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L’arte di aiutare gli altri: il modello di Carkhuff

Il modello di Carkhuff consente di creare relazioni d'aiuto capaci di favorire la crescita delle persone coinvolte per mezzo della relazione stessa. 

Di Grazia Martina

Pubblicato il 18 Lug. 2016

Aggiornato il 04 Ott. 2019 14:48

Il modello di Carkhuff offre una base per comprendere e gestire le relazioni umane come tali. In particolare, permette di forzare le relazioni, attraverso una sistematica formazione e può diventare una relazione d’aiuto, che consiste in processi che comportano la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi e delle risorse che da ciò ne possono scaturire.

Grazia Martina, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

 

Il modello di Carkhuff: introduzione

[blockquote style=”1″]Tutti noi, nessuno escluso, siamo nati con le potenzialità per crescere. Se impariamo a mettere in pratica questo potenziale, vivremo una vita d’intensità e di pienezza indicibili. Riusciremo a sviluppare delle risposte di crescita che ci permetteranno di andare ovunque e di fare qualsiasi cosa.[…] Crescere è la nostra vera ragione di vita. I processi umani rappresentano il veicolo della nostra crescita. Noi, come esseri umani, siamo il prodotto dei nostri processi. In effetti, siamo umani solo se siamo in grado di gestire i processi umani. E alla fine, o moriremo crescendo, oppure moriremo condizionati ed impotenti, profughi e senza casa nel nostro stesso mondo.[/blockquote]

Allievo di Rogers, psicoterapeuta, è considerato il più grande esperto internazionale di counseling e relazione d’aiuto. Il modello di Carkhuff integra le feconde intuizioni della Scuola Rogersiana con gli approcci di tipo cognitivo comportamentale, in un’esposizione semplice, piana e rigorosa, che chiarisce ed approfondisce le abilità fondamentali del processo di aiuto: prestare attenzione, rispondere, personalizzare, iniziare.

 

L’influenza di Rogers al modello di Carkhuff

Migliorare i processi terapeutici è stata l’ossessione di Carkhuff, e in questo sforzo ha seguito Rogers: migliorare i processi terapeutici significava innanzitutto migliorare i processi interpersonali nella terapia o nel processo d’aiuto. Potremmo dire che Rogers è più filosofo, mentre Carkhuff è più pragmatico e più concentrato sui dettagli delle cose. Ciò che a lui interessa prioritariamente sono gli aspetti tecnici legati all’efficacia della relazione di aiuto (professionale e non professionale) e l’efficacia dei metodi formativi (o addestramento) indispensabili per l’acquisizione “meccanica” di questa particolare competenza umana. Migliorare i processi terapeutici significava innanzitutto migliorare i processi interpersonali nella terapia o nel processo di aiuto.

Rogers aveva individuato una triade di atteggiamenti personali che lui riteneva condizioni necessarie e sufficienti perché i processi interpersonali si dispieghino in senso costruttivo e pertanto l’aiuto si realizzi.

Il primo atteggiamento è quello di genuinità o spontaneità dell’operatore di aiuto. Nel processo di aiuto, la genuinità dell’operatore si evidenzia nell’essere sempre se stesso, sempre in collegamento con i propri sentimenti e con ciò che nel rapporto si sta svolgendo dentro di lui, senza sentire la necessità di negarlo o di deformarlo. La genuinità implica la congruenza fra i livelli psicologici (fra ciò che sente, ciò che pensa, ciò che si fa e ciò che si è).
Data la premessa che l’operatore sia un essere psicologicamente costruttivo, la genuinità è, per Rogers, la condizione base dell’aiuto, sulla quale vanno ad appoggiare tutte le altre.
Senza genuinità, l’helper ( ovvero chi aiuta) è reso da se stesso inefficace prima ancora di iniziare ad operare.

La seconda disposizione umana è ciò che Rogers chiama accettazione incondizionata o considerazione positiva incondizionata. La persona è accettata indipendentemente da ciò che pensa, fa, o dice, solo per quello che è e per la sua motivazione a cambiare.
L’atteggiamento di accettazione incondizionata si riflette nella capacità dell’helper di interagire senza dare giudizi morali né di riprovazione né di approvazione. Il processo di aiuto è un’opportunità che si offre alla persona per prendere piena consapevolezza di comportamenti o modi di essere che possono presentarsi come moralmente riprovevoli, anzi che spesso lo sono, perché è anche per questo che l’aiuto viene chiesto. Il processo di aiuto deve servire a rinforzare questa presa di coscienza morale della persona e la disponibilità a cambiare.
Il poter trovare un interlocutore non giudicante e affettuoso è per Rogers la condizione essenziale per lo sviluppo di una piena maturità della persona.

Il terzo atteggiamento personale consiste nella comprensione empatica. Mentre le prime due disposizioni costituiscono il terreno di base su cui si costruisce il rapporto con l’altra persona, quest’ultima disposizione è più fine e interviene quando già il rapporto esprime i suoi contenuti e la sua dinamica particolare. La comprensione empatica riguarda appunto la capacità dell’helper di cogliere accuratamente la situazione personale di colui che gli sta di fronte: da ciò che dice e da ciò che è. La comprensione accurata dell’altro dovrebbe prodursi con un insieme di sentimento (coinvolgimento affettivo) e di intelligenza percettiva.

Queste tre disposizioni personali hanno la caratteristica di essere di tipo “passivo”. Un helper capace di autenticità, di accettazione completa, di empatia accurata è un operatore che ha sviluppato una piena competenza responsiva, una capacità cioè di accogliere la persona dell’altro, creare un’ecologia relazionale, un “clima” o “un’atmosfera” dentro la quale la persona si sente accettata e ben protetta.

 

Il modello di Carkhuff

Il modello di Carkhuff offre una base per comprendere e gestire le relazioni umane come tali. In particolare, permette di forzare le relazioni, attraverso una sistematica formazione e può diventare una relazione d’aiuto, che consiste in processi che comportano la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi e delle risorse che da ciò ne possono scaturire.

Nel contesto della relazione d’aiuto, è possibile individuare una linea di “ specializzazione progressiva” che parte dalle relazioni spontanee nella vita quotidiana per arrivare a forme d’aiuto via via più complesse, che si definiscono, a seconda del loro grado di strutturazione o di profondità, come counseling e psicoterapia. Egli riassume il processo d’aiuto nel modello di Carkhuff, come egli stesso riporta, nel seguente modo:
– per cambiare o migliorare, i clienti devono agire in modo diverso da quanto fatto in precedenza: agire per muoversi da dove si trovano a dove vogliono essere;
– per riuscire a fare questo devono capire accuratamente i propri obiettivi e come raggiungerli: capire dove si trovano in rapporto a dove desiderano essere;
– per capire questo devono esplorare il loro mondo in maniera esperienziale: capire dove si trovano in rapporto al loro mondo ed alle persone per loro significative.

I clienti devono poi imparare ad utilizzare il feedback delle loro azioni per riciclare l’intero processo  nella direzione di una più accurata esplorazione e comprensione dei suddetti elementi, perseguendo un’azione sempre più efficace nella direzione dei loro obiettivi.

Carkhuff ha esteso entrambi i punti fondamentali del sistema rogersiano, vale a dire
– l’analisi delle disposizioni personali dell’operatore d’aiuto;
– l’articolazione dell’apparato tecnico metodologico, indispensabile per una relazione d’aiuto efficace.

E’ stato dimostrato che, l’efficacia di una relazione di aiuto si può ricondurre a due fattori generali: il rispondere e l’iniziare. Il fattore rispondere richiede che gli helper sappiano entrare nello schema di riferimento degli “ helpee “ (chi riceve aiuto) e sappiano comunicare con grande accuratezza, una loro reale comprensione delle esperienze a loro volta comunicate dagli helpee.

Il fattore rispondere rileva l’importanza di dimensioni quali l’empatia o sensibilità; il rispetto o calore umano; concretezza o specificità dell’helper nel mettere a fuoco il vissuto degli helpee e altre abilità ancora. L’abilità dell’helper di rispondere facilita, da parte degli helpee, l’esplorazione del loro vissuto e lo sviluppo dell’insight.

In seguito, il modello della relazione d’aiuto è stato completato con l’aggiunta delle cosiddette abilità di pre-aiuto o di prestare attenzione. Prestare attenzione agli helpee facilita il loro coinvolgimento nel processo d’aiuto. Attraverso l’azione, gli helpee producono e ricevono un feedback: quest’informazione retroattiva che scaturisce dall’azione, mette in moto un processo in cui le fasi dell’aiuto si riattivano nuovamente, riciclandosi.

L’obiettivo finale dell’aiuto è quello d’impegnare gli helpee in processi che portano alla crescita e allo sviluppo delle loro dimensioni umane. L’oggetto considerato non sono più le attitudini generali dell’helper quanto piuttosto le specifiche abilità che devono essere sequenzialmente messe in atto nel processo di aiuto.

Possiamo concludere l’ analisi del modello di Carkhuff definendolo come:

– un modello bipolare: descrive contemporaneamente la dinamica dei processi intrapersonali e la dinamica interpersonale. Ciascuna delle abilità o competenze dell’helper (prestare attenzione; rispondere; personalizzare; iniziare) è collegata ad una fase di maturazione o sviluppo dell’helper (essere coinvolto e motivato al processo di aiuto; esplorare la propria situazione verbalizzando ed esponendo all’helper il “materiale” attorno al quale verte la difficoltà; comprendere il proprio ruolo, i deficit, le risorse, le prospettive, gli obiettivi; agire, nel senso di organizzare delle azioni concrete per la soluzione del problema, raggiungere qualche obiettivo). Su questa “corrispondenza” fra abilità dell’helper ed effetto di attivazione che si produce nell’helpee, Carkhuff insiste particolarmente.

– un modello sequenziale: la proposta dell’ autore descrive una linea progressiva di abilità che va da quelle relativamente più semplici e basilari a quelle via via più complesse. Il modello di Carkhuff indica una traccia di training ma anche una scala di misurazione del grado di competenza interpersonale raggiunto dall’operatore di aiuto, scandisce le priorità e l’ordine con cui tali abilità vanno via via introdotte nel processo di aiuto.

– un modello bifasico: evidenzia una fase che è possibile chiamare “discendente” (o interiorizzante) e una fase ascendente (o esteriorizzante). Le operazioni tecniche delle prime due fasi del modello, il rispondere e il personalizzare portano la persona a immergersi in se stessa, a prendere conoscenza di sé, oltreché del suo “problema”; è un lavoro di riordino mentale ed emotivo gradatamente sempre più profondo affinché la persona possa scavare dentro di sé le fondamenta di un agire solido e correttamente direzionato. Le operazioni della fase finale, l’iniziare, è invece uno stimolo per risalire dallo psichismo verso un comportamento esterno, per passare dal momento di preparazione psicologica all’azione e al vivere veri e propri.
La tecnica discendente del rispondere è la tecnica rogersiana della riformulazione.
La tecnica ascendente dell’iniziare costituisce invece la parte originale del suo modello.
La tecnica del personalizzare è stata introdotta nel modello a metà fra il rispondere e l’iniziare, proprio per costituire un cuscinetto di raccordo fra questi due punti apparentemente inconciliabili.
Il modello è sincretico, cioè composto mediante integrazione di vari orientamenti di aiuto, alcuni anche fra loro tradizionalmente in antitesi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carkhuff,R.R. (1973). A guide for developing helping skills for parents, teachers and counselors. Human Resource Development Press, USA.
  • Liotti, G.,Monticelli, F.(2014). Teoria e clinica dell’ alleanza terapeutica. Una prospettiva cognitivo-evoluzionista. Raffaello Cortina Editore. Milano.
  • Psicologiadellavoro.org.( 2013). Studio Castello Borgia, Bologna.
  • Rogers, C. R. (1951) Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory, Houghton Mifflin.
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