Non esisterebbe una differenza significativa tra le possibilità professionali e lavorative di uomini e donne nel mondo delle scienze matematiche.
Un studio pubblicato su Psychological Science ed effettuato da Ceci, Ginther, Kahn e Williams, ha recentemente suscitato grande scalpore e provocato numerose risposte. Questo, soprattutto, grazie ad un articolo pubblicato sul New York Times dalle co-autrici dello studio Stephane Ceci e Wendy Williams, dal titolo “Academic Science isn’t sexist”. Affermazione forte, questa che, in effetti proprio per la sua potenza, ha stimolato l’interesse di molti e aperto le porte a svariate discussioni sul tema.
Il laborioso studio di Ceci e colleghe consisteva in 54 pagine di analisi di dati precedentemente raccolti ma anche di dati nuovi, ad ogni modo tutti riguardanti la distribuzione di uomini e donne nel mondo delle scienze matematiche: matematica, informatica, fisica, ingegneria…
La conclusione delle autrici sarebbe che, per le donne, le difficoltà ad ottenere un lavoro di tale tipo e fare carriera in questo contesto non sarebbero maggiori di quanto non lo siano per gli uomini. In altre parole, non esisterebbe una differenza significativa tra le possibilità professionali e lavorative di uomini e donne nel mondo delle scienze matematiche. E’ interessante tuttavia entrare nel merito di questi dati e cercare di capire in dettaglio le premesse che hanno portato a tale inaspettata conclusione.
I risultati dello studio suggeriscono innanzitutto che il tasso di persone che accedono a dottorati di ricerca in questo contesto è ugualmente distribuito tra uomini e donne. Le donne costituiscono però solo il 30% degli Assistenti Docenti, e la percentuale si abbassa ulteriormente se consideriamo quante siano le persone di sesso femminile che abbiano contratti come Docente di Ruolo. Le autrici attribuiscono la colpa di ciò alle “barriere passate” e Wendy Williams afferma che, al giorno d’oggi, “una volta che le donne accedono al mondo delle scienze matematiche, le loro possibilità di progresso in tale campo sono del tutto paragonabili a quelle degli uomini”.
Le studiose evidenziano anche che, secondo la loro esperienza nel campo delle scienze, alle persone di sesso femminile viene spesso offerto un lavoro o una promozione. Questo a sottolineare che esiste un’assoluta imparzialità nelle assunzioni di personale nel campo delle scienze matematiche, in contrasto con anni e anni di studi di psicologia, i quali dimostrano che candidati con preparazione identica vengono spesso trattati in modo diverso a causa del genere cui appartengono.
Ceci e collaboratrici cercano di darsi una ragione di questo gap tra la realtà e quanto rilevato negli studi di laboratorio, affermando che, in un laboratorio, non si è mai riscontrata una discriminazione di genere nel caso in cui un candidato fosse estremamente preparato; in altre parole, le studiose suggeriscono che solo quando il responsabile della selezione dei candidati aveva una quantità insufficiente di dati interessanti a disposizione, allora iniziava inconsciamente a fare illazioni sulla base di stereotipi. Il che suona come una giustificazione, piuttosto che una spiegazione.
Il numero di pubblicazioni è un’altra misura che mette in luce le nette differenze esistenti tra maschi e femmine nel contesto delle scienze matematiche. Analizzando ulteriormente i dati dello studio, emerge che gli uomini sono molto più produttivi, definendosi su una media di tre o più pubblicazioni in due anni. Secondo Ceci e Williams, questo accadrebbe perché le donne investono molto più tempo nella cura dei figli, avendone in questo modo meno a disposizione per tutto ciò che riguarda il lavoro. Tuttavia, uno sguardo più approfondito ai dati ci consente di notare il fatto che le pubblicazioni delle donne con o senza figli sono comunque meno rispetto a quelle degli uomini.
Le autrici concludevano l’articolo precedentemente menzionato sostenendo che le possibilità professionali delle donne nel campo delle scienze matematiche sono simili a quelle dei loro colleghi uomini: certo, non uguali, ma molto meno differenti di quel che si sarebbe portati a credere. Esiste inoltre una sottorappresentazione del genere femminile in tale contesto che potrebbe essere legata, secondo le studiose, a fattori quali, ad esempio, gli interessi personali oppure il profilo cognitivo individuale. Insomma, tale sottorappresentazione sarebbe una coincidenza, che non coinvolge stereotipi di sorta ma piuttosto variabili soggettive.
Viene senz’altro da pensare che l’esperienza diretta delle autrici sia stata buona oltre ogni aspettativa, e che quanto vissuto da loro sia in contraddizione con quello che viene comunemente definito “sessismo accademico”. Questo giustificherebbe le conclusioni che hanno tratto dai dati e le modalità ottimistiche con cui li hanno interpretati e diffusi; ma tale concetto politicamente e culturalmente mediato di sessismo, non favorisce certo l’auspicato cambiamento che ci avvicini sempre più al tanto sospirato concetto di parità dei sessi. Perché offuscare i dati con l’ottimismo certo non aiuta.
E’ bello apprezzare il fatto che attualmente, nel campo delle scienze, le discriminazioni di genere sono meno diffuse rispetto al passato, e ancor meno rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare. Tuttavia l’articolo delle autrici non dice, per esempio, in che misura il mondo accademico moderno sia libero dal sessismo informale di tutti i giorni, e se le donne che scelgono di intraprendere questa carriera debbano affrontare tra gli altri anche questo ostacolo, e in che misura tutto ciò possa essere per loro stressante. Il mondo della scienza ha chiaramente fatto grandi passi in avanti verso l’uguaglianza di genere, ma è decisamente prematuro sostenere che il sessismo è cosa d’altri tempi.
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BIBLIOGRAFIA:
- Ceci, S. J., Ginther, D. K., Kahn, S., & Williams, W. M. (2014). Women in Academic Science A Changing Landscape. Psychological Science in the Public Interest, 15(3), 75-141.