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Autismi 2016: Risposte per il presente, sfide per il futuro – Report dal Congresso Erickson di Rimini

L’obiettivo della plenaria è approfondire il tema della ricerca di un modello italiano per la diagnosi e il trattamento dei disturbi dello spettro autistico

Di Ilaria Cosimetti, Cristina Morazzoni

Pubblicato il 18 Ott. 2016

Aggiornato il 13 Mar. 2019 13:22

Il 5° Convegno Internazionale di Erickson dedicato agli autismi è inaugurato dalle parole di Giorgio Dossi, presidente Edizioni Centro Studi Erickson. L’obiettivo della giornata è approfondire il tema della ricerca di un modello italiano per la diagnosi e il trattamento dei disturbi dello spettro autistico, sottolineando, da una parte, l’importanza della diagnosi precoce e, dall’altra, la necessità di implementare trattamenti nell’ottica di un progetto di vita per le persone autistiche considerando l’applicabilità e la sostenibilità degli interventi nel contesto italiano.

 

Autismi 2016: la Sessione Plenaria di venerdì 14 ottobre

Giorgio Dossi ci tiene a sottolineare gli importanti passi avanti compiuti dall’ultimo convegno dedicato a questo tema nel 2014 e incoraggia all’ottimismo leggendo anche una lettera di Davide Faraone, indirizzata a tutti partecipanti, in cui il sottosegretario all’Istruzione invita a riflettere sull’importanza che ha avuto l’emanazione della prima legge nazionale sull’autismo (134/2015) e ribadisce il suo impegno rivolto agli obiettivi di inclusione e piena realizzazione della popolazione autistica nella nostra società.

Autismi 2016 Erickson - Plenaria 14 Ottobre

Il primo ospite ad offrire il suo contributo è Antonio Persico del Dipartimento di Patologia Umana dell’adulto e dell’età evolutiva dell’Università di Messina che ci parla del rapporto epigenetico tra ambiente e autismo ribadendo quanto ormai pare assodato: l’autismo è un disturbo del neurosviluppo determinato con buona probabilità da una vulnerabilità genetica a cui si sommano in maniera determinante fattori ambientali diversi. L’importanza di approfondire gli studi di epigenetica è dimostrata anche dall’evidenza che in famiglie con due o più membri autistici, difficilmente si possono rintracciare cause comuni sottostanti al disturbo. Gli studiosi sono sempre più convinti che alla base di questa condizione vi siano cause complesse e diverse che convergono però su meccanismi di funzionamento comuni che sono poi oggetto dell’intervento riabilitativo.

Diana Robins, responsabile di un progetto di prevenzione secondaria per l’identificazione e l’intervento precoce  presso il J. Drexel Autism Institute di Philadelphia, interviene portando l’esempio americano di come la precocità della diagnosi possa facilitare l’accesso ai servizi e al trattamento e quindi porre le basi per promuovere una migliore qualità di vita futura delle persone con disturbi dello spettro autistico; in quest’ottica l’utilizzo della  MCHAT-R è entrato a far parte delle Guidelines dell’American Academy of Pediatrics oltre che essere promosso da molte associazioni governative statunitensi. Si tratta di un questionario con 23 domande rivolte ai genitori di bambini con età compresa tra i 18 e i 24 mesi che ha lo scopo di individuare  quei bambini che rischiano di sviluppare un disturbo dello spettro autistico. Monitorare la crescita di questa popolazione a rischio vuol dire soprattutto poter offrire un intervento tempestivo e mirato.

L’intervento di Giacomo Vivanti, collega della Robins a Philadelphia, si focalizza sull’applicabilità e la sostenibilità dei trattamenti e degli interventi nei reali contesti di vita come la scuola. Dal 2010 sono stati pubblicati molti studi randomizzati che mostrano differenti modelli evidence–based di intervento che hanno caratteristiche comuni quali l’intensità, il monitoraggio e l’efficacia. Partendo dal dato certo che i bambini con autismo sono in grado di imparare, è più efficace chiedersi non qual è l’intervento migliore tra tanti, ma qual è l’intervento migliore per quel bambino e sostenibile per i suoi insegnanti nel contesto socio-educativo in cui sono immersi.

Maria Luisa Scattoni (Dipartimento di Biologia Cellulare e neuroscienze, ISS Roma) riprende il tema della diagnosi precoce nel nostro paese, presentando il progetto NIDA, network italiano per il riconoscimento precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico, che coinvolge attualmente alcuni dei più importanti centri clinici e di ricerca italiani che si occupano di diagnosi e trattamento dei disturbi dello spettro autistico e mette in campo un’equipe multidisciplinare. I bambini vengono seguiti dai primi giorni di vita fino ai 36 mesi tramite il monitoraggio del pianto neonatale e della motricità spontanea (general movements), lo studio dell’interazione e della comunicazione sociale e la valutazione dello sviluppo. Lo scopo del progetto è il riconoscimento precoce e la messa a punto di un modello di intervento estendibile a tutto il territorio nazionale e alle popolazioni ad alto rischio.

Maddalena Fabbri Destro (CNR, istituto di neuroscienze, Parma) approfondisce l’importanza del sistema motorio per la comprensione dei disturbi dello spettro autistico, legandolo soprattutto agli aspetti cognitivi e sociali con cui è in stretta relazione. Sono numerosi gli studi che dimostrano maggiori errori spaziali da parte degli autistici rispetto alla popolazione di controllo neurotipica. Questi errori correlano inoltre positivamente con la gravità dei sintomi autistici.

Massimo Molteni, direttore sanitario IRCCS Eugenio Medea di Bosisio Parini si occupa delle novità introdotte dal DSM V prima fra tutte proprio la comparsa della categoria dei DSA che raggruppa disturbi prima distinti tra loro.

In chiusura della plenaria Fabio Comunello, Presidente della bioFattoria sociale Conca d’Oro di Bassano del Grappa, rimette l’accento sull’importanza di implementare risorse per realizzare progetti di vita che dovrebbero svilupparsi durante tutto l’arco della vita e non fermarsi alla transizione tra adolescenza ed età adulta. A questo proposito si parla di un secondo welfare che potrebbe rendere la disabilità una risorsa: immaginare un marketing sociale in cui la disabilità possa prendere coscienza del fatto che può generare risorse e/o contribuire alla riduzione della spesa pubblica. E come si vedrà nel corso del convegno esistono già delle realtà locali che dimostrano che non si tratta di un’utopia.

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