Fairburn ha cercato di rimediare ai possibili difetti delle sue riflessioni del 1999 con un nuovo modello, il cosiddetto modello cognitivo migliorato (enhanced) e transdiagnostico.
MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: Il modello cognitivo “migliorato” di Fairburn (Nr. 14)
Il modello cognitivo migliorato di Fairburn
In questo modello cognitivo migliorato Fairburn compie due operazioni: cerca di concepire un’ipotesi applicabile all’intero spettro dei disturbi alimentari – incluse anoressia, bulimia e disturbi alimentari non altrimenti specificati (NAS) – e cerca di elaborare un insieme di stati mentali che siano capaci sia di spiegare l’ossessione per il controllo alimentare sia di tenere conto della sofferenza emotiva dei pazienti a un livello più ampio, cioè dello stile interpersonale e dei vissuti interiori.
Si ottiene così un modello cognitivo migliorato (o CBT-E, Cognitive Behavioural Treatment Enhanced) che tiene conto non solo del timore di ingrassare e della tendenza a mantenere sotto controllo l’alimentazione, ma che include anche quattro processi di mantenimento aggiuntivi:
a) perfezionismo clinico;
b) bassa autostima nucleare;
c) intolleranza alle emozioni;
d) difficoltà interpersonali (Fairburn et al. , 2003).
La bassa autostima come tema nucleare nei disturbi alimentari
Perfezionismo clinico e bassa autostima erano già presenti in Garner e Bemis e in altri modelli, ad esempio quello psicodinamico di Arthur Crisp. Nel modello di Fairburn del 2003 la bassa autostima è però nucleare, ossia va al di là della dipendenza dal controllo del peso e dell’alimentazione. Si tratta di qualcosa di autonomo, di più pervasivo, per non dire profondo. La bassa autostima qui non sembra derivare dal fallimento del controllo alimentare, ma si presenta piuttosto come il centro generatore del quadro clinico. Per la verità, più che di bassa autostima si dovrebbe parlare di un generale e più ampio senso di inadeguatezza di fronte al compito di dare un senso e una direzione alla propria vita impegnandosi in obiettivi maturi, soddisfacenti, gratificanti e di ampio respiro: insomma la realizzazione di sé nel campo affettivo e lavorativo.
Si tratta – con le parole di Livesley (1998) – della capacità di sviluppare un concetto integrato di sé. E significa, soprattutto, saper vivere un’avventura, qual è l’avventura della vita, nella quale non ci sono parametri chiari e misure definite per poter valutare i propri successi e insuccessi. Tolleranza dell’ambiguità e della frustrazione sono aspetti fondamentali per poter vivere una buona vita. Laddove manchino, la conseguenza non può che essere un continuo senso di inadeguatezza e inferiorità. E il controllo diventa una strategia di gestione della via surrogata. In questo modo è possibile comprendere il legame tra bassa autostima e i due fattori aggiuntivi: l’intolleranza alle emozioni e le difficoltà interpersonali.
Con questi due fattori Fairburn sembra voler tentare un’elaborazione della personalità dei pazienti con disturbo alimentare di vasto respiro. Per questo prende in prestito concetti che provengono dalla psicologia della personalità e del funzionamento interpersonale. In realtà Fairburn non si serve propriamente dei concetti più complessi della psicologia della personalità, come per esempio la già citata auto-direzionalità. Funzioni di questo tipo, però, si sviluppano soltanto se si possiedono altre abilità mentali più semplici, tra le quali è fondamentale la capacità di tollerare gli stati negativi.
La costruzione coerente del sé e l’auto-direzionalità, infatti, si sviluppano a patto di saper tollerare le continue invalidazioni della vita, invalidazioni che ci arrivano in forma di esperienze interiori dolorose se non angoscianti. L’età di transizione dall’adolescenza alla giovinezza è un periodo chiave – particolarmente delicato nell’età contemporanea – in cui per la prima volta i giovani individui sono messi alla prova al di fuori del protettivo ambiente familiare. La tentazione di rifugiarsi nel controllo di parametri quantificabili come il peso o il cibo può essere forte, in particolare nelle ragazze, a causa del forte investimento che il sesso femminile fa sul proprio aspetto per raggiungere una soddisfacente definizione di sé.
Il disturbo alimentare diventa dunque una soluzione patologica al problema della costruzione di una personalità autonoma e matura. L’individuo, vacillando di fronte a un compito che avverte come arduo, si rifugia in una nicchia più facilmente controllabile. Il prezzo che paga è un ripiegamento depressivo e un restringimento del proprio orizzonte di vita, ma evidentemente è un prezzo che può essere ritenuto accettabile.