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Il senso di colpa nei pazienti depressi: come viene vissuto

I pazienti depressi spesso vivono un senso di colpa molto alto e si giudicano negativamente in maniera globale piuttosto che situazionale. 

Di Angelica Gandolfi

Pubblicato il 08 Lug. 2016

E’ possibile ipotizzare che il grave senso di colpa tipicamente esperito dai soggetti depressi, sia (arbitrariamente) autoriferito a se stessi in quanto persone, assumendo caratteristiche di stabilità e globalità, il che causerebbe un intaccamento del valore individuale e dell’autostima. In questo senso, la pervasività dell’emozione e il carico di sofferenza sono comprensibili data l’individuazione del locus di colpevolezza non nell’azione effettuata, quindi situazionale e modificabile, ma nell’esistenza stessa della persona.

Angelica Gandolfi, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

Il senso di colpa nella depressione

Il senso di colpa può essere definito come un costrutto complesso che comprende componenti cognitive, affettive e comportamentali (Tilghman-Osborne, Cole e Felton, 2014). Esso è ritenuto avere un ruolo centrale nei disturbi depressivi. Il Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders (DSM), giunto alla V edizione, pone il senso di colpa tra i sintomi di inclusione per la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore (MDD, Major Depressive Disorder), associandolo a possibili valutazioni negative non realistiche, preoccupazioni e ruminazioni. In questo senso, le persone possono da un lato interpretare in modo distorto eventi quotidiani neutri come prova di difetti personali, dall’altro provare un eccessivo senso di responsabilità per situazioni spiacevoli.

In studi recenti, Zahn e collaboratori (Green, Lambon Ralph, Moll, Deakin e Zahn, 2012; Lythe, Moll, Gethin, Workman, Green, Lambon Ralph, Deakin e Zahn, 2015) hanno trovato, tramite l’utilizzo di tecniche di neuroimmagine, evidenze neurali che supportano questa teoria. Gli autori partono da modelli cognitivi che suggeriscono un nesso di causalità tra valutazioni autocolpevolizzanti e vulnerabilità al disturbo depressivo maggiore (Ghatavi, Nicolson, MacDonald, Osher e Levitt, 2002).

I pazienti con disturbo depressivo maggiore, rispetto alle altre persone, più frequentemente si sentono inadeguati e privi di valore e provano senso di colpa, anche inappropriato (O’Connor, Berry, Weiss e Gilbert, 2002.). Questa tendenza svalutativa, però, è generalmente presente solo nel giudizio verso se stessi e non in quello verso altri. Tali bias e distorsioni cognitive, unitamente ai sintomi distintivi depressivi, sono stati analizzati, in queste indagini, ricercandone una spiegazione ed eventuali anomalie a livello dei sistemi neurali, al fine di favorire la comprensione globale patogenica del disturbo depressivo maggiore.

Neuroscienze: cosa avviene a livello cerebrale

In lavori precedenti, la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) avevano permesso di individuare una regione chiave implicata nella fisiopatologia del disturbo depressivo maggiore, la corteccia cingolata subgenuale, che mostra, nei soggetti con episodi depressivi, alterazioni nel metabolismo a riposo (Drevets, Savitz, Trimble, 2008) e anomalie di connettività con una più estesa rete corticolimbica, di cui fa parte (Sheline, Price, Yan e Mintun, 2010).

Sembra che la corteccia cingolata subgenuale e la regione del setto adiacente (SCSR) si attivino nell’attribuzione di colpa verso se stessi, ma non in quella verso gli altri (Zahn, Moll, Paiva, Garrido, Krueger, Huey e Grafman, 2009). Esse sono connesse al lobo temporale anteriore (ATL), implicato nella concettualizzazione generale dei sentimenti morali, auto ed etero diretti, che definiscono le caratteristiche dei comportamenti sociali propri e altrui (id.). Queste rappresentazioni morali permettono valutazioni adeguate ed equilibrate delle situazioni, calibrando le attribuzioni colpevolistiche, insieme alle cognizioni ed emozioni conseguenti. L’accoppiamento funzionale tra ATL e SCSR risulta quindi essere il correlato anatomico della differenziazione delle esperienze di colpa, che permette ai soggetti sani di incolpare se stessi senza danneggiare la propria autostima o il proprio valore personale (Green, Ralph, Moll, Stamatakis, Grafman e Zahn, 2010). La scoperta di Zahn et al. (Green, Lambon Ralph, Moll, Deakin e Zahn, 2012; Lythe, Moll, Gethin, Workman, Green, Lambon Ralph, Deakin e Zahn, 2015), ancora una volta tramite l’uso della fMRI, è l’alterazione di questa connettività in soggetti, in remissione da un anno, che hanno sofferto di disturbo depressivo maggiore. L’attribuzione di colpa verso se stessi, quindi, in questi individui, non attiva parallelamente la regione dedita alle rappresentazioni morali, per cui non può avvenire un confronto tra il proprio comportamento e le normative concettualizzate. Questo scollegamento comporterebbe il tipico bias per cui le autocolpevolizzazioni depressive risulterebbero esagerate, rigide, generalizzate al valore personale globale, proprio per la mancata razionalizzazione, che sarebbe invece permessa dal confronto con le rappresentazioni morali.

Il legame tra senso di colpa e sintomi depressivi

Per comprendere al meglio i legami che il senso di colpa ha con i sintomi depressivi, tuttavia, pare utile analizzare tale costrutto, per focalizzare in modo migliore sovrapposizioni con alterazioni significative dell’umore.
Miceli e Castelfranchi (1995), che ritengono il senso di colpa come uno dei più pervasivi stati di sofferenza esperibili dall’individuo, rilevano al suo interno tre centrali e fondamentali componenti di tipo cognitivo:
– La valutazione negativa di dannosità. Il colpevole valuta in termini di dannosità o cattiveria l’azione da lui compiuta o la semplice intenzione dell’azione (scopo). Questa è condizione necessaria ma non sufficiente all’esperienza del senso di colpa.
– L’assunzione di responsabilità. È necessario, ma ancora una volta non sufficiente, che il soggetto assuma di aver causato qualcosa direttamente o indirettamente (non nel caso del senso di colpa per l’intenzione all’azione) e di aver (avuto) lo scopo di causare quel qualcosa o, comunque, il potere di evitarlo, prevederlo o prevenirlo.
– La compromissione dell’autostima morale. Per passare da un’assunzione di colpevolezza al senso di colpa, l’individuo deve condividere i valori o le norme rispetto ai quali si sente colpevole. L’azione commessa o ideata e l’assunzione di responsabilità causano, cioè, una compromissione dell’autoimmagine morale, un abbassamento dell’autostima in relazione ai valori personali.

Gli autori considerano quest’ultimo punto come non solo necessario, ma anche sufficiente a generare senso di colpa. Le autovalutazioni negative implicate nella riduzione dell’autostima morale, infatti, avrebbero anche forti implicazioni emotive, riscontrabili in: un senso di sconfitta e umiliazione per non essere stati all’altezza dei propri valori; il rammarico e il rimorso per aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare e che, quindi, si desidera ardentemente non aver fatto; il disprezzo per se stessi, per la propria bassezza morale. Sconfitta, umiliazione, rammarico, rimorso e disprezzo, insieme alla sofferenza con e per la vittima, costituirebbero le componenti emotive di questo stato. A tal proposito, Miceli e Castelfranchi (1995) delineano l’identificazione con la vittima come una componente aggiuntiva del senso di colpa, attribuendole, in particolare, un ruolo importante nella genesi della colpa durante lo sviluppo. Gli autori individuano anche un ulteriore aspetto conseguente un’esperienza simile, confermato da ricerche successive (Zeelenberg e Breugelmans, 2008), quello dell’attivazione dello scopo di riparare, rimediando anche ai danni subiti alla propria autostima.

La riparazione può spiegare le incoerenze, emerse nel corso degli anni, della ricerca sulle relazioni tra senso di colpa e psicopatologia. Tilghman-Osborne e collaboratori (Tilghman-Osborne, Cole e Felton, 2010) considerano tali contraddizioni relative alle definizioni e alle misurazioni del costrutto adottate nei vari studi. In particolare, per quanto riguarda il rapporto con la depressione, alcuni autori hanno definito il ruolo positivo del senso di colpa nella riduzione o nella prevenzione dei sintomi grazie proprio alla funzione di motivare al rimedio e all’espiazione (Tangney,1991). Dal lato opposto, altri studi hanno trovato correlazioni positive tra colpa e depressione, sottolineando la valenza negativa del senso di colpa, che rifletterebbe il dolore e la tensione interiori, con conseguenze sfavorevoli per l’umore (Harder 1995). In generale, i lavori che hanno definito e misurato il senso di colpa come un processo doloroso e disadattivo, hanno trovato correlazioni positive con il disturbo depressivo, mentre gli studi che hanno guardato la colpa come un meccanismo di adattamento hanno identificato correlazioni negative (Tilghman-Osborne, Cole e Felton, 2010). Questa differenza, tuttavia, sembra essere anche legata alla variabile età. Sempre secondo gli autori, la concettualizzazione di colpa avrebbe più probabilità di rimandare a componenti adattive e riparative se applicata ai bambini, a componenti maladattive e disfunzionali se riferita agli adulti.

Il senso di colpa comportamentale e il senso di colpa caratteriale

Un altro modo per spiegare la possibile compresenza di componenti funzionali e non, è prendere come riferimento la distinzione tra senso di colpa comportamentale (BSB, Behavioral self-blame) e senso di colpa caratteriale (CSB, Characterological self-blame) riportata in altri scritti di Tilghman-Osborne e collaboratori (Tilghman-Osborne, Cole, Felton e Ciesla, 2008). Il senso di colpa comportamentale prevede un’attribuzione di controllo all’individuo, in quanto riguarda l’attuazione o la mancata esecuzione di comportamenti che provocano esiti negativi o che avrebbero potuto prevenirli. Il valore adattivo, in questo senso, risiede nella possibilità di riflettere sul proprio comportamento per evitare risultati simili in futuro. Prendendo come esempio il subire un furto per strada, una considerazione a posteriori possibile potrebbe essere “non avrei dovuto camminare da solo di sera”. Il senso di colpa caratteriale, invece, può essere considerato come uno stile cognitivo auto-riflessivo in cui si incolpa se stessi in quanto persone, per carenze individuali, per il proprio carattere. È generalmente accompagnato dall’autocritica, dall’autoconsiderazione di essere totalmente responsabili e meritevoli del risultato negativo e da processi di ruminazione. Riprendendo l’esempio precedente, potrebbe essere formulata l’affermazione autoreferenziale “sono uno stupido e mi metto sempre nei guai”. Sia il senso di colpa comportamentale sia quello caratteriale sono quindi attribuzioni interne di causalità, ma il primo rimanda a componenti modificabili e situazionali, il secondo ad aspetti globali e stabili della persona. Proprio per questo, gli autori hanno trovato il senso di colpa caratteriale maggiormente correlato alla depressione.

Colpa e senso di colpa

Proseguendo nell’analisi delle sfaccettature del costrutto, pare utile riportare anche la distinzione effettuata da Hooge et al. (de Hooge, Nelissen, Breugelmans e Zeelenberg, 2011) tra colpa e senso di colpa, intendendo la prima come un’emozione adattiva, utile agli individui per proteggere e migliorare le relazioni sociali, e il secondo come una valutazione di trasgressione morale reale o immaginaria, che suscita preoccupazione e sentimenti di tensione e rimorso e tendenze all’azione, che ne annullino le conseguenze. La pervasività dello stato di disagio sembra essere dovuto proprio al fattore responsabilità personale, al considerare, cioè, colpa personale l’esistenza e il fare parte della situazione negativa.

Conclusioni

Cercando di integrare tutte le informazioni raccolte, è possibile ipotizzare che il grave senso di colpa tipicamente esperito dai soggetti depressi, sia (arbitrariamente) autoriferito a se stessi in quanto persone, assumendo caratteristiche di stabilità e globalità, il che causerebbe un intaccamento del valore individuale e dell’autostima. In questo senso, la pervasività dell’emozione e il carico di sofferenza sono comprensibili data l’individuazione del locus di colpevolezza non nell’azione effettuata, quindi situazionale e modificabile, ma nell’esistenza stessa della persona.

La discrepanza tra le severità dei giudizi auto ed etero diretti, inoltre, sarebbe dovuto a una disconnessione tra le aree cerebrali coinvolte nell’esperienza del senso di colpa e nella formulazione di rappresentazioni morali. Nel momento in cui, sempre in soggetti vulnerabili alla depressione, sia attribuita a sé una responsabilità per un evento negativo, non vi sarebbe possibilità di effettuare un confronto con standard e norme valoriali appresi, estremizzandone quindi la gravità e l’irrimediabilità.

Lungi dal voler spiegare un modo esaustivo i complicati intrecci tra senso di colpa e sintomi depressivi, il presente lavoro vuole lasciare uno spunto di riflessione sull’importanza della delicatezza nella comunicazione terapeutica con pazienti di questo tipo. Il rischio che aleggia nel favorire l’agentività e un locus of control interno, ponendo l’individuo in posizione centrale e responsabile rispetto alla sua sofferenza, infatti, potrebbe essere quello di incrementare il senso di colpa, le cognizioni di indegnità e le emozioni di disperazione, dovuti al considerarsi la causa irrimediabile del suo dolore. L’avanzamento delle conoscenze sui meccanismi sottostanti la genesi e l’espressione del disturbo è di fondamentale importanza per la strutturazione di terapie che massimizzino le possibilità di miglioramento, strutturate secondo i concetti di gradualità e di personalizzazione.

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