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Arriva l’estate: come si modificano l’umore e lo stato della mente

In estate è possibile che ci sia un aumento degli episodi maniacali come anche un peggioramento dei sintomi di ansia e depressione. 

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 24 Giu. 2016

D’estate s’impazzisce di più? Ma no, succede anche d’inverno! Però oggi parliamo di estate, l’estate che sta arrivando. E allora scriviamo che in estate s’impazzisce di più in certe forme, mentre d’inverno s’impazzisce di più in altre forme che oggi non c’interessano, ne riparleremo a settembre.

Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 18/06/2016

Lo stato della mente in relazione alle stagioni

Fin dall’età classica si riteneva che lo stato della mente, l’umore come si diceva allora, fosse sensibile alle stagioni. Secondo Ippocrate, nei periodi freddi prevale la produzione della bile nera, responsabile della melanconia – quella che oggi chiamiamo depressione– mentre in estate vince la produzione della bile gialla, causa della collera che oggi chiamiamo episodio maniacale. Ovvero euforia, senso di grandiosità, entusiasmo irrefrenabile, attenzione saltellante, spese pazze decise sull’onda di una gioia patologica, loquacità querula, insopportabile e fastidiosa, amichevolezza invadente e inopportuna, e così via. E soprattutto: il maniacale non dorme mai, e non ti molla finché, crollando da sonno, sei tu, l’amico o il parente, che chiami il soccorso psichiatrico. Lui o lei no, non lo farebbe mai, la persona in stato maniacale si sente benissimo, mentre fuori sul balcone sta parlando col sole.

L’episodio maniacale però non è che l’altra faccia della depressione, e –come molti sanno- quando sono accoppiati depressione e maniacalità vanno sotto il nome di disturbo bipolare. Sembra una condanna a vivere emozioni insensate: insostenibilmente tristi d’inverno e ridicolmente allegri d’estate. Che fare, per non impazzire? Forse dormire, diceva Amleto. Ed effettivamente un buon sonno notturno ci preserva dalle malattie del giorno, come si spiega con chiarezza il prof. Paolo Girardi in un suo libro sulla medicina del sonno. È bene dormire regolarmente se si vuole fuggire alla stretta della sofferenza mentale. È indispensabile che i ritmi siano regolari: una loro interruzione, modificazione o inversione è un fattore di rischio per i disturbi psichici. Già Ippocrate –ancora lui- sottolineava l’importanza di un regolare ritmo sonno-veglia, già lui sottolineava che i pazienti dovrebbero passare il giorno svegli e la notte dormendo.

E non solo d’inverno, ma anche d’estate aumenta il rischio di suicidio. Suicidarsi accade non solo durante la depressione del gelido inverno, ma anche al sole estivo della fase maniacale. La percentuale dei suicidi nella popolazione si eleva nei mesi che precedono il solstizio d’estate, in aprile, maggio e giugno, mentre un altro picco invernale e depressivo inizia da metà ottobre. Tra i pazienti psichiatrici ricoverati, i suicidi e i comportamenti violenti aumentano da luglio e rimangono alti fino a novembre. E, in parallelo al suicidio, aumenta anche il tentativo di suicidio, più soggette al quale sono le donne rispetto agli uomini.

 

Qual è la relazione tra la sofferenza mentale e le stagioni?

Perché accade questo aggravarsi della sofferenza mentale nelle stagioni? Perché il nostro destino è adattarci, e ci siamo adattati anche all’alternanza della luce e delle tenebre e alla giostra delle stagioni, al succedersi dei periodi freddi e caldi. E come d’inverno è giusto che il ritmo del corpo rallenti e ci s’insonnolisca, quasi andando in letargo, è altrettanto giusto e naturale che d’estate ci si riattivi, ci si scaldi appunto, ci s’infervori nel flusso della vita. La tristezza dell’inverno si riduce durante la bella stagione, grazie alla maggiore intensità dei raggi solari che stimolano la melatonina, ormone regolatore biologico che influenza positivamente l’umore.

La luce solare aiuta ad attenuare l’ansia e l’affanno del vivere correlati alla depressione e favorisce il benessere della mente e del corpo. E però, ogni fenomeno ha il suo risvolto corrotto, la sua malattia. E così il rallentamento invernale può decadere in fredda depressione, mentre la vitalità dell’estate si può tramutare in una grottesca euforia senza legittimità e senza sostanza.

Un’altra ipotesi tira in ballo la secrezione della melatonina, l’ormone che aumenta in inverno e si riduce in estate. Messa così è più una concomitanza di eventi che una vera spiegazione. Secondo altri, in inverno ci si deprime perché la riduzione dell’esposizione alla luce provocherebbe una desincronizzazione del ritmo sonno-veglia. Anche la diminuita ampiezza dell’oscillazione quotidiana della temperatura influirebbe. Tutte belle ipotesi, anche se suonano in parte casuali come lanci di sassi nell’acqua.

Peraltro d’estate è anche possibile il peggioramento della depressione, in contraddizione con quanto detto finora. Questo perché anche l’estate, come il Natale, è un periodo festivo. E le feste possono rimarcare il contrasto tra lo stato d’animo nero e triste del depresso e l’allegria circostante, e tutta l’esperienza può essere vissuta come un disperato abbandono. Abbandono spesso reale e non affatto immaginario: d’estate è realmente frequente che i malati psichici vengano lasciati soli da parenti e conoscenti in partenza per le vacanze.
E anche l’ansia e i suoi disturbi possono peggiorare d’estate. La vivacità e l’affollamento sia nelle città che nei luoghi di vacanza genera agitazione, alienazione, timore, desiderio di fuga e sovvertimento minaccioso degli abituali ritmi di vita. Gli ansiosi, disorientati, si trovano di fronte all’eccesso di tempo libero che devono gestire, e anche questo diventa una minaccia, un vuoto da riempire come se si trattasse di una prestazione.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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