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P.A.T.H. (planning alternative tomorrows with hope): come e perché utilizzare strumenti di sviluppo personale nei percorsi di ripresa per persone con diagnosi psichiatrica

Oggi si ricercano strumenti centrati sulla persona con diagnosi psichiatrica, sui suoi obiettivi e narrazioni, uno strumento molto utile è il P.A.T.H.

Di Roberta Casadio

Pubblicato il 25 Lug. 2016

Negli ultimi decenni, nel panorama letterario, scientifico, e dei servizi di salute mentale, sono emersi nuovi approcci che promuovono forme di guarigione sociale, clinica e personale in casi di diagnosi psichiatrica.

Roberta Casadio – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, Modena

 

 

Il primo studioso a teorizzare diverse sfaccettature dei processi di ripresa fu Anthony che nel 1993, scrisse sul Recovery:

 Un processo profondo e unico di cambiamento delle attitudini, valori, sentimenti, obiettivi, abilità e ruoli. Sentirsi realizzati vivendo una vita soddisfacente, piena di speranza nonostante le limitazioni causate dalla malattia. Recovery comporta lo sviluppo di nuovi significati e apprendimenti nella vita di una persona che cresce e si sviluppa oltre gli effetti catastrofici della condizione patologica

Insieme al paradigma del Recovery ne sono emersi altri ad esempio: ‘Whole Life, Whole person, Whole System’, ‘Open Dialogue’ e persino ‘Tojisha Kenkyu‘ in Giappone. Essi hanno lo scopo di promuovere un cambiamento di cultura sulla malattia mentale, ridurre lo stigma interno ed esterno associato alla condizione patologica e favorire possibilità di guarigione anche in condizioni considerate croniche come nei casi di schizofrenia.

Tali approcci riguardano non solo una metodologia, ma anche l’assetto dei servizi e delle organizzazioni che promuovono salute mentale come ad esempio nel caso dell’Open Dialogue che in Finlandia dell’Ovest è l’unico approccio utilizzato con pazienti con diagnosi psichiatrica (Seikkula et al. 2009).

In comune questi approcci, fortemente attuali oggi, hanno alcuni elementi che riguardano un maggior focus sul problema anziché sulla diagnosi psichiatrica, sui valori anziché sulle tecniche, sull’intervento immediato e sul coinvolgimento della rete sin dalle prime fasi della crisi, sulla (ri)costruzione di una rete sociale supportiva forte, sulla considerazione della realtà vissuta dal soggetto come tale anziché sulla patologizzazione dei comportamenti, sulla esplorazione di possibilità di miglioramento piuttosto che l’implementazione di modelli prestabiliti di trattamento (soprattutto farmacologico o socio-riabilitativo).

 

 

I limiti del paradigma medico nei casi di diagnosi psichiatrica

Sebbene nel paradigma Bio-Psico-Sociale (i.e. Waltzer, 1982) siano considerati diversi fattori all’origine del disturbo, spesso, di fatto, gli interventi si concretizzano in cura centrata sul riassetto degli squilibri chimici a livello celebrale, e quindi sull’aspetto biologico, tanto che ad oggi il farmaco rimane il rimedio considerato come fondamentale nella maggioranza dei casi di diagnosi di schizofrenia.

Negli ultimi anni, si sono sempre più fatte strada visoni diverse che mettono in discussione il paradigma medico tradizionale discostandosi da ogni forma di riduzionismo, incluso quello biologico. Questa riflessione è supportata dalla diffusione e dalla forte considerazione che ha riscontrato il libro ‘Indagine su una Epidemia’ scritto dal giornalista americano Robert Whitaker, il quale fornisce una argomentazione scientifica, basata sulla raccolta di dati longitudinali di grandi popolazioni in merito agli effetti a lungo termine dell’utilizzo degli psicofarmaci. La domanda dalla quale egli parte è quanto gli psicofarmaci abbiano influenzato il decorso a lungo termine dei disturbi mentali negli ultimi decenni, e quanto siano aumentate le probabilità che le persone con diagnosi psichiatrica in cura farmacologica abbiano una prognosi maggiormente favorevole considerando l’evoluzione della scienza e della farmacologia. Sulla base dei dati raccolti, il giornalista suggerisce maggiore cautela nell’utilizzo di psicofarmaci, sopratutto neurolettici.  Riprendendo le parole di Peter Tyrer.

E’ arrivato il momento di riconsiderare il principio secondo cui gli antipsicotici debbano essere sempre la prima scelta nel trattamento delle persone con un episodio psicotico. Non si tratta di un urlo selvaggio dalla foresta, ma di un’opinione presa in considerazione da importanti ricercatori …. Ci sono evidenze scientifiche sempre più convincenti che ci dicono che, se consideriamo gli effetti avversi degli antipsicotici, il gioco  – per esprimerci in modo semplice – non vale la candela.

Peter Tyrer, Editor – British Journal of Psychiatry, August 2012

 

Dunque, la tematica di re-definizione personale, in particolare dall’essere malato cronico all’essere attore di un percorso di ripresa, si posiziona al centro dell’approccio attuale. Le parole riabilitazione e cura, così strettamente legate a quelle di cronicità e malattia mentale possono lasciare maggior spazio a quelle di ripresa e diversità. In questa prospettiva, ciascuno può fare un percorso di consapevolezza riguardante i propri limiti o le proprie potenzialità che gli permetta di raggiungere le proprie aspirazioni.

 

 

Diagnosi psichiatrica: oltre il paradigma medico

I significati che vengono attribuiti all’esperienza di vita e alle narrazioni personali assumono una importanza particolare nel confermare la malattia oppure nel supportare il percorso verso il benessere e la ripresa, di cui la persona è protagonista. L’obiettivo è dunque quello di contribuire a risolvere problematiche personali, sociali o relazionali che possono aver prodotto una diminuzione del benessere mentale, in modo tale che la persona possa tornare (o iniziare) a ricoprire un ruolo sociale significativo, potendo contare su un sistema di supporto sociale efficace. La collaborazione tende a incoraggiare la riscoperta di un senso positivo di sé, l’accettazione non rassegnata della realtà nei suoi aspetti più disagevoli e problematici nonché l’attribuzione di senso alle proprie esperienze, anche quelle negative.

Date queste premesse, le implicazioni dal punto di vista degli interventi e delle politiche dei servizi di salute mentale sui pazienti, inclusi quelli con diagnosi di schizofrenia, sono chiare: da un lato si limita l’impatto sfavorevole di diagnosi sui soggetti, dall’altro si cerca di diminuire lo stigma legato all’esperienza di udire le voci o avere altre percezioni considerate inusuali favorendone la ripresa dagli aspetti che causano disagio. Da un lato si diversificano i tipi di intervento e possibilità rivolte alle persone con diagnosi psichiatrica, dall’altro si cercano strumenti innovativi che possano favorire la comprensione delle possibilità, in una dialettica paritetica in cui la persona con esperienza diretta possa essere accompagnata nell’attraversare le difficoltà connesse al disagio.

E’ proprio per rispondere a questa esigenza che si ricercano strumenti di pianificazione centrati sulla persona con diagnosi psichiatrica, che permettano quindi di collaborare intorno a degli obiettivi come definiti dal soggetto e dalle sue narrazioni. Essi, non necessariamente riguardano la riduzione della disabilità connessa alla malattia, la prevenzione delle ricadute e delle ospedalizzazioni, l’ aderenza alla terapia farmacologica, la gestione dei sintomi connessi alla malattia etc. ma piuttosto, le aspirazioni, il rafforzamento di una identità positiva, e altri aspetti che riguardano la persona nel suo complesso, e la sua intera vita.

 

 

Il P.A.T.H. :  Planning Alternative Tomorrows With Hope

Il P.A.T.H. ben si inserisce in questo panorama, rappresentando uno strumento che si addice alla collaborazione paritetica tra il soggetto e figure di riferimento (es. amici, operatori di riferimento, clinici e familiari) allo scopo di  costruire, mediare e negoziare significati e possibilità. P.A.T.H. è un acronimo che significa Planning Alternative Tomorrows With Hope (trad. Pianificare un Futuro Alternativo con Speranza).

 

P.A.T.H. (planning alternative tomorrows with hope) come e perché utilizzare strumenti di sviluppo personale nei percorsi di ripresa di persone con diagnosi psichiatrica
Esempio di P.A.T.H.

 

E’ uno strumento di pianificazione personale potente, creativo, basato sul disegno; è orientato all’azione, è personale ed incentrato sullo sviluppo di narrative. Si tratta di uno strumento che accompagna delle fasi di cambiamento all’interno di un processo sociale, processo che non avviene in solitudine, ma all’interno di un circolo di supporto.

Non è uno strumento che viene utilizzato sulla persona, non è una valutazione o un test, ma la modalità di compilazione avviene secondo il principio della co-produzione e quindi assume direzioni e caratteristiche diverse in funzione di chi lo disegna.

E’ stato creato da Marsha Forest, John O’Brien e Jack Pearpoint, nel 1991 e può essere usato come strumento di pianificazione per ogni transizione di persone o gruppi. Inizialmente è stato usato all’interno di scuole, con ragazzi pre-adolescenti, ma anche in teams, distretti, scuole e aziende. Si parte dai sogni per focalizzare meglio degli obiettivi realizzabili, la rete di supporto, i punti di forza e un piano d’azione. Ecco alcune domande che rappresentano dei punti fondamentali per la costruzione del piano:

  1. Quali sono le parole chiave o immagini che rappresentano i tuoi sogni?
  2. Quali obiettivi ci potremmo dare in un anno di tempo?
  3. Tornando al presente, guardando alla tua situazione in modo più oggettivo possibile, come la descriveresti?
  4. Quali persone vorresti coinvolgere nel tuo percorso?
  5. Per muoversi verso i tuoi obiettivi, servono energie e forze, ci saranno difficoltà da superare e problemi da risolvere, cosa ti serve per rimanere sulla rotta del tuo percorso?
  6. Rifletti sui tuoi obiettivi e pensa ai prossimi 3 (o 6 ) mesi, dovrebbe essere un tempo sufficiente per intraprendere azioni verso il loro raggiungimento, quali azioni avrai intrapreso?
  7. Il primo passo: identifica la prima azione, quali persone possono supportarti e come aggirare possibili difficoltà

 

 

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Roberta Casadio
Roberta Casadio

Psicologa clinica e specializzanda in psicoterapia cognitivo-comportamentale, Recovery worker

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adams, N., Grieder, D. (2005). Treatment planning for person centred care: The road to mental health and addiction recovery. Maryland Heights. Elsevier.
  • Anthony, W. A. (1993). Recovery from mental illness: The guiding vision of the mental health service system in the 1990s. Psychosocial Rehabilitation Journal, Vol 16(4), 11-23.
  • Forest, M., O’Brien, J. & Pearpoint, J. (1991). Person-centred planning with MAPS and PATH: a workbook for facilitators. Inclusion Press Inc.
  • Miceli, M. & Castelfranchi C. (2010). Hope. The power of wish and possibility. Theory and psychology, 20 (2), 251-276.
  • Seikkula J., Aaltonen, J., Alakare, B., Haarakangas, K., Keranen, J.,  Lehtinen, K. (200) Five years experience of first episode non affective psychosis in open dialogue approach: treatment principles, follow up outcomes and two case studies. Psychotherapy research, 16, 2, 214-228.
  • Slade, M. (2009) The contribution of mental health services to recovery. Journal of Mental Health, 18 (5), 367-371.
  • Waltzer, H. (1982). The biopsychosocial model for brain inpatient treatment of the schizofrenic syndrome. Psychiatr Q., 54, 97-108.
  • Withaker, R. (2013). Indagine su un’epidemia. Giovanni Fioriti Ed
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