expand_lessAPRI WIDGET

Le credenze e i vissuti della depressione: cosa passa nella mente di chi è depresso?

Credenze della depressione: i pazienti depressi pensano di non valere nulla, che le cose in futuro potranno solo peggiorare e che il mondo sia ingiusto. 

Di Linda Virga

Pubblicato il 15 Mar. 2016

Credenze della depressione: Beck sostiene che i depressi sono portati ad attribuire a se stessi la responsabilità di ciò che percepiscono come fallimento, questo ha l’effetto di ridurre ulteriormente e drasticamente il senso di efficacia personale, un po’ come un circolo vizioso, esasperando i vissuti depressivi.

Il suo sguardo,
dall’osservare attraverso le sbarre,
è diventato così esausto
che non può vedere più nient’altro.
Per lui, è come se ci fossero migliaia di sbarre
e dietro le migliaia di sbarre,
nessun mondo.
Mentre non fa che girare in tondo
in cerchi ristretti,
la sua possente falcata è come
una danza rituale intorno ad un centro
dove una grande volontà
è immobile nella sua paralisi.
A volte le tende dell’occhio si alzano
senza un suono ed entra una forma,
penetra attraverso il silenzio serrato
delle spalle, arriva al cuore,
e muore.
La pantera, Rainer Maria Rilke

La teoria dell’impotenza appresa per spiegare la depressione

Martin Seligman e Steve Maier, giovanissimi allievi di Solomon, intorno alla metà degli anni ’60, misero a punto la teoria dell’impotenza appresa. Partendo da una serie di esperimenti sui cani scoprirono che gli animali ai quali era stato ripetutamente impedito di mettere in atto comportamenti adeguati a sfuggire a stimoli dolorosi, successivamente, quando veniva loro data la possibilità di evitarli, si comportavano continuando a soccombere alla sofferenza, senza neanche provare ad agire per tentare di eluderla: ai cani era stato insegnato ad essere impotenti. Seligman e Maier, in seguito, scoprirono anche che così come era stato insegnato ai cani ad essere impotenti, poteva loro essere insegnato ad essere efficaci.

In modo simile, Hiroto, sottopose ad esperimenti un gruppo di persone, giungendo alle stesse conclusioni. Seligman ed Hiroto provarono che la capacità di reagire di fronte a sconfitte e sofferenze non è un tratto innato ma può essere appreso. Seligman ebbe il merito di spiegare alcune forme di depressione attraverso la teoria dell’impotenza appresa, sostenendo che una persona depressa può aver sperimentato ripetutamente inefficacia ed impotenza rispetto ad alcune situazioni che l’hanno portata a credere di essere in ogni altra condizione o situazione ugualmente impotente, inadeguato, inefficace, incapace: “Non può perché crede di non potere…”

Le credenze della depressione secondo la teoria cognitiva

Epitteto, quasi duemila anni prima, diceva: [blockquote style=”1″]Noi non soffriamo per le cose del mondo, ma per le nostre credenze sulle cose del mondo.[/blockquote]

Beck, intorno alla metà degli anni ’60, afferma che gli individui maggiormente a rischio di depressione sono coloro che riconoscono il proprio valore personale solo se ricevono approvazione dagli altri o quando riescono a raggiungere obiettivi molto alti, o solo se riescono ad ottenere ciò che vogliono subito o se sono capaci di esercitare sempre controllo su tutte le situazioni che vivono. Sulla base di queste credenze della depressione quando queste persone si trovano ad affrontare situazioni difficili in cui sperimentano mancanza di controllo, o comunque scarsa efficacia ecco che tendono a sviluppare depressione. Beck sostiene che i depressi sono portati ad attribuire a se stessi la responsabilità di ciò che percepiscono come fallimento, questo ha l’effetto di ridurre ulteriormente e drasticamente il senso di efficacia personale, un po’ come un circolo vizioso, esasperando i vissuti depressivi.

Si è osservato che i depressi presentano una particolare inclinazione ad alterare le informazioni che connotano la proprie abilità in specifiche aree di competenza ed, in particolare, hanno la tendenza a sottovalutare le proprie capacità e a distorcere e sopravvalutare le situazioni.

Beck rispetto alle credenze della depressione ha individuato una triade cognitiva che caratterizza la depressione e che, più specificamente, individua schemi negativi di pensiero su di sé, relativamente al valore personale (“non valgo niente” “non sono amabile”); sul mondo (“Il mondo è ingiusto; la vita ce l’ha con me; gli altri non mi amano; sul futuro, nei termini di sfiducia e pensiero catastrofico (“mai nulla cambierà, andrà sempre male”).

Recenti studi nell’ambito della teoria metacognitiva evidenziano che ad irrobustire queste credenze della depressione e, quindi, a mantenere ed acuire la sintomatologia depressiva intervenga una credenza sovraordinata, ovvero la convinzione che esaminare meticolosamente e costantemente (ruminare) quanto di negativo si sperimenti rispetto al valore personale, al mondo e al futuro, in cerca di una soluzione, in realtà abbia come conseguenza quella di produrre effetti deleteri sulla depressione stessa.
La ruminazione può essere definita come una forma circolare di pensiero persistente, passivo, ripetitivo sui sintomi della depressione. (Rippere, 1977; Nolen-Hoeksema, 1991)

Le psicoterapie ad approccio metacognitivo intervengono aiutando le persone che soffrono di depressione a modificare lo stile rigido di pensiero da cui si lasciano soffocare, ovvero rimuginio e ruminazione, attraverso l’acquisizione di modalità più efficaci ed adattive.

I vissuti e le credenze della depressione

Fatta questa premessa, chi è, nei fatti, la vittima diretta della depressione? Cosa e come pensa, come si sente concretamente? Quali sono le credenze della depressione?

Una persona depressa si sente profondamente triste, abbattuta; sperimenta per la maggior parte del giorno un intenso senso di sconforto e solitudine, prova impotenza e stanchezza fisica e mentale, molto spesso passa parecchio tempo prima che si attivi per avere un consulto, prima che diventi consapevole di essere malata di depressione. Spesso accade che rifiuti la diagnosi, le terapie ed ogni altro aiuto. La persona depressa, sente di camminare avvolta nel buio; sente di stare in uno spazio dove non c’è posto per i propositi di cambiamento funzionale o per la speranza, per la pace interiore. È come se vivesse in uno stato di totale e perenne cecità, non riesce a vedere più niente. I ricordi, gli affetti, il passato, il futuro, tutto si perde ingoiato dall’oscurità: “nulla ha più senso, non esiste più niente e nessuno al mondo per cui valga la pena andare avanti, vivere…”.

Questo scenario depressivo può essere intriso da una fortissima agitazione, rabbia, angoscia, e conoscere contestualmente stati di forte rallentamento fisico o psichico: “non ce la faccio”. Tutti questi vissuti, si faranno sempre più spazio nella vita di quella persona, in maniera subdola, cronicizzandosi giorno dopo giorno, ed impedendo di costruire scenari alternavi che contemplino la “possibilità” che le cose cambino, migliorino… La persona depressa pensa che la vita non possa essere bella, mai più e che, forse, non lo sia mai stata: “Sarebbe meglio sparire o, meglio ancora, non essere mai nati”. Si sente spenta e inconsistente, non c’è più spazio nel suo mondo fisico per le cose piacevoli e neanche nella sua mente (cambia persino la loro capacità di percepire il gusto o l’odore dei cibi, tutto perde colore e spessore). Ha perso la capacità di pensare il piacere, di concepire la vita dentro e al di fuori di sé: “Alle volte, quando mi sveglio durante il giorno o in piena notte, non so… ho la forte sensazione fisica che vi sia solo buio tutt’intorno e che non esista nulla al di fuori di me, di questa profonda angoscia che mi stringe, della solitudine di questo insopportabile dolore o dello schifoso tepore del lenzuolo che mi avvolge… alle volte, penso di dover guardare fuori dalla finestra per capire se c’è ancora qualcosa, che esistono gli altri, il mondo… ma poi penso che non ce ne sia bisogno perché so che non c’è niente, non sento più la vita, non la sento più dentro. Vorrei spegnermi dentro i centimetri che mi contengono… Addormentarmi e non svegliarmi mai più…”

La persona depressa, si sente sola, inadeguata, fallita, incapace di vivere e, spesso, colpevole dei suoi stessi mali. Rumina costantemente e tenacemente come un mulino che macina sempre la medesima farina avariata, pensieri negativi… o come una bocca che mastica insistentemente un cibo amaro che non perde mai la sua amarezza e che, piuttosto, ad ogni movimento di mandibole, acquista un sapore sempre più cattivo.

Il depresso non sopporta gli altri, nessuno, perché non si sente compreso, perché sente che gli altri, spesso, non camminano al suo fianco, ma viaggiano ad una velocità troppo elevata, e richiedono energie che egli sente di non possedere. Qualche volta, gli altri, prigionieri inconsapevoli della depressione, provano con le maniere forti, danno ordini e poi accusano: “Sei cambiato: torna ad essere quello di prima!” “Stai diventando un parassita: fa qualcosa!” “Avresti tutto quello che serve per essere felice: perché non ci provi!” “Che cosa ti ho fatto, perché mi stai facendo questo?” “Mi stai rovinando la vita!” “Tutto gira intorno al tuo stare male, stai rovinando la vita di tutta la nostra famiglia: fa qualcosa!” “È impossibile starti accanto!” “Devi smetterla di pensare sempre a queste cose!” “Sei un egoista!” “Non fai che dormire: la tua è solo pigrizia!” “Devi tornare a lavorare, di questo passo, non so dove finiremo!” “Stai male perché ti conviene!” eccetera.

Gli altri, spesso, proprio perché incapaci di sentire profondamente, e disperati, perché sperimentano impotenza, insistono con atteggiamenti coercitivi ed usano violenza (verbale ed alle volte anche fisica) ed abusano… Questi ostaggi della depressione, parenti, amanti, amici, in equilibrio fra la condizione di carnefici e vittime inconsapevoli, continuano imperterriti con atteggiamenti e richieste che non possono essere accolti né tanto meno soddisfatti dal depresso, senza comprendere che sarebbe come chiedere ad una persona con un gesso alla gamba di correre alle olimpiadi e di vincerle… L’effetto sulla persona depressa è deleterio e spesso causa di aggravamento della patologia. Il depresso sperimenta contemporaneamente colpa ed odio verso gli altri e, quasi sempre, ripugnanza verso se stesso. Gli altri, spesso, con i loro atteggiamenti, non fanno che confermargli di essere la porzione più schifosa dell’intero consorzio umano e di meritare, forse, di non farne più parte e questo rafforza le credenze della depressione.

E’ fondamentale, quando si ha a che fare con una persona depressa, tenere sempre bene a mente che la depressione è una malattia: chi soffre di depressione è malato e la sua sofferenza è concreta, soltanto che per gli altri è difficile comprenderla.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Greenberger D, Padesky C. A. (2007), Penso, dunque mi sento meglio. Esercizi cognitivi per problemi di ansia, depressione, colpa, vergogna e rabbia. Trento: Centro Studi Erikson Editore
  • Morosini P, Piacentini D, Leveni D, McDonald G, Michielin P. (2004), La depressione. Che cosa è e come superarla Manuale di psicoterapia cognitivo-comportamentale per chi soffre di depressione per chi è a rischio di soffrirne e per i suoi familiari. Roma: Avverbi Editore
  • Seligman Martin E. P. (2009), Imparare l'ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero. Firenze: Giunti Editore
  • Wells Adrian (2012), Terapia metacognitiva dei disturbi d'ansia e della depressione. Firenze: Eclipsi Editore
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Depressione: sintomatologia, prevalenza e cause d'insorgenza
La depressione: il disturbo che toglie il piacere di vivere

La depressione è un disturbo dell'umore caratterizzato da umore deflesso, perdita di interesse per le attività e demotivazione. 

ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel