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Donne in carriera: perché sono così poche?

E' stato dimostrato come sin dall'infanzia maschi e femmine vengano bombardati con messaggi differenti rispetto alle loro scelte di vita future. 

Di Veronica Nunziante

Pubblicato il 08 Set. 2016

Aggiornato il 26 Ago. 2019 12:28

Le origini delle differenze di genere relative all’ambito lavorativo sono da ricercare nei primissimi messaggi con cui i bambini vengono bombardati fin dai primi anni di vita. Mentre l’educazione maschile, molto spesso, tende a stimolare comportamenti che, col senno di poi, si riveleranno vincenti in ambito lavorativo (come competitività e raggiungimento di elevati livelli di prestazione), l’educazione femminile privilegia, solitamente, soprattutto i rapporti ed i legami interpersonali e le donne vengono quasi “addestrate”, fin da piccole, al ruolo di madre e moglie.

 

Introduzione

In questi anni il ruolo lavorativo della donna, anche a causa della crisi economica che ha posto la necessità di incrementare le entrate mensili della famiglia, ha acquisito un’importanza fondamentale. Eppure, nonostante questo, permane ancora l’opinione che il lavoro femminile abbia un valore minore rispetto a quello maschile e questa premessa si esprime in modo sottile ma deciso mediante la convinzione che la donna possa essere più flessibile a livello lavorativo, meno ambiziosa e che possa svolgere solo determinate professioni. Eppure secondo i dati Almalaurea e Stella le donne si laureano in tempi più brevi, con voti più alti e continuano a studiare dopo la laurea con master e specializzazioni (57-71%) mostrando quindi altissime potenzialità che potrebbero essere ben sfruttate sul posto di lavoro.

Cosa induce la scelta di percorsi professionali differenziati tra uomini e donne?

Le origini delle differenze di genere relative all’ambito lavorativo sono da ricercare nei primissimi messaggi con cui i bambini vengono bombardati fin dai primi anni di vita. Mentre l’educazione maschile, molto spesso, tende a stimolare comportamenti che, col senno di poi, si riveleranno vincenti in ambito lavorativo (come competitività e raggiungimento di elevati livelli di prestazione), l’educazione femminile privilegia, solitamente, soprattutto i rapporti ed i legami interpersonali e le donne vengono quasi “addestrate”, fin da piccole, al ruolo di madre e moglie. È forse questo il motivo per cui le donne scelgono maggiormente professioni umanistiche? Probabilmente sì, ma ci sono anche altri elementi che concorrono alla scelta di tali percorsi professionali.

Ponendo che la bambina, dopo essere stata “travolta” da messaggi sull’importanza di essere sempre gentile ed amorevole, diventi un’ adolescente ambiziosa (dal punto di vista scolastico e professionale) e giunga al liceo forte delle sue idee e della consapevolezza delle sue risorse, è comunque possibile che tali ambizioni vengano distrutte dal cosiddetto “ambiente zero” (Freeman, 1989), ovvero quel clima di discriminazione passiva che non incoraggia né demolisce la persona, ma finisce semplicemente per ignorarla. Poniamo dunque che la nostra piccola donna ambiziosa alzi la mano per esprimere la sua idea, per dare la risposta ad un quesito, oppure semplicemente per chiedere un chiarimento e venga ignorata. Quanto tempo sarà necessario perché la studentessa non alzi più quella mano? Non molto. E, se il percorso scolastico non fosse stato sufficiente a demolire le speranze della studentessa, un duro colpo verrà certamente sferrato dagli stereotipi che spesso animano il luogo di lavoro in molti settori.

Gli stereotipi sulle donne e l’impatto sulle loro scelte accademiche e lavorative

Kanter, già nel 1977, osservò la presenza, in ambito lavorativo, di quattro stereotipi sulle donne lavoratrici:
La donna madre, ricca di qualità relazionali, capace di cure amorevoli ed interessata al prossimo la quale però, invece di essere apprezzata per tali qualità, viene ad essere intrappolata in ruoli poco ambiti e sottopagati;
La donna bambina, considerata immatura ed incompetente e, dunque, meritevole di ruoli costituiti da scarsa responsabilità e di salari minori rispetto agli uomini;
La vergine di ferro, giudicata come ambiziosa, competitiva e determinata e quindi, proprio per questo, poco rappresentativa del genere femminile, ovvero una sorta di eccezione che confermerebbe la regola;
La donna oggetto, che incarna il classico stereotipo della donna come oggetto sessuale.

Dunque la sopracitata donna ambiziosa che ha studiato, che si è fatta spazio sgomitando tra gli uomini per realizzare le sue aspirazioni, giunge finalmente sul posto di lavoro e non può né sfruttare la sensibilità e le competenze relazionali intrinseche del suo essere donna, né può cercare di somigliare agli uomini. Ancora una volta la donna si ritrova intrappolata tra una serie di ruoli che non ha scelto.

Ma tutto questo cosa produce a livello pratico? Una delle conseguenze più negative è, innanzitutto, l’evitamento della matematica e delle discipline scientifiche in seguito al fatto che le donne vengono solitamente spinte verso percorsi umanistici, e finiscono per applicarsi meno, in termini di tempo, in campo scientifico. L’evitamento della matematica, per quanto possa sembrare innocuo, produce l’esclusione di un gran numero di donne da professioni scientifiche e tecnologiche, che si da il caso siano anche quelle più remunerative e con maggiore offerta di posti di lavoro.

Uno studio di Chipman e Thomas (1985) ha rilevato come, a parità di ore di lezione, non vi sarebbero differenze relative alla competenza matematica tra uomini e donne e dunque, ancora una volta, le possibili risorse della donna verrebbero stroncate sul nascere. Analizzando qualche dato emerso da un’indagine del Ministero della Pubblica Istruzione sull’anno accademico 2014/2015 è evidente che, sebbene le studentesse rappresentino circa il 56% degli studenti universitari, è possibile sottolineare una forte presenza femminile in ambito umanistico (75%) e sociale (61%) contro un misero 31% nel settore “Ingegneria e Tecnologia”.

In secondo luogo la scarsa presenza di modelli di ruolo inerenti carriere non tradizionali (donne ingegneri, fisici, presidenti) produce una percezione di tali percorsi come ancor più “impossibili”.

In terzo luogo la costante sottovalutazione delle proprie competenze genera una scarsa autostima, ridotte aspettative di successo e, dunque, una minore determinazione nell’esecuzione delle attività, correlata ad un livello di performance più basso. Infine le donne sembrerebbero dare un maggior peso, nelle decisioni lavorative e accademiche, agli aspetti relazionali, cercando continuamente un compromesso che non danneggi in alcun modo le persone a loro vicine come il partner o i figli.

Dall’altra parte gli uomini, spesso, sembrano non essere nemmeno consapevoli dell’impatto che i cambiamenti potrebbero avere sulle loro famiglie (Henton, Russel e Koval, 1983), privilegiando l’indipendenza. In particolare ci sarebbe una tendenza femminile a porre una maggiore attenzione agli aspetti relazionali e alla necessità di offrire una risposta ai bisogni altrui, basata anche sulla maggiore capacità empatica delle donne. Al contrario, gli uomini, avrebbero strutturato modelli relazionali che andrebbero a privilegiare aspetti come la reciprocità e l’equità (Lyons, 1983). Di conseguenza l’enfasi posta dal mondo occidentale sull’importanza della separazione e della totale indipendenza potrebbe semplicemente non corrispondere alla natura dell sviluppo femminile. Inoltre molti studi hanno rilevato che le scelte maschili sulla carriera sarebbero correlate soprattutto ad aspetti riguardanti il guadagno ed il prestigio atteso mentre quelle femminili si baserebbero su altri aspetti, soprattutto relazionali, come ad esempio il rapporto con i colleghi (Neil e Snizek, 1987).

Conclusioni

In conclusione è possibile affermare che le carriere femminili verrebbero “sabotate” fin dalla nascita, quasi inconsapevolmente, e che anche laddove la donna riesca a ritagliarsi, con le unghie e con i denti, il suo spazio professionale, dovrà comunque fronteggiare forti stereotipi e potenti pregiudizi. Al giorno d’oggi, con l’importanza che il lavoro ha assunto per ogni cittadino, che sia maschio o femmina, tutti questi processi finiscono per produrre un grande ed inaccettabile spreco di potenziale che dovrebbe essere fronteggiato sì a livello economico, mediante riforme che incentivino il lavoro femminile, ma anche e soprattutto a livello psicologico attraverso una precisa ed approfondita elaborazione e modifica di tutti quegli stereotipi che costituiscono la gabbia dorata in cui la donna vive.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Chipman, S.F., Thomas, V.G.,(1985)Women’s partecipation in mathematics: Outlining the problem. In S.F. Chipman, L.R. Brush.,& D.M.
  • Wilson (Eds.), Women and mathematics: Balancing the equation, pp. 1-24. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
  • Freeman, J., (1979) How to discriminate against women withour really trying. In Women: a feminist perspective, pp. 194-208.
  • Gysbers, N.C., Heppner, M.J., Johnston, J.A., (2002) L’orientamento professionale. Processi, questioni e tecniche. Giunti Editore.
  • Henton, J., Russel, R., Koval, J., (1983) Spousal Perceptions of Midlife Career Change. In The Personnel and Guidance Journal,vol.61 pp. 287-291.
  • Lyons, N., (1983)Two perspectives on self, relationship and morality. In Harvard Educational Review, 53, 125-145.
  • Neil, C. C., Snizek, W.E., (1987) The relative impact of organizational characteristics and sex role attitudes on perceived sex discrimination at the workplace. Paper presented at UMIST-ASTON 5th Annual Conference, Manchester
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