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Le competenze psicoterapiche del manager musicale

Il manager musicale è una figura che fornisce aiuto e sostegno agli artisti anche in caso di difficoltà psicologiche ed emotive. 

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 14 Giu. 2016

Viene riconosciuto da diverse testimonianze che la cosa più importante che il manager musicale può fare nei casi di problemi psicologici degli artisti è quella di saper ascoltare ed eventualmente indirizzare a servizi specialistici o professionisti competenti.

 

La figura del manager musicale

La leggenda narra che Amy Winehouse nello scrivere la canzone “Rehab”, in cui dichiara di non volersi curare, si rivolgesse al proprio manager, una figura che nel mondo della musica si dedica tradizionalmente non solo agli aspetti professionali e commerciali di un artista, ma anche ai bisogni più personali ed emotivi dell’artista.

In occasione della recente settimana di sensibilizzazione sulla salute mentale, è apparso sull’inglese The Guardian un interessante articolo di Fiona McGugan (Music Manager Forum) che sottolinea il ruolo sempre più importante della figura del manager musicale nella tutela della salute mentale degli artisti. Si parla della formazione di manager “emozionalmente responsabili” e di training specifici per affrontare esaurimento nervoso, alcolismo, ansia da palcoscenico, blocco creativo etc.

Negli ultimi anni si è assistito a una lunga serie di coming out di artisti che hanno raccontato le proprie importanti difficoltà psicologiche, con ripercussioni positive sulla lotta allo stigma della malattia mentale. Lo scorso settembre, ad esempio, il noto cantante del Libertines Pete Doherty ha cancellato un concerto all’ultimo minuto a Londra a causa di una importante crisi di panico e la dichiarazione del manager è stata quella di “voler mettere al primo posto la salute di Pete e le sue cure” a discapito dello show. Sicuramente un atteggiamento più prudente ed umano se confrontato con altri casi precedenti (vedi la stessa Amy Winehouse).

In realtà viene riconosciuto da diverse testimonianze che la cosa più importante che il manager musicale può fare nei casi di problemi psicologici degli artisti è quella di saper ascoltare ed eventualmente indirizzare a servizi specialistici o professionisti competenti.

 

Il Music Support

Considerate le dimensioni del problema è nato in Inghilterra il Music Support, un collettivo no profit di volontari e professionisti che garantisce aiuto e supporto psicologico a chiunque lavori nell’industria musicale (quindi non solo i musicisti, ma anche turnisti, roadies, manager, etc.) e che sia affetto da dipendenze e altri disturbi mentali. Il loro motto è “non devi soffrire in silenzio”. Tra i promotori dell’associazione figurano musicisti, operatori discografici con pregressi problemi di dipendenza e disturbi psichiatrici e tra i sostenitori dell’iniziativa compaiono addirittura i Coldplay, sempre molto sensibili alle questioni sociali.

Nel sito si accenna a come alcuni aspetti dello stile di vita di chi lavora nel mondo della musica possano rappresentare dei potenziali stressors per lo sviluppo di problemi psichiatrici e dipendenze. Tra i principali fattori stressanti vengono ad esempio inclusi il dover corrispondere alle aspettative del pubblico, i rapidi cambiamenti nello stile di vita legati al successo o all’insuccesso, i lunghi tour alternati a periodi di forzato riposo, l’insicurezza economica, etc. Il video di presentazione del servizio è particolarmente struggente.

 

La Help Musician in UK: un’altra charity dedicata agli artisti

Help musician UK è un’altra charity dedicata ai musicisti più in senso lato, nel senso che si occupa anche di aiuti sociali ed assistenziali (pensione, etc), ma che recentemente ha lanciato l’indagine MAD (Music and Depression), uno studio in collaborazione con l’Università di Westminster sulla salute mentale di chi fa musica (secondo precedenti analisi da parte della stessa associazione, il 60% dei musicisti avrebbe sofferto di depressione o altri disturbi in qualche fase della vita). L’obiettivo dello studio compilabile online è quello di capire in modo più preciso i bisogni di questa categoria per allestire servizi specializzati.

Gli inglesi, maestri di pragmatismo e organizzazione, sono bravissimi nella costituzione di questo tipo di charities (ne esistono praticamente per ogni tipo di problema e di sottocategoria di problema). Sarebbe interessante capire se anche dalle nostre parti potrebbero funzionare. Un buon testimonial per un’iniziativa del genere a mio avviso potrebbe essere il “webistrattato” Gianluca Grignani.

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