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Supervisionare i casi di traumi di guerra in Kurdistan – Psicoterapia

Sono stato invitato dalla Jiyan Foundation a Sulaymaniyah a supervisionare i colleghi psicoterapeuti curdi nel loro lavoro di cura dei traumi di guerra

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 04 Mar. 2016

La Jiyan Foundation finanzia la formazione di psicoterapeuti curdi e la loro specializzazione per i disturbi da trauma. Dal 3 al 5 marzo 2016 sono stato invitato nella città di Sulaymaniyah a supervisionare i colleghi curdi nel loro lavoro.

 

La Jiyan Foundation for Human Rights aiuta da anni nel Kurdistan iracheno i sopravvissuti di atti di violazione dei diritti umani e promuove valori democratici e di libertà. Gli eventi di guerra degli ultimi anni hanno moltiplicato nel martoriato paese dei curdi i casi di disturbi psicologici legati al trauma, dal disturbo post-traumatico da stress ai disturbi dissociativi. Per questo la Jiyan Foundation finanzia anche la formazione di psicoterapeuti curdi e la loro specializzazione per i disturbi da trauma. Dal 3 al 5 marzo 2016 sono stato invitato dalla Jiyan Foundation a supervisionare i colleghi curdi nel loro lavoro. La supervisione sta avvenendo nella città di Sulaymaniyah, città che ospita la sede della Jiyan Foundation ed è a pochi chilometri dal confine con l’Iran.

Supervisione di psicoterapeuti in Kurdistan

La formazione dei colleghi curdi è di tipo integrato, in parte psicodinamica e in parte cognitivo-comportamentale. Oggi, 3 marzo, ho iniziato a supervisionare i casi e ho ascoltato storie terribili. Maltrattamenti, pestaggi, stupri e, peggio ancora, in un caso (per fortuna uno solo, i curdi mi sembrano poco tribali e molto aperti) un delitto d’onore dopo lo stupro: una donna la cui sorella è stata uccisa dai parenti perché “contaminata” dalla violenza subita dagli accoliti dell’Isis.

La formazione integrata psicodinamica e cognitiva dei colleghi ha generato qualche problema. Come spesso accade, l’integrazione significa anche un calo di specializzazione e la supervisione si è in parte trasformata in un addestramento alle abilità di base della terapia cognitivo-comportamentale. Come ho scoperto in corso d’opera, I colleghi si aspettavano anche –o forse soprattutto- questo. Dopo anni, rimango ancora sorpreso di quanto l’addestramento alle abilità di base della terapia cognitivo-comportamentale –l’accertamento ABC e il disputing– sia poco curato e sia spesso sostituito da una conoscenza solo teorica, soprattutto per quanto riguarda il disputing.

In aggiunta, alcuni di questi colleghi avevano maggior conoscenza degli sviluppi più recenti della terapia cognitiva che delle sue tecniche di base. Naturale e inevitabile, ma anche in parte dannoso. Mi è parso che i recenti sviluppi della terapia cognitivo-comportamentale, con tutta l’insistenza sulle tecniche di meditazione ed esperienziali, sull’esperire invece che sul dimostrare, abbia ulteriormente deteriorato la conoscenza delle abilità di base. Con la conseguenza che c’erano colleghi in grado di imbastire esercizi di vario tipo, mindfulness, skills training esperienziali e corporei di scuola olandese, ma che erano eseguiti in una sequenza meccanica e priva dello scheletro dell’ABC.

Con la conseguenza paradossale che mentre il vecchio ABC forse peccava di astrattezza predicando un troppo razionalista superamento dell’ansia, le nuove tecniche senza l’ABC rischiano di risolversi in esercizi che non assumono significato cognitivo nella memoria esplicita: il paziente medita, esperisce, fa l’EMDR o la mindfulness senza che questo si trasformi nella coscienza cognitiva che egli può tollerare il trauma.

Sembra quasi invece che, passando tutto per il corpo, il paziente non si renda conto quale sia l’obiettivo di tutto questo esperire e meditare, ovvero che può smetterla di considerare terrificanti le memorie traumatiche. A questo si sostituisce una generica aspettativa di stare meglio, come se si assumesse un farmaco.

Per ora questa è una mia impressione superficiale che va confermata. Mi chiedo se questo non potrebbe essere un rischio degli sviluppi cosiddetti di terza ondata della psicoterapia cognitiva: una sequenza di esercizi neo-comportamentali sicuramente più raffinati di quelli del primo comportamentismo senza però che ci sia una traduzione verbale di queste nuove esperienze. E anche i terapisti, a mio parere, potrebbero rischiare di vedere deteriorata la capacità di concettualizzare il caso in termini di credenze, man mano che la svalutazione del pensiero verbale va avanti.

Finchè le tecniche verbali di disputing, pur svalutate, fanno comunque parte della cultura comune, il danno non si nota. Ma in un caso come quello dei colleghi curdi, che entrano in contatto diretto con la terza ondata saltando la conoscenza di tipi cognitivo standard, improvvisamente questo problema diventa evidente.

 

Supervisione di Psicoterapeuti curdi presso la Jiyan Foundation a Sulaymaniyah nel Kurdistan iracheno (2016)

Giovanni Maria Ruggiero e Rawezh Ibrahim, lecturer at Raparin University

Giovanni Maria Ruggiero e Rawezh Ibrahim, lecturer at Raparin University

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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