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Aborto e disturbi mentali: incidenza e ricorrenza di patologie psichiatriche a seguito di un’interruzione di gravidanza

Una recente ricerca è stata condotta con l'intento di ovviare ai problemi metodologici dei precedenti studi sulla relazione tra aborto e disturbi mentali

Di Claudio Nuzzo

Pubblicato il 09 Nov. 2016

Nell’ultimo decennio sono state condotte un gran numero di ricerche e svariate review riguardo il rapporto tra aborto e disturbi mentali. Sebbene tale genere di studi implichino svariate difficoltà metodologiche, finora non è emerso alcun risultato significativo a favore dell’ipotesi che la cessazione della gravidanza incrementi il rischio di sviluppare una patologia psichiatrica.

 

Relazione tra aborto e disturbi mentali: i problemi metodologici

Tra i problemi metodologici che intervengono più spesso in questo campo di ricerca troviamo la difficoltà di misurare adeguatamente i disturbi mentali pre-esistenti, nonostante è probabile che questi siano predittivi dei disturbi mentali post-aborto.

Alcuni studi hanno controllato l’effetto dei disturbi mentali pre-esistenti sulla relazione tra aborto e disturbi mentali, tuttavia ciò è stato fatto per mezzo di questionari self-report retrospettivi, che non sono in grado di stabilire esattamente se e quale delle due evenienze ha un rapporto di causa-effetto con l’altra. Altri studi, invece, si sono limitati ad annoverare alcuni tra i disturbi mentali pre-esistenti, ignorandone altri, o si sono basati sui resoconti dei dottori di famiglia o psichiatri, metodologia che può condurre a pericolose perdite di informazioni.

Una seconda difficoltà consiste nel fatto che spesso gli studi si riferiscono a gruppi di controllo inadeguati, come donne che non sono mai state incinte o che non hanno abortito.

Infine, l’ultima problematica intrinseca alle ricerche riguardo la relazione tra aborto e disturbi mentali, per ovvi motivi, consta nell’impossibilità di assegnare casualmente le donne al gruppo di controllo o a quello delle donne che hanno abortito; ciò fa sì che la compatibilità tra i gruppi non sia elevata, sebbene sia possibile calmierare questo effetto per mezzo di alcune strategie durante le analisi statistiche. Una di queste è il matching, che permette di analizzare un non-esperimento come se fosse un esperimento, in quanto appaia uno ad uno i soggetti rispetto alle variabili in questione per rendere più o meno equivalenti i gruppi.

 

Lo studio

Un recente esperimento pubblicato sul Journal of Psychiatric Research ha utilizzato proprio questa tecnica, appaiando i partecipanti rispetto alle covariate potenzialmente confondenti; l’obiettivo era appunto stabilire l’incidenza e la ricorrenza dei disturbi mentali dopo un aborto (follow-up a 2.5 – 3 anni). I dati relativi alle partecipanti (età compresa tra i 18 e i 46 anni) provenivano dal Dutch Abortion and Mental Health Study (DAMHS) ed erano appaiati ai soggetti della coorte di riferimento presa dal Netherlands Mental Health Survey and Incidence Study-2 (NEMESIS-2), inoltre tutte le donne che avevano abortito riferivano come la gravidanza fosse stata non voluta. Le partecipanti del DAMHS erano state intervistate tra 20 e 40gg dopo l’aborto (T0) e di nuovo circa 2.7 anni dopo (T1).

La presenza dei disturbi mentali veniva valutata per mezzo della Composite International Diagnostic Interview (CIDI) versione 3.0, secondo i criteri del DSM-IV. Le patologie prese in analisi appartenevano a tre macrocategorie: disturbi d’ansia (disturbo di panico, agorafobia, fobia sociale, disturbo d’ansia generalizzato), disturbi dell’umore (depressione maggiore, distimia, disturbo bipolare) e disturbi da uso di sostanze (abuso di alcol/droga e dipendenza).

Le covariate considerate erano l’età (18-24, 25-34 e 35-46), la living situation (ovvero se le partecipanti vivevano o meno con un partner), l’avere dei figli, l’etnia (occidentale o meno, basandosi sulla definizione del Central Bureau of Statistics Netherlands), il credo religioso, la situazione lavorativa (lavoro pagato o non pagato), livello educativo, la zona di residenza (rurale o urbana). Un’ulteriore covariata era l’abuso (fisico, sessuale o psicologico e la trascuratezza emotiva) in età infantile, in quanto è dimostrato che può predisporre sia all’aborto che all’insorgenza di disturbi mentali (Steinberg & Tschann, 2013).

Dalle analisi statistiche emergeva come le donne che avevano abortito erano complessivamente più giovani, più spesso single, senza figli, di etnia non occidentale, non religiose, disoccupate, residenti in un’area urbana e più spesso vittime di abusi infantili, rispetto alla coorte di riferimento. Non vi erano differenze nel livello di educazione.

 

Risultati

Incidenza

Le partecipanti provenienti dalla coorte DAMHS evidenziavano un’incidenza maggiore di disturbi mentali (disturbi d’ansia, dell’umore e da abuso di sostanze), tuttavia una volta appaiate per le covariate in analisi, tutte le percentuali di incidenza si abbassavano e la significatività tra gruppo sperimentale e di controllo scompariva (disturbi d’ansia e da uso di sostanze p > .20, disturbo dell’umore p = .08).

Ricorrenza

Come sopra, prima dell’appaiamento, le partecipanti provenienti dal DAMHS mostravano una probabilità significativamente maggiore di ricorrenza per i disturbi d’ansia. Tuttavia, dopo l’appaiamento, i risultati non erano più significativi.

 

Conclusioni

Osservando i risultati è impossibile attribuire le differenze tra le due coorti all’evento dell’aborto, ma al contrario sembrano essere dovute ad una certa quantità di variabili co-occorrenti. Perciò sembra poco probabile che l’aborto incrementi il rischio di sviluppare e mantenere un disturbo psichiatrico; tale risultato è in linea con le precedenti evidenze scientifiche sul rapporto tra aborto e disturbi mentali.

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