Last summer, opera prima di Leonardo Guerra Seragnoli (2014), offre un racconto prezioso e poetico delle trame sottili di una relazione che, in fondo, appare semplice e istintiva: quella tra una madre, Naomi, e il figlio, Ken.
E’ possibile rafforzare un legame alle soglie di un addio?
Last summer, opera prima di Leonardo Guerra Seragnoli (2014), offre un racconto prezioso e poetico delle trame sottili di una relazione che, in fondo, appare semplice e istintiva: quella tra una madre, Naomi, e il figlio, Ken. Naomi (Rinko Kikuchi) è una giovane donna giapponese, che si trova ad affrontare una situazione paradossale: ha quattro giorni di tempo da trascorrere con suo figlio Ken di 6 anni, poi non potrà più vederlo per 11 anni. Ha perso la sua custodia a seguito del divorzio e dovrà trovare un modo per recuperare il legame spezzato trascorrendo con lui questi ultimi giorni, costretti sullo yacht del facoltoso padre di Ken e sotto l’ostile sorveglianza dell’equipaggio.
Del loro passato intuiamo una storia di conflitti, ferite e molti errori, ma non sappiamo molto di più. Naomi non vede Ken già da un po’ perché si è allontanata da lui e ha solo quattro giorni per ritrovare il loro legame, prima di affrontare la nuova separazione che li aspetta.
L’impresa appare da subito impossibile: la quiete, l’ordine e l’eleganza della barca su cui si gira l’intera pellicola, sono trappole suadenti che scoraggiano ogni tentativo di cambiamento. Ken appare un bambino sereno, intelligente, affettuoso e fiducioso verso l’equipaggio che è lì per proteggerlo. Gioca con la babysitter, si addormenta autonomamente, mangia con gusto, nuota senza paura dell’acqua alta, appare fin troppo educato e sicuro di sé. Esplora la barca con aria spavalda e indifferente alla presenza della madre. Non sembra ascoltarla, non risponde alle sue domande e si allontana subito quando lei mostra di pretendere le sue attenzioni.
Solo quando incontra distrattamente lo sguardo di Naomi, la sua sicurezza inizia però a vacillare, il suo volto si fa cupo, i suoi comportamenti rigidi e stereotipati, forzatamente cerca gioco e distrazioni per riguadagnare in pochi attimi la spensieratezza perduta.
Naomi lo osserva molto, aspettando un varco in cui entrare, e oscilla silenziosamente tra rabbia e tristezza.
Il tempo è davvero poco e il controllo intrusivo dell’equipaggio ostacola la possibilità di ricreare un contatto autentico con suo figlio. L’equilibrio raggiunto è difficile da abbandonare e la barca ormeggiata vicino alla costa senza possibilità di navigare in mare aperto offre tutto sommato un rifugio sicuro a Ken.
E’ davvero necessario creare disordine? E’ davvero utile e importante riparare un legame che per Ken è stato fonte di dolore e sofferenza? I suoi dubbi sono i nostri, da spettatori sembrerebbe facile e giusto rinunciare.
Ma Naomi è una madre e guarda più lontano. Guarda il mare immenso e improvvisamente l’orizzonte fuori da quella barca le offre nuove energie. Trema al ricordo degli errori commessi, ma sceglie con delicatezza e pazienza di tenere saldo il suo obiettivo: sa che recuperare quel legame sarà utile a Ken per crescere senza di lei e l’istinto di accudire e proteggere le permette di cambiare prospettiva. Non vuole lasciarlo di nuovo solo e pieno di rabbia e non si arrende di fronte al dolore del suo rifiuto.
Decide di andare avanti e riparare al danno fatto. Non sbaglierà di nuovo.
La danza dell’attaccamento ha così inizio, tra la ricerca di vicinanza di Naomi e i rifiuti di Ken. Il ritmo si fa via via più armonico, i silenzi vengono rotti da qualche sorriso, l’indifferenza di Ken diventa lentamente curiosità, i loro sguardi si cercano più spesso, lo spazio che li separa sempre meno ampio.
A poco a poco i comportamenti rigidi di Ken si fanno più morbidi e sinuosi, la sua impeccabile educazione viene macchiata dalla naturale disobbedienza di un bambino della sua età. L’ostentata sicurezza lascia spazio alla gioia che esplode all’improvviso e al pianto che accompagna i suoi ricordi.
Non è più necessario tenere sotto controllo le emozioni, Naomi è in grado di accoglierle senza aver paura e Ken può esplorare la loro relazione con una fiducia ritrovata, solida e profonda, che resterà dentro di lui e lo accompagnerà per sempre.
La scrittura della storia segue i silenzi e la lentezza del loro riavvicinamento con rispetto e sospensione, offrendo forse grazie al contatto con l’oriente, una soluzione magica ad un dolore che immaginiamo immenso. Ma in quella maschera tradizionale ricamata e lasciata in dono da Naomi, oltre alla magia, c’è la sicurezza indissolubile del loro legame di attaccamento: quella maschera non potrà garantire a Ken protezione assoluta dai pericoli del mare aperto, ma gli offrirà una solida base interiore per affrontarli con la fiducia e la forza necessari a navigare il futuro, comunque esso sia, con pienezza e vitalità.