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Il modello di Garner e Bemis per i disturbi alimentari

Il modello di Garner e Bemis propone una visione che va oltre Fairburn, con una descrizione più complessa della personalità di anoressiche e bulimiche

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Francesca Fiore

Pubblicato il 13 Mag. 2016

Secondo il modello di Garner e Bemis i sintomi anoressici e bulimici sarebbero sostenuti da un gruppo di assunzioni cognitive non così immediatamente collegate al sintomo del controllo alimentare e del peso, ma con implicazioni più ampie che investono la definizione di sé e il rapporto con gli altri.

MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI: Il modello di Garner per i disturbi alimentari (Nr. 13)

 

Il modello di Fairburn e i suoi limiti

Il primo modello di Fairburn, benché efficace, presentava parecchi limiti. Era applicabile solo alla bulimia e funzionava soltanto su metà delle pazienti. L’altra metà sfuggiva ai benefici del trattamento. Inoltre, l’analisi cognitiva di Fairburn era eccessivamente aderente al sintomo e trascurava le strutture cognitive più complesse.

Che cosa significa ‘eccessivamente aderente al sintomo’? Come abbiamo visto, la terapia cognitiva si basa sull’analisi delle convinzioni e degli scopi che sottendono ai comportamenti, anche ai comportamenti di natura sintomatologica. In altre parole, i sintomi sarebbero anch’essi comportamenti che mettiamo in atto per ottenere qualcosa. L’ansia, sebbene sgradevole, ci serve per innalzare l’attenzione e la concentrazione  in presenza di un pericolo o davanti a una prova difficile; le compulsioni ossessive hanno una funzione di controllo o espiatoria, e così via.

Lo stesso vale per i comportamenti alimentari disturbati di anoressiche e bulimiche: anch’essi rispondono a scopi e a convinzioni o, in termini cognitivi, a credenze. Fairburn aveva saputo dare una risposta cognitiva ad alcune domande: perché la paziente bulimica vomita? Perché quella anoressica restringe la sua alimentazione? Perché fa dipendere l’autostima dal controllo del peso e dell’aspetto corporeo.

Mantenere l’autostima a un certo livello è l’obiettivo di ogni essere umano. Ma è un obiettivo non facile, perché la vita pone continuamente davanti a sconfitte e frustrazioni e occasioni che ci fanno dubitare del nostro valore.

L’ostacolo si supera a patto di saper relativizzare e contestualizzare gli inevitabili fallimenti. Ma si tratta di un’operazione complessa, che riesce probabilmente soltanto se si possiede la capacità di fissare e raggiungere obiettivi personali soddisfacenti e gratificanti che danno senso, significato e scopo alla vita (ovvero, auto-direzionalità). Le pazienti con disturbo alimentare non hanno questa capacità e  finiscono per legare la propria autostima a un parametro meccanicamente controllabile, appunto il controllo del peso e del  corpo. L’autostima, quindi, era l’unico parametro psicologico sopraordinato presente nel modello elaborato da Fairburn.

 

Prima di Fairburn: il modello di Garner e Bemis

Prima ancora di Fairburn, altri due studiosi, Garner e Bemis, avevano tentato di applicare il modello cognitivo ai disturbi alimentari. Un tentativo, persino più sofisticato di quello di Fairburn, perché secondo il modello di Garner e Bemis i sintomi anoressici e bulimici  sarebbero sostenuti da un gruppo di assunzioni cognitive non così immediatamente collegate al sintomo del controllo alimentare e del peso, ma con implicazioni più ampie che investono la definizione di sé e il rapporto con gli altri.

Intendiamoci: anche per il modello di Garner e Bemis le preoccupazioni sul peso e la forma del corpo  sono importanti, ma non in sé. Esse sono semmai descritte come indici di valore personale e di autocontrollo arbitrariamente scelti dalla paziente. Indici rozzi, certo, ma facilmente quantificabili. Il problema della paziente con disturbo alimentare è proprio l’incapacità di gestire un aspetto così ambiguo e altalenante dell’esistenza come l’amor proprio e l’autostima. È veramente possibile sapere se e quanto valiamo? È veramente possibile nutrire una buona stima di sé, priva di ombre e nonostante gli insuccessi e le delusioni che la scalfiscono? Sì, è possibile, ma non è un’impresa facile. Si tratta di imparare a tollerare stati emotivi dolorosi e sgradevoli.

Di qui la tentazione, in personalità più fragili, di rimpicciolire l’orizzonte del proprio valore personale a un parametro misero e ristretto, come il controllo del peso e dell’aspetto corporeo. Il modello di Garner e Bemis propone una visione che va oltre il modello troppo aderente ai sintomi di Fairburn e che comprende una descrizione più complessa e varia della personalità di anoressiche e bulimiche: ad esempio il loro perfezionismo patologico, stato  ansioso che le spinge a temere ogni errore in quel che fanno o dicono o sono, e che per queste pazienti equivale a un fallimento definitivo; la sfiducia profonda nelle relazioni con gli altri, che le anoressiche vivono come minacciosamente giudicanti e sprezzanti. Tutto questo si lega a una particolare difficoltà a comprendere e gestire i propri stati d’animo più negativi, con la conseguenza che per queste pazienti concentrare tutta la propria vita  sul cibo e il corpo diventa l’alternativa meno dannosa e gravosa.

Un altro parametro segnalato dal modello di Garner e Bemis è il timore della maturità (maturity fear), definito come fuga dal mondo complesso degli adulti, mondo in cui il giudizio di sé e degli altri è troppo sfuggente e cangiante e quindi frustrante, mentre l’anoressica è costantemente alla ricerca di sicurezze, certezze, controllo.

Queste credenze cognitive ampie e che investono l’intera persona vengono poi rimpicciolite nella serie dei pensieri automatici e dei comportamenti stereotipati individuati da Fairburn: cercare di dimagrire seguendo una dieta ferrea o, nel caso si verifichino delle abbuffate, utilizzando svariate condotte eliminative (vomito autoindotto, abuso di lassativi o diuretici, esercizio fisico eccessivo). Il disturbo si mantiene nel tempo grazie a rinforzi cognitivi ma anche ad alterazioni fisiologiche del ciclo fame-sazietà (Garner et al., 1997).

RUBRICA MAGREZZA NON E’ BELLEZZA – I DISTURBI ALIMENTARI

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Garner, D. M., Bemis, K. M. (1982), A cognitive-behavioral approach for anorexia nervosa, in “Cognitive Therapy and Research”, 6, pp. 123-150.
  • Garner, D. M., Bemis, K. M. (1985), Cognitive therapy for anorexia nervosa, in D. M. Garner, P. E. Garfinkel (eds), Handbook of psychotherapy for anorexia nervosa and bulimia, Guilford Press, New York, pp. 107-146.
  • Fairburn, C. G., Cooper, Z., Shafran, R. (2003), Cognitive behaviour therapy for eating disorders: a “transdiagnostic” theory and treatment, in  “Behaviour Research and Therapy”, 41, pp. 509-528.
  • Livesley, W. J. (1998), Suggestions for a framework for an empirically based classification of personality disorder, in “Canadian Journal of Psychiatry”, 43, pp. 137-147.
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