È importante che nel momento in cui ci si rende conto di un significativo cambiamento nelle persone che ci stanno vicine e ci sentiamo in difficoltà a comunicare con loro, a chiedere ed a comprendere il perché di questi comportamenti, per evitare di soccombere alla confusione e a tutti i vissuti che ne derivano, sarebbe opportuno che trovassimo il coraggio e la prontezza di parlarne con qualcuno.
[blockquote style=”1″]Non passione ci vuole, ma compassione, capacità cioè di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione.[/blockquote] F.M. Dostoevskij
Quando si è parlato della vittima della depressione, ovvero il depresso, si è detto che, generalmente, all’inizio, non è consapevole di essere malato di depressione. La stessa mancanza di consapevoleza spesso interessa anche coloro che vivono a stretto contatto con il depresso e che, Willy Pasini, nel suo libro “La vita è semplice”, chiama “ostaggi” della depressione, proprio per sottolineare quanto possa diventare forte il loro coinvolgimento nelle dinamiche depressive e quanto possano essere gravi le ripercussioni sulla loro vita.
Il depresso tende ad isolarsi, diventa taciturno, lo sguardo si spegne, perde slancio, la tristezza è l’unica essenza che riesca ad emanare, Quasimodo nei suoi versi: “Ognuno sta solo sul cuor della terra… ed è subito sera”, rende in maniera estremamente chiara questa condizione dello spirito.
Gli ostaggi, dal canto loro, fanno fatica a comprendere cosa stia accadendo e magari possono ritrovarsi a rimuginare su convinzioni molto lontane dalla realtà dei fatti, come ad esempio che si tratti di una malattia fisica, oppure che ci sia qualche problema riguardante direttamente la relazione o comunque una qualche preoccupazione che l’altro “non vuole” dire. Il depresso intanto, si allontana sempre di più, si distacca emotivamente e gli altri non riescono a trovare modalità adeguate per chiedere, per cercare di capire cosa stia accadendo e spesso il risultato è la confusione! Soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, i potenziali ostaggi rispondono o applicando una sorta di legge del taglione, occhio per occhio/dente per dente: tu mi allontani/io ti allontano; tu non mi parli/io non ti parlo; tu non mi cerchi/io non ti cerco, isolando o punendo, oppure cercando continue rassicurazioni, diventando ossessivi, rimproverando l’altro di egoismo ed, anche, sperimentando vissuti di colpa molto forti.
Ecco che vengono poste le prime pietre di una babele dolorosissima: la persona che potrebbe avere un importantissimo ruolo di sostegno e vicinanza per il depresso cade, invece, ostaggio della depressione, in una rete aggrovigliata di pensieri, emozioni, comportamenti e vissuti penosissimi. Spesso quando si chiede aiuto ad un professionista, quando si ottiene una diagnosi si è già in fase avanzata… tante volte sia le vittime della depressione che le persone che stanno loro vicine non accettano la malattia. C’è da dire che, molto più spesso di quanto si possa credere, la depressione è una bestia sconosciuta ai più e, soprattutto, è una malattia negata, nel senso che non le è riconosciuta la natura di malattia. Quante volte i malati di depressione si sono sentiti accusare di non avere nulla, di fare i capricci, di essere semplicemente esseri lamentosi, pigri o capricciosi?! Addirittura, alcuni depressi arrivano a pensare che questo umore molto basso, la mancanza di energie, di voglia di vivere sia semplicemente una questione di carattere e che non ci sia rimedio!…
Quando si inizia ad avere un minimo di consapevolezza di quanto sta accadendo, i rapporti sono già corrotti e le esperienze vissute, il coinvolgimento totale, confuso, disperato in una relazione che ha il sapore di qualcosa di malato, lasciano spazio sempre più a sentimenti di colpa, impotenza, disperazione.
Una delle credenze, più pericolose e deleterie, delle persone vicine al malato, è: “Il mio amore ti salverà!” Questa credenza molto spesso si traduce in una serie di comportamenti ed atteggiamenti che avranno l’effetto di fagocitare ogni risorsa, ogni energia di colui che diventa, in tal modo, un ostaggio della depressione della persona amata e, come in un circolo vizioso, affioreranno e si rafforzeranno i vissuti di colpa, impotenza, rabbia, insofferenza.
Emergono questioni molto importanti, che riguardano l’accettazione della malattia, sia per il malato che per coloro che gli stanno vicino; poi ancora, rispetto ai parenti, assume particolare importanza il riconoscimento e l’accettazione dei propri limiti.
Cosa può fare e cosa non dovrebbe fare chi sta vicino ad una persona depressa
È importante che nel momento in cui ci si rende conto di un significativo cambiamento nelle persone che ci stanno vicine (particolare sofferenza, angoscia, tristezza, crisi di pianto, tendenza all’isolamento, disturbi del sonno, cambiamenti dell’appetito, uso/abuso di sostanze…) e ci sentiamo in difficoltà a comunicare con loro, a chiedere ed a comprendere il perché di questi comportamenti, per evitare di soccombere alla confusione e a tutti i vissuti che ne derivano, sarebbe opportuno che trovassimo il coraggio e la prontezza di parlarne con qualcuno. Chiedere sostegno ad una persona fidata, in grado di aiutarci a capire e a dare il giusto peso a quanto sta accadendo, può significare capire che, da soli, nonostante tutto l’amore che possiamo, non saremo sufficienti a trovare una soluzione adeguata alla nuova situazione.
Accettare ciò, riconoscere i propri limiti, alle volte, è difficile, ma estremamente importante, perché comporta la presa di coscienza di avere bisogno di uno specialista, di qualcuno che possieda strumenti adeguati per confrontarsi efficacemente con la depressione. Solitamente, l’atto di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta ha l’effetto di smorzare immediatamente la tensione, perché quando in una relazione confusa e malata fa ingresso una terza persona capace di dare ordine, di attribuire i giusti significati ai vissuti e di normalizzarli, le persone vicine al depresso hanno la possibilità anch’esse di essere aiutate nella ridefinizione del proprio ruolo e del senso di responsabilità e colpa nel prendersi cura di una persona con un disagio mentale di una certa gravità, questo comporta, automaticamente, un alleggerimento del carico.
Come riscattarsi dalla prigionia?
Come già detto, quando ci si occupa in maniera molto intensa di una persona con un disagio mentale come la depressione, molto spesso, ci si ritrova a provare sentimenti assai dolorosi, ed è importante poter contare su qualcuno, preferibilmente uno psicoterapeuta, che ci aiuti a capire quanto, in una condizione tanto difficile, sia normale provare sentimenti di inadeguatezza, insofferenza, irritazione, colpa, soprattutto quando guidati dalla credenza inglobante “Il mio amore ti salverà”, quando ci si ritrova a sostenere da soli il peso di una malattia come la depressione per mesi e mesi se non addirittura anni.
Recuperare energie, recuperare un equilibrio mentale sufficiente significa tornare a coltivare i propri spazi, tornare a sentire di avere una vita propria, tornare a ricordarsi delle attività piacevoli di un tempo lasciate in sospeso, dimenticate, perché occuparsi della persona amata, lentamente, non ci ha più permesso di sentirci in diritto di provare piacere. Recuperare e riprendere la propria vita personale può risultare difficile, ecco che il terapeuta ci aiuterà a leggere e rivedere in una prospettiva differente, più adattiva e funzionale, le modalità relazionali all’interno del sistema noi (accudenti), depresso e depressione.
Piccoli suggerimenti pratici per vivere accanto ad un depresso senza farsi fagocitare dalla depressione
Come già detto, per evitare di essere presi in ostaggio dalla depressione di una persona cara, dobbiamo evitare, con tutte le nostre forze, di farci divorare da questa malattia, impedendole di stravolgere la nostra esistenza, cercando di continuare a mantenere normalità nella vita di tutti i giorni, continuando a lavorare, non rinunciando alle attività piacevoli, a frequentare gli amici, soprattutto: non permettiamo a questa malattia di isolarci, di allontanarci da tutto ciò che può rappresentare un sollievo ed un aiuto. In determinate occasioni sembrerà difficile, se non addirittura crudele, poter dire al depresso: “Adesso devo andare perché ho un impegno… perché ho voglia di uscire… perché ho bisogno di allontanarmi un po’…”, ma ricordiamo che la capacità di allontanarci, per respirare un’aria più leggera, per ricaricarci, riportare equilibrio alla nostra economia mentale, sarà indispensabile alla nostra stabilità e alla nostra salute.
La depressione può rendere crudeli le sue vittime. Di fronte alle accuse, alle espressioni di insofferenza ed odio del depresso impariamo a distinguere la persona dalla malattia ed evitiamo di reagire con atteggiamenti di rabbia che, per quanto comprensibili, avrebbero solo l’effetto di peggiorare la situazione per poi ingabbiarci in vissuti di rabbia e di colpa ancora più forti e difficili da gestire. Cerchiamo, piuttosto, di non farci travolgere e proviamo ad elaborare risposte più costruttive, che diano anche la possibilità al depresso di comprendere che riconosciamo il suo dolore e la sua sofferenza.
Un depresso vive costantemente con un profondo senso di inadeguatezza ed inefficacia: evitiamo, quando siamo in sua compagnia, di rafforzare questi vissuti assumendo atteggiamenti di forte preoccupazione, di perenne compassione, di farlo vivere come se fosse di cristallo, o proteggendolo da tutto, proviamo piuttosto ad evitare di essere sempre pronti ad accudire, a sostituirci, a farci carico di compiti che potrebbe svolgere autonomamente. Pur tenendo a mente la forte resistenza alla vita tipica dei depressi, proviamo, gentilmente, a chiedere il suo aiuto, senza costringerlo, cerchiamo di coinvolgerlo in determinate attività, cerchiamo di farlo sentire utile ed efficace.
Ricordiamoci che chi soffre di depressione tende a deformare tutto e cercare di intraprendere una battaglia che abbia lo scopo di far cambiare al depresso il modo di vedere se stesso, gli altri ed il mondo, avrebbe solo l’effetto di prosciugare tutte le nostre energie e consumarci, lasciandoci senza forze per affrontare la nostra vita. Rispettiamo la sua sofferenza senza farci tentare di assurgerci, a tutti i costi, al ruolo di salvatori!