, riconoscibili e narrabili. Nelle fiabe “le emozioni non sono espresse direttamente, ma evocate da personaggi fortemente caratterizzati nei quali sono, per così dire, incarnate” (Messeca e Raufman, 2008).
Le fiabe in terapia: Cenerentola e la trappola dell’abbandono
Cenerentola, orfana e maltrattata da matrigna e sorellastre, con l’aiuto di un potere soprannaturale riesce a recarsi al ballo reale, dove conosce il Principe, che si innamora di lei. La sua fuga precipitosa e la ricerca successiva del Principe sono comuni a tutte le versioni della fiaba, mentre la perdita della scarpetta è talvolta sostituita da altri oggetti per mezzo dei quali Cenerentola viene, comunque, infine riconosciuta.
In prima battuta, dunque, la storia di Cenerentola dona al bambino la promessa di riscatto: anche se la vita (del bambino) è stata costellata di umiliazioni, verrà riscattato e condotto in alto. Una sorta di “promessa di un lieto fine” che è peraltro tipica della letteratura infantile.
Ad uno sguardo più approfondito, possiamo cogliere nella fiaba di Cenerentola alcuni aspetti fondamentali e specifici: l’essere orfana e umiliata (e quindi la solitudine, il rifiuto, l’abbandono e l’ingiustizia), il fatto di poter ricevere aiuti soprannaturali (e quindi la trasformazione e la magia), il limite temporale di tali aiuti che la obbligano alla fuga precipitosa (e quindi la vergogna), la presenza di un oggetto che ne ricorda l’identità e che chiarifica il legame tra la sua apparenza meravigliosa al ballo e la sua esistenza misera attuale (e quindi la prova), il riscatto finale. Di conseguenza, dalla fiaba scaturiscono una serie di temi che possono riecheggiare nel lettore e dai quali egli, potenzialmente, può essere trasformato.
In un lavoro terapeutico di Zoran (2008) con un gruppo di giovani, la fiaba di Cenerentola assume il ruolo di terza voce (rispetto alle voci di pazienti e terapeuta), ovvero il testo letterario entra in terapia come interlocutore autonomo. La lettura della fiaba, in questa luce, rende nuovamente attuali nel lettore i temi sottostanti alla trama, caratterizzati a seconda delle esperienze pregresse. Ciò crea un dialogo fecondo tra la parte infantile e quella adulta dell’individuo che ha permesso ad alcuni pazienti di rielaborare alcune primissime esperienze infantili, illuminandole dal punto di vista adulto, senza privarle della vitalità e dell’autenticità del primo incontro con la fiaba. (Zoran, 2008).
Ai giovani che partecipavano al lavoro “Biblioterapeutico” di Zoran, venne chiesto di identificare nella fiaba di Cenerentola un tema particolarmente significativo nella loro infanzia, e di integrarlo emotivamente con la reazione attuale, di adulti. Orit, una delle ragazze, scelse l’aspetto della solitudine, del rifiuto:
Ciò che più ricordo dalla mia fanciullezza è il fatto che nessuno al mondo riconosce l’esistenza di Cenerentola. Ricordo che era circondata da una totale indifferenza: ogni volta che cercava di dire qualcosa era rifiutata e umiliata. Sempre più lei si considerava del tutto insignificante.
La Cenerentola di Orit è quindi una bambina rifiutata, svalutata e umiliata, la cui esistenza viene addirittura cancellata tramite l’esclusione. Questa esperienza di non esistere era profondamente legata all’infanzia di Orit, quando lei costantemente sentiva che nessuno aveva cura di lei. (Zoran, 2008) Cenerentola, secondo Orit, viene dimenticata perché non merita altro atteggiamento. Inoltre, Orit pensava che per esistere nel mondo dei genitori fosse necessario affermarsi: chi, poi, non dovesse riuscirci, è semplicemente un fallimento.
Alla fine dell’esperienza, Orit raggiunse la consapevolezza che la grave mancanza di sostegno dei suoi genitori e la loro incapacità la avevano in qualche modo intrappolata per tutta la vita. Tale presa di coscienza fu il punto di partenza del suo cambiamento.