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Il Colloquio Psicologico: Il Colloquio Tra Rogers & Carkhuff

Colloquio Psicologico. Autori che si sono occupati di colloquio psicologico e definiti i padri di due approcci antitetici: Rogers e Carkhuff

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 28 Dic. 2012

Aggiornato il 20 Feb. 2013 10:58

 

Il Colloquio Psicologico: Il Colloquio Tra Rogers & Carkhuff. - Immagine: © Gina Sanders - Fotolia.comColloquio Psicologico. Autori che si sono occupati di colloquio psicologico e definiti i padri di due approcci antitetici: Rogers e Carkhuff

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Due autori che si sono occupati di colloquio psicologico e che possono essere definiti i padri di due approcci antitetici su questo argomento sono Rogers e Carkhuff. Il loro approccio è diametralmente opposto, più classico e non-direttivo quello del primo, più tecnologico e direttivo l’altro.

Carl Rogers è il padre del colloquio psicologico non-direttivo, per lo meno nella sua forma classica. Egli apparteneva alla corrente dei fenomenologi e, per questo, riteneva che ognuno percepisse il mondo in un modo unico e proprio. Queste percezioni individuali costituivano quello che lui chiamava “campo fenomenico” di una persona. Questo campo comprende sia le percezioni consce che quelle inconsce anche se Rogers [1951]considerava le percezioni consce e quelle che potevano esserlo alla base del comportamento umano.

Una parte di queste percezioni consce, sempre appartenenti al campo fenomenico della persona, riguarda il “sé”, il “me” e l’”io”.

Queste sono le percezioni che definiscono il Sé che, quindi, è legato a contenuti che possono avere accesso alla nostra coscienza. Al fianco di questa idea di Sé emerge anche un’idea di Sé Ideale. Questo concetto è inteso come l’insieme delle percezioni, riferibili all’area del Sé e particolarmente apprezzate dal soggetto, che vorrebbe facessero parte della propria idea di Sé. Queste idee di Sé influenzano il comportamento umano.

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Quest’ultimo, secondo Rogers [1951],sarebbe teso all’autorealizzazione (riducendo i bisogni ed esaltando piaceri e soddisfazioni), al mantenimento della coerenza del sé (evitando il conflitto interno)  e della congruenza tra sé ed esperienza (evitando stati di incongruenza). Gli stati di incongruenza emergono nel momento in cui si realizza una frattura tra il sé percepito e un esperienza reale, e le conseguenze sono confusione e potenziale angoscia (se questa frattura rimane a livello inconscio). Se un’esperienza è potenzialmente minacciosa e in grado di creare una frattura di questo tipo possiamo proteggerci attivando meccanismi di difesa. Da queste esperienze nasce la patologia. Il Sé nevrotico si è strutturato in modo non congruente all’esperienza dell’organismo, e costringe quest’ultimo a negare la consapevolezza delle esperienze sensoriali ed emotive che generano il contrasto. Ciò avviene attraverso meccanismi di distorsione e negazione.

Il Colloquio Psicologico - Introduzione. - Immagine: © emiliau - Fotolia.com
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Questo è il paziente affrontato da Rogers nei suoi colloqui psicologici. Per l’autore [Rogers e Kinget, 1965]non esiste differenza tra il primo colloquio e i successivi poiché non si percorre una via centrata sull’evoluzione dei contenuti, ma sul mantenimento della corretta forma del colloquio. Il terapeuta non entra nel merito dei contenuti, lasciandoli nelle mani della conduzione del cliente, ma si concentra sulla realizzazione dei requisiti formali, fondamentali per il buon esito del colloquio stesso.

Questo buon esito si realizza quando, grazie alla semplice azione di supporto del terapeuta, l’io del cliente viene rafforzato a tal punto da permettergli di uscire dai rigidi schemi stereotipati in cui era rinchiuso. Ciò gli permette di osservare le proprie esperienze da nuovi punti di vista che le rendono accettabili e non più fonte di angoscia. I tre requisiti necessari perché il colloquio possa svolgere questa funzione sono [Pervin e John, 1997]:

1)  Congruenza e genuinità: il terapeuta genuino è sé stesso. Egli è onesto e si presenta al cliente com’è, senza maschera alcuna. è in grado di creare un rapporto di fiducia con il cliente fondato sulla reciproca sincerità. Il terapeuta è libero di costruire un rapporto uguale a quello tra persona e persona, può condividere i sentimenti positivi, ma anche negativi, con il cliente.

2)  Considerazione positiva incondizionata: si realizza nel momento in cui il terapeuta riesce a trasmettere un grande senso di accettazione al cliente, un accettazione totale e incondizionata che implica l’assenza di qualsiasi forma di giudizio verso valori anche deprecabili. Questa considerazione si fonda sulla necessità di non dimenticare il valore universale della persona in quanto tale, che rimane costante indipendentemente dai suoi pensieri, dalle sue emozioni e dai suoi comportamenti. Questa condizione permette la creazione di un atmosfera di calore e comprensione all’interno della quale viene favorita l’esplorazione del proprio Sé da parte del cliente.

3)  Comprensione Empatica: essere empatici equivale a percepire le esperienze e il loro significato per il cliente, mettersi nei suoi panni pur rimanendo sé stessi, accettando la sua sensibilità e la sua logica. Attraverso questa capacità il terapeuta è in grado di comprendere i problemi della persona che gli sta di fronte e di entrare in contatto con le sue emozioni, con il suo modo di vedere le cose e con il suo modo di interpretare la realtà [Galeazzi e Franceschina, 2001].

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  Questi sono i requisiti di base di quella che Rogers definisce come terapia centrata-sul-cliente le cui caratteristiche principali [Rogers 1942, 1977] sono: a) la profonda fiducia nelle capacità del cliente e nel percorso di crescita, realizzazione e congruenza; b) l’accento sull’importanza del rapporto terapeutico in cui il terapeuta deve cercare di comprendere il cliente e di trasmettere questa volontà di comprensione e, infine, c) la prevedibilità del processo terapeutico.

Tutto ciò si realizza in un colloquio psicologico non-direttivo in cui il terapeuta si preoccupa di agire come uno specchio (attraverso parafrasi, eco, giustificazioni e riflessioni) sia per mostrare la propria empatia e il proprio impegno a comprendere il cliente, sia per permettere a quest’ultimo di guardare sé stesso dall’esterno e, cioè, guardare sé stesso attraverso il terapeuta-specchio. In questo modo può scoprire nuovi punti di vista e nuove prospettive da cui poter valutare le proprie difficoltà. Aiutare l’altro a scoprirsi rappresenta un’esperienza unica e, anche per questo, ogni colloquio ha, secondo Rogers, la medesima importanza del primo [Fine e Glasser, 1996].

Carkhuff ha in comune con Rogers l’idea che il raggiungere qualcosa nel colloquio sia in realtà un far emergere qualcosa [Anchisi, 1999, in Fine e Glasser, 1996]. È il soggetto, attraverso il colloquio, a comprendere e a definire i propri obiettivi.

La Funzione Riflessiva nel Paziente e nel Terapeuta. - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Tuttavia esistono molte differenze tra questi due approcci. Anziché essere centrato-sul-cliente il focus principale del colloquio di Carkhuff è il problema [Carkhuff, 1987]. Ciò ha comportato il distacco da alcune delle tematiche, care all’eredità psicoanalitica di Rogers, quali, ad esempio, l’analisi del passato e del suo rapporto con il disturbo del cliente. L’obiettivo di questa impostazione di base è quello di costruire un colloquio che sia funzionale ed economico, efficace ed efficiente. Questo colloquio deve fare scomparire il problema piuttosto che mostrare accettazione incondizionata o comprensione empatica. Quelli che importano sono, prima di tutto, i contenuti rispetto alla forma.

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Per poter realizzare ciò Carkhuff sottolinea l’importanza di un percorso metodologico ben definito da seguire che possa ottimizzare la terapia e ottenere il maggior numero di risultati nel minor numero di sedute possibili. Questo percorso metodologico è definito da protocolli, insieme di regole che sanciscono il modo in cui il colloquio deve essere strutturato per ottenere risultati con rapidità. Questi protocolli, che guidano il comportamento del counselor e la strutturazione della sessione di colloquio, possono essere di diversi tipi, in relazione al problema che ci si trova a dover affrontare.

Adottare questi protocolli vuol dire anche riconoscere un ruolo diverso al primo colloquio rispetto a quelli successivi in quanto le diverse sessioni hanno diverse funzioni all’interno del percorso metodologico.

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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