Stress post partum: l’esperienza del parto è considerata una condizione potenzialmente traumatica non solo se associata ad eventi oggettivamente traumatici ad esempio, difficoltà e lunghezza del parto, complicazioni connesse allo stato di salute del bambino e della madre ma anche in quanto emozionalmente attraversata da una forte carica di stress, dal timore del dolore fisico e da preoccupazioni per il nascituro.
Elena Santoro, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI
Il disturbo post-traumatico da stress post partum: la diagnosi
Accanto alla solida tradizione di studi sulla depressione postnatale, in anni più recenti è emersa una particolare attenzione nei confronti dei disturbi ansiosi e dei sintomi da stress associati al periodo del post-partum, nello specifico quelli del Disturbo Post-traumatico da Stress post partum (Olde, van der Hart, Kleber, & van Son, 2006). Il parto si differenzia per molti aspetti dal resto degli eventi traumatici con cui una persona può confrontarsi nel corso della propria esistenza. Per iniziare, si tratta di un’esperienza vissuta dalla maggior parte delle donne in modo volontario, ricercata, prevedibile, vista positivamente dalla società, e nello stesso tempo può provocare delle ferite all’integrità corporea non sempre presenti nelle altre esperienze traumatiche (Ayers, Harris, Sawyer, Parfitt, & Ford, 2009).
Nonostante queste sue tipicità, l’esperienza del parto è considerata una condizione potenzialmente traumatica non solo se associata ad eventi oggettivamente traumatici ad esempio, difficoltà e lunghezza del parto, complicazioni connesse allo stato di salute del bambino e della madre (Affleck, Tennen, & Rowe, 1991; DeMier, Hynan, Harris, & Manniello, 1996) ma anche in quanto emozionalmente attraversata da una forte carica di stress, dal timore del dolore fisico e da preoccupazioni per il nascituro (Di Blasio, Ionio, & Confalonieri, 2009; Garthus-Niegel, von Soest, Vollrath, & Eberhard-Gran, 2013).
Le ricerche sul disturbo post-trumatico da stress post partum sono esponenzialmente aumentate a seguito delle modifiche introdotte nel DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) nella definizione stessa di eventi traumatici (CRITERIO A) non considerati più come “eventi estremi al di fuori della comune esperienza umana” (DSM III; American Psychiatric Association, 1980) ma esperienze stressanti in cui [blockquote style=”1″]la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri[/blockquote] (American Psychiatric Association, 1994). Il parto, dunque, non era inizialmente classificabile come uno stressor potenzialmente traumatico poiché rientrava nel range delle esperienze normali per la maggior parte delle donne, e diventava oggetto di studio solo quando connesso ad esperienze oggettivamente negative e traumatiche come nel caso di un bambino nato morto (Turton, Hughes, Evans, & Fainman, 2001), di morte perinatale (Hunfeld, Wladimiroff, & Passchier, 1997), o di un parto prematuro (Holditch-Davis, Bartlett, Blickman, & Miles, 2003).
Ad oggi, gli studiosi concordano nel ritenere il parto un’esperienza stressante e traumatica in sé (Ayers, 2004; Boorman, Devilly, Gamble, Creedy, & Fenwick, 2014; Leeds & Hargreaves, 2008), infatti, sia a seguito di un parto difficile e atipico, sia di un parto “normale” con gravidanza a termine e assenza di problemi di salute nel bambino e nella madre, le neo-mamme possono sviluppare il disturbo post-traumatico da stress post partum vero e proprio (PTSD) o sintomi sotto-soglia (PTSS) (Alcorn, O’Donovan, Patrick, Creedy, & Devilly, 2010; Olde et al., 2005). Circa il 30% delle donne valuta il proprio parto come traumatico (Boorman et al., 2014; Soet, Brack, & DiIorio, 2003).
Una percentuale di donne che varia tra 1-7% presenta il disturbo post-traumatico da stress post partum secondo i criteri diagnostici del DSM IV (Ayers et al., 2008; Maggioni, Margola, & Filippi, 2006; Stramrood et al., 2011; Zaers, Waschke, & Ehlert, 2008). Gli studi Europei (Di Blasio et al., 2009; Di Blasio & Ionio, 2002, 2005; Maggioni et al., 2006; Soderquist, Wijma, & Wijma, 2002) confermano che una percentuale di donne che varia tra 1-3% sviluppa il disturbo post-traumatico da stress post partum. Percentuali più elevate di sintomi, tra il 24% e il 34%, si evidenziano quando si considerano i sintomi in forma parziale (Ayers, 2004; Iles et al., 2011; Maggioni et al., 2006; Soet et al., 2003).
La sintomatologia del disturbo post traumatico da stress post partum
I sintomi tipici del disturbo post-traumatico da stress sono la persistente ri-esperienza del trauma attraverso sogni o flashback, l’evitamento degli stimoli associati all’evento traumatico come persone o luoghi e, infine, i sintomi di hyperarousal, ovvero uno stato di persistente attivazione fisiologica. Ad esempio, in un studio di caso una donna con disturbo post-traumatico da stress post partum durante una sessione di terapia riviveva l’esperienza del parto (flashback) vedendo se stessa che giaceva nella sala parto (Ayers et al., 2008). Un’altra neo-madre sperimentava intenso stress quando entrava in contatto con cues interni o esterni che le ricordavano aspetti del parto (Stramrood et al., 2011). Per quanto riguarda la sintomatologia da stress specificamente connessa all’esperienza del parto, bisogna tener presente che l’attivazione può risentire dei cambiamenti fisiologici e ormonali nonché della stanchezza del travaglio e del parto, spesso lungo e faticoso. Inoltre, la neo-maternità e la routine medica che caratterizzano lo specifico post-partum può rendere difficile alle donne evitare i reminder traumatici, rappresentati dal neonato, dalle ostetriche, medici e dall’ospedale stesso. Ciò potrebbe determinare un maggior numero di sintomi di hyperarousal e meno sintomi di evitamento (Ayers et al., 2009). Gli studi infatti evidenziano che 12-15% delle donne nel postparto presentano sintomi di ri-esperienza, 2-7% sintomi di evitamento e 25-27% sintomi di hyperarousal (Lemola, Stadlmayr, & Grob, 2007; Maggioni et al., 2006; Soet et al., 2003).
Gli studi hanno evidenziato un’elevata comorbilità tra sintomi postraumatici da stress e sintomi depressivi post-partum (Alcorn et al., 2010; Leeds & Hargreaves, 2008; Parfitt & Ayers, 2009; Söderquist, Wijma, Thorbert, & Wijma, 2009; Zaers et al., 2008). I due disturbi, infatti, condividono alcune caratteristiche e sintomi specifici come ad esempio la diminuzione di interesse per attività significative, sentimenti di distacco dagli altri, scarsa affettività, difficoltà a dormire o a mantenere il sonno, difficoltà di concentrazione e memoria (Söderquist et al., 2009). Inoltre, la depressione rende le persone particolarmente suscettibili agli eventi traumatici configurandosi come un fattore di rischio specifico per risposte da stress post partum .
Il disturbo post traumatico da stress post-partum: i fattori di Rischio
Il modello multidimensionale proposto da Slade (2006) permette di sintetizzare i fattori di rischio associati alle risposte da stress post partum. Su un asse, sono disposti i fattori predisponenti (in gravidanza o pre-esistenti), i fattori precipitanti (aspetti del travaglio-parto) e i fattori di mantenimento (aspetti postnatali); sull’altro asse invece, sono specificati i fattori interni (individuali), esterni (ambientali) e i prodotti della loro interazione. Tra i fattori predisponenti individuali rientrano: le complicazioni in gravidanza (Maggioni et al., 2006), l’intensa paura per il travaglio ed il parto (Söderquist, Wijma, & Wijma, 2004; Zambaldi, Cantilino, & Sougey, 2009), i sintomi depressivi e ansiosi in gravidanza (Maggioni et al., 2006; Zaers et al., 2008; Zambaldi et al., 2009), una storia di disturbi psichiatrici (Ayers, 2004; Czarnocka & Slade, 2000), l’ansia di tratto (Czarnocka & Slade, 2000; Söderquist et al., 2004; Soet et al., 2003), traumi sessuali nel passato o abuso sessuale durante l’infanzia (Ayers et al., 2009; Soet et al., 2003).
Per quanto riguarda l’interazione tra aspetti individuali e contestuali, una gravidanza non pianificata (Beck et al., 2011) e lo scarso supporto sociale percepito in gravidanza (Czarnocka & Slade, 2000; Soet et al., 2003; Zambaldi et al., 2009) sono identificati come fattori di rischio predisponenti per il PTSD post-partum. A livello individuale, l’essere primipara (Denis, Parant, & Callahan, 2011), la paura intensa per sé o per il bambino e in generale le emozioni negative esperite durante il travaglio e il parto (Denis et al., 2011; Goutaudiera et al., 2012; Leeds & Hargreaves, 2008), la mancanza o la perdita di controllo durante il parto e un vissuto d’impotenza (Ayers, 2007; Maggioni et al., 2006; Soet et al., 2003), la percezione d’intenso dolore (Denis et al., 2011; Stramrood et al., 2011), la dissociazione (Goutaudiera et al., 2012; Olde et al., 2005; Zambaldi et al., 2009) e la violazione delle aspettative riguardanti il parto (Czarnocka & Slade, 2000; Maggioni et al., 2006; Soet et al., 2003) rappresentano i fattori di rischio precipitanti per il disturbo post-traumatico da stress post partum.
Tra i fattori precipitanti esterni associati alle risposte da stress post traumatico rientrano: il tipo di parto ed in particolare un cesareo di urgenza, non programmato o il ricorso a particolari strumentazioni come la ventosa (Ayers et al., 2009; Beck et al., 2011; Ford, Ayers, & Bradley, 2010; Goutaudiera et al., 2012; Söderquist et al., 2004; Stramrood et al., 2011), benché molti studi non confermino tale associazione (Ayers et al., 2009; Maggioni et al., 2006). I fattori precipitanti che originano dall’interazione tra aspetti individuali ed esterni sono: la percezione di mancanza di supporto da parte del partner e dello staff medico e la mancanza di informazioni adeguate (Maggioni et al., 2006; Söderquist et al., 2004; Soet et al., 2003). Tra i fattori che concorrono al mantenimento dei sintomi di disturbo post-traumatico da stress post partum rientrano le valutazioni e credenze negative (Czarnocka & Slade, 2000; Edworthy, Chasey, & Williams, 2008), i sintomi di depressione postnatale (Beck et al., 2011; Denis et al., 2011; Leeds & Hargreaves, 2008) e lo scarso supporto sociale percepito (Ford et al., 2010).
Il disturbo post traumatico da stress post-partum: le strategie di intervento
Mentre la copiosa letteratura sugli interventi rivolti al trattamento del disturbo post-traumatico da stress non connesso al parto include tra i più efficaci la terapia cognitivo comportamentale focalizzata sul trauma (CBT), la terapia di esposizione e l’EMDR (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing), sono pochi gli studi sui trattamenti rivolti al disturbo post-traumatico da stress post partum (Lapp, Agbokou, Peretti, & Ferreri, 2010).
Gli studi in questo ambito fanno principalmente riferimento ad interventi di debriefing o di counselling (Cunen, McNeill, & Murray, 2014; Lapp et al., 2010). Il debriefing consiste in un’intervista psicologica strutturata effettuata solitamente dal personale ostetrico a seguito del parto. L’intervista indaga l’esperienza vissuta dalla persona, le sue cognizioni, le attribuzioni dell’evento e le emozioni provate. Alcuni studi hanno identificato effetti positivi sui sintomi di disturbo post-traumatico da stress post partum rilevando una diminuzione dei sintomi post-debriefing (Gamble et al., 2005; Harvey, Bryant, & Tarrier, 2003), altri non hanno identificato alcun effetto (Priest, Henderson, Evans, & Hagan, 2003; Selkirk et al., 2006), altri ancora un’influenza potenzialmente negativa con incremento dei sintomi post-intervento (Kershaw, Jolly, Bhabra, & Ford, 2005). Il debriefing e il counseling nel dopo parto, ad oggi, non sono però identificati nè raccomandati come interventi efficaci da introdurre ed utilizzare nella prassi ospedaliera (Cunen, McNeill, & Murray, 2014; Lapp et al., 2010; National Institute for Clinical Excellence, 2005).
Solo uno studio qualitativo di due casi clinici ha indagato l’effetto della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) sul disturbo post-traumatico da stress post partum (Ayers, McKenzie-McHarg, & Eagle, 2007) identificando risultati positivi. Nello specifico, l’utilizzo congiunto della riesposizione all’evento e la ristrutturazione cognitiva vengono identificati come tecniche efficaci per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress post partum. Infatti, secondo il modello CBT le emozioni, i pensieri negativi e le valutazioni sono aspetti centrali, di mantenimento del disturbo post-traumatico (Ayers et al., 2007).
L’EMDR è riconosciuto come trattamento efficace per il disturbo post-traumatico da stress non connesso al parto (National Institute for Clinical Excellence, 2005). Ad oggi, solo uno studio pilota ha evidenziato la sua efficacia nel post-partum: le 4 donne con disturbo post-traumatico da stress post partum sottoposte alle sedute di EMDR mostrarono una riduzione della sintomatologia postraumatica da stress a seguito del trattamento e il mantenimento degli effetti benefici dell’EMDR si è osservato in 3 di loro anche a distanza di 1-3 anni dal trattamento. Come sottolineato dagli autori stessi (Sandström, Wiberg, Wikman, Willman, & Högberg, 2008) per giungere a conclusioni certe circa l’efficacia dell’EMDR nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress post partum sono necessari ulteriori studi.
Infine, gli studi di Di Blasio et al. (Di Blasio et al., 2009, 2015; Di Blasio & Ionio, 2002) hanno identificato nell’Expressive Writing sulla specifica esperienza del travaglio e del parto, un intervento in grado di ridurre la sintomatologia postraumatica post partum, in particolare i sintomi di evitamento a breve termine (2 giorni dopo), e i sintomi di hyperarousal a medio (2 mesi/ 3 mesi post-writing session) e a lungo termine (12 mesi post-intervento) in un gruppo di donne che avevano avuto un parto “normale”.
In particolare, gli studi hanno evidenziato che i vissuti negativi legati al parto, quando espressi ed elaborati tramite la scrittura espressiva, perdono la loro connotazione traumatica e determinano un miglioramento dello stato di salute psicologico riducendo le risposte da stress post partum. Pennebaker stesso, ideatore del paradigma teorico e clinico dell’Expressive Writing, sostiene che [blockquote style=”1″]per migliorare lo stato di salute sembra necessario tradurre le esperienze in parole, integrare pensieri e sentimenti e rendere coerente e significativa la propria storia: in una parola, operare connessioni che diano significato e senso alle esperienze[/blockquote] (1999, p. 43).