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Non cambiare mai – Ciottoli di Psicopatologia Generale Nr. 3

I bias cognitivi sono una minaccia per la mente e bersaglio privilegiato della terapia, eppure possono trasformarsi in preziose strategie terapeutiche.  %%page%%

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 10 Feb. 2016

L’innata tendenza al confermazionismo si è sviluppata comportando un qualche vantaggio evolutivo come la possibilità di trasmettere l’esperienza di generazione in generazione e di fare previsioni su un mondo che si reputa sempre uguale a se stesso.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – LEGGI L’INTRODUZIONE

Questa tendenza alla testardaggine e al non voler cambiare idea è sostenuta da un’ampia gamma di bias che producono comunque l’effetto di stabilizzare le credenze del soggetto anche a dispetto delle falsificazioni disponibili. Nella vita quotidiana la vediamo all’opera nel fenomeno dell’autoinganno e nelle strategie di influenzamento dell’opinione pubblica per interessi economici o politici. Ritengo che una tendenza innata vada, per quanto possibile, controllata quando produce effetti negativi ma, contemporaneamente utilizzata a fin di bene nel lavoro terapeutico.

Il nostro scopo non è che i nostri pazienti diventino dei perfetti ragionatori aristotelici ma che siano felici raggiungendo i loro scopi utilizzando a tal fine la logica come suggerisce Baron. Insomma non si vive per ragionare ma si ragiona per vivere meglio e più lungo. I bias cognitivi sono sempre stati visti come una minaccia per la buona salute mentale e bersaglio privilegiato della terapia, soprattutto cognitiva. La mia idea è dunque quella di proporre l’utilizzo dei bias così ben descritti da Kaneman nel suo ultimo libro ‘Pensiero veloce, Pensiero lento‘ come possibili tecniche o strategie terapeutiche avvantaggiandosi proprio della loro innata e inconsapevole potenza.

La credibilità di un affermazione è direttamente proporzionale alla sua ripetizione. Ripetere continuamente una falsità la fa apparire vera. Su questo si fonda la pubblicità. Più una cosa viene ripetuta più acquista verità. Sui mass media questo fenomeno è conosciuto come ‘la cascata della disponibilità’: si parla di un evento, si parla del fatto che se ne parla, si commenta il fatto che se ne metaparla e sembra reale il gioco degli specchi moltiplicatorio. Il rimuginio fa questo al negativo. Le credenze dolenti del paziente sono al centro della sua attenzione e memoria selettiva e dei processi di rimuginio e gli appaiono sempre più vere. Se da un lato questo va evidenziato ed arginato perché non utilizzarlo in positivo? Ad esempio nei processi di ristrutturazione cognitiva.

Un’ abitudine cui i pazienti, abituati con le procedure Ret, rinunciano mal volentieri e trovano estremamente utile è registrare le sedute per poi riascoltarle due o tre volte durante la settimana e magari trascriverle. Questo lavoro accompagna il paziente durante la settimana e gli suggerisce temi da approfondire da riproporre nella seduta successiva. Ancora è molto utile scrivere le credenze funzionali che rappresentano il punto d’arrivo del lavoro su un cartoncino e chiedere al paziente di rileggerle più volte durante la settimana, particolarmente in presenza degli attivanti che innescano normalmente le credenze disfunzionali, impararle a memoria. Ancora più efficace riascoltarle direttamente dalla voce del terapeuta registrata sullo smartphone. Non si tratta semplicemente di una rassicurazione che comunque avrebbe il vantaggio di essere completamente autogestita dal paziente ma di una vera ristrutturazione in vivo.

In seduta avvalendosi del principio per cui si finisce per credere davvero in ciò a cui si deve credere per partito preso, si può invertire il ruolo per cui è il paziente a dover criticare le idee disfunzionali che vengono sostenute dal terapeuta. Ancora si può chiedere al paziente di elencare tutti i motivi per cui oggi le cose potrebbero andare diversamente da come lui si aspetta da sempre che vadano e da come gli sembra siano sempre andate. E’ un esercizio, da seduta o da homework, di fantasia dal titolo ‘Stavolta no…perché….’.

Per favorire il decentramento che prima dell’adozione della terminologia terzocentrista si chiamava ‘mettersi nei panni dell’altro e guardare le cose da un’altra prospettiva’ ci si può avvalere dell’ euristica degli affetti secondo la quale simpatie, antipatie e gusti determinano le credenze sul mondo e non solo viceversa, anzi se una cosa mi piace ne vedo i pregi e ignoro i difetti e non, come si potrebbe pensare, mi piace perché non ha difetti. Essa gioca un ruolo importante nell’innamoramento e nel fanatismo: due classiche situazioni in cui la lucidità del giudizio è offuscata dalla passione.

Le convinzioni opposte a quelle disfunzionali del paziente non devono rimanere affermazioni astratte ma attribuite ad un personaggio, meglio se costruito sulla base di una persona realmente conosciuta dal paziente con una sua storia che susciti emozioni positive, comprensione, affetto. Come nei film quando ci si trova a capire le ragioni del cattivone di turno. Persino la visione politica del mondo che ciascuno ha cambia, non per il semplice passare del tempo secondo il detto per cui si nasce incendiari e si muore pompieri ma perché cambia la propria posizione nella scala sociale e con essa la visione delle cose e della stessa giustizia.

Quindi è importante aiutare il paziente, costruendo storie, a immedesimarsi con stati d’animo e sentimenti di qualcuno che la pensa diversamente da lui e non semplicemente di considerarne le idee. L’euristica dell’affetto crea un mondo più ordinato e senza conflitti di quello reale: le cose che ci piacciono sono anche buone, giuste, vantaggiose e senza controindicazioni e viceversa: tutto ciò è molto attraente e rassicurante. In senso opposto, la terapia per ridurre la quota di autoinganno potrebbe essere il luogo dove si legittimano le preferenze ed i gusti senza per questo distorcere la realtà per sostenerli. Non sarebbe meglio potersi dire ‘Sono innamorata di lui anche se è un violento e un fedifrago’ piuttosto che raccontarsi che non lo è ed anzi sotto sotto cova un animo gentile. Liberarci dal dovere della coerenza accettando che molte preferenze e gusti non sono dettati da ragionevolezza ma sono lo stesso nostri e intensissimi,ci permetterebbe una maggiore lucidità.

Gli esseri umani hanno una potente, irresistibile tendenza a dare agli eventi delle spiegazioni causali, a ricercare le cause e di conseguenza, laddove non siano evidenti, formulare ipotesi causali ad hoc. Al contrario l’importanza del caso, decisivo probabilmente nel 99% delle occasioni, è sistematicamente sottovalutata. Il vantaggio illusorio che da l’ipertrofia della causalità è che gli eventi siano controllabili, che abbiamo voce in capitolo e possiamo farci qualcosa mentre in quasi tutte le questioni decisive non è così. Il prezzo che questa illusione comporta è il senso di responsabilità che a volte assume i connotati della colpa come nel DOC e nella depressione. Il bilancio è a mio avviso negativo perché le cose negative accadono comunque e al danno si aggiunge la delusione e magari la colpa.

Un ottimo esercizio in proposito è elencare tutti i fattori esterni incontrollabili che concorrono a determinare un certo risultato. Non lo chiamerei ‘la torta delle possibilità o del caso‘ perché mentre il reale ha un limite al 100%, il possibile non lo ha. Provate a immaginare tutti i possibili motivi per cui potreste non arrivare a leggere fino in fondo questo ciottolo. E’ chiaro che frugate tra gli avvenimenti distraesti che in genere avvengono intorno a voi a quest’ora del giorno (sete, pipì, telefonate del capo, ricordarsi l’anniversario per la moglie, l’urgenza delle pratiche da consegnare) invece è l’11 settembre e se guardaste dalla finestra il Bau Bau quatto quatto…. Non è l’eccezione ma piuttosto la regola sin dai tempi del Big Bang, del brodo primordiale e nel momento del vostro personale inizio quando uno spermatozoo a caso arrivato molto in ritardo ma in concomitanza dell’ovulo anch’esso attardatosi tra le ciglia delle tube di Eustachio…… La causalità ha avuto il suo successo nelle scienze di base come la fisica e la chimica ed è stata estesa a spiegare i fenomeni psicologici, sociali e storici dove non ha lo stesso potere euristico ed il caso entra prepotentemente.

Attenzione, fa talmente parte del nostro modo di ragionare che anche i libri di storia, le cronache di un campionato di calcio, le elezioni politiche, l’esito della preparazione della majonese sono descritti in termini di cause ed effetti. Ma ciò soltanto a posteriori, al netto degli eventi casuali. Un buon terapeuta dovrebbe avere in mente una serie di eventi storici o di vita quotidiana che nessuno aveva previsto in precedenza e che successivamente tutti si affrettano a spiegare con cause apparentemente evidenti.

Occupiamoci ora del contenimento e del possibile utilizzo positivo di uno dei più importanti bias confermazionista ovvero quello del cosiddetto ancoraggio per cui qualsiasi valutazione non si discosta molto dalla prima impressione seppure la si sappia indotta da un contesto completamente diverso o assolutamente fallace. E’ questo il motivo dell’efficacia della calunnia ‘Se c’è del fumo almeno un po’ di arrosto deve esserci’.

La letteratura sull’ancoraggio è copiosa, divertente e costituisce una buona guida per non essere truffati tutti i giorni da venditori senza scrupoli e politici (perdonate la ripetizione), per cui non tenterò neppure di riassumerla. Mi limito a due consigli che hanno lo scopo di utilizzare in positivo questo bias. In primo luogo se la comunicazione della gravità della diagnosi è sempre più diffusa in nome alla cosiddetta medicina difensiva essa finisce per essere, soprattutto nel nostro campo, una profezia che si auto avvera (in proposito leggetevi i resoconti degli esperimenti sui Q.I. dei bimbi riferiti agli insegnanti di una prima classe o, per rimanere nel campo, l’esperimento noto come la beffa di Roshenam riportato nella realtà inventata di Watzlavich).

Sempre a proposito di ancoraggio va sottolineata l’importanza dei primi contatti, dalla telefonata alla prima seduta. E’ bene che essa si chiuda in un clima positivo, di fiducia e ottimismo e che il paziente si porti a casa un primo piccolo compito che lo leghi al comune lavoro.

Persino più forte dell’ancoraggio è il potere della cosiddetta ‘euristica della disponibilità‘ secondo la quale stimiamo la probabilità di un evento dalla facilità con cui ce ne vengono in mente degli esempi. Per cui nello stimare il rischio d ammalarsi di tumore ignoriamo le statistiche ma diamo peso al povero zio, alla cugina di Ernestino ed al collega di lavoro che in un attimo….

E’ dopo aver visto un incidente stradale dal vivo o averne sentito lo straziante racconto dai sopravvissuti ed essere stati emotivamente coinvolti che spostiamo il piede dal gas al freno, non certo quando i cartelli luminosi ci informano sulle statistiche ufficiali.

Il lavoro terapeutico deve dunque evidenziare come il soggetto nel cercare prove a sostegno delle sue idee disfunzionali utilizzi spregiudicatamente la memoria selettiva e contemporaneamente abbia un oblio selettivo verso le prove contrarie. Insieme si tratterà di andare a cercare i ricordi contrari (le cosiddette eccezioni), trarli fuori da sotto i cumuli di polvere, farseli raccontare e arricchirli di particolari e dettagli in maniera che diventino belle storie degne di stare in prima fila sugli scaffali mnesici.

Un primo esercizio lo potete fare su voi stessi per poi riutilizzarlo con i pazienti perché riguarda una convinzione che sembra abbiamo tutti e cioè che, nei vari rapporti ‘ho dato più di quanto abbia ricevuto‘. Ciò dipende proprio dall’euristica della disponibilità perché mi ricordo di più i miei sforzi che mi sono costati emotivamente che quelli dell’altro. Proprio a partire dalla certezza che è una distorsione comune a tutti si invita il soggetto a cercare dei contro esempi e ad articolarli di particolari perché tornino ad essere vividi ricordi.

Ciò che sembra decisivo nello stabilizzare una credenza è il numero dei ricordi-esempio che vengono in mente e la facilità con cui ciò avviene ( a pag 148 Kaneman riporta numerosi esperimenti straordinariamente interessanti quanto divertenti). Anche le valutazioni che si fanno su di sé sono influenzate dai ricordi disponibili su di sé e si modificano radicalmente in poco tempo se l’attenzione si sposta su questi ricordi. Soprattutto nei problemi di autostima è estremamente utile ricostruire insieme al paziente una storia di vita in cui deve ricercare esplicitamente tutte le cose per cui può dirsi bravo e apprezzarsi da rileggere quando sente montare il demone autosvalutativo. Un homework che persegue lo stesso scopo è ‘L’esame di coscienza inverso‘ ovvero aggiornare ogni sera un diario in cui annotare tutte le cose anche molto piccole in cui può dirsi bravo.

Un altro modo per salvare le credenze dalla temuta falsificazione e dunque non doverle abbandonare è di mantenerle vaghe, indefinite (il massimo di tale lassità la si osserva nella schizofrenia) ma è presente in tutti quotidianamente. I concetti sono nuvole e ci capiamo per approssimazione o, direi, tavole di rorschach su cui proiettare. Fingiamo di capirci riferendoci a prototipi e non si va tanto per il sottile.

Ho ben presente in mente una signora che si arrovellava sul fatto che il suo partner fosse o meno innamorato di lei e oscillava continuamente tra il si e il no senza mai riuscire a far capire al malcapitato ma neppure a me cosa davvero intendesse. In questo senso andrebbe grandemente rivalutato la tecnica del laddering down oscurato dalla grande fama del suo gemello il laddering up. Con il down si aiuta il soggetto a chiarirsi ed a chiarire agli altri cosa davvero intenda con una certa parola. Cosa intendi esattamente per essere innamorato?, Da cosa ti accorgi che uno è innamorato? Cosa si fa quando si è innamorati che non si fa quando non lo si è?

La maggior parte dei concetti che usiamo anche in discussioni professionali tra esperti sono assolutamente indefiniti e mantengono equivoci grossolani. Nella costante battaglia contro il confermazionismo del paziente il terapeuta deve scontrarsi con la sua sicumera. Quando parla di se stesso il paziente è assolutamente certo di essere nel vero. Chi può conoscerlo meglio di se stesso. Lo steso vale per gli esperti in qualsiasi campo che sono i più riottosi a cambiare idea anche quando manifestamente sbagliata.

Il grado di certezza con cui crediamo ad una cosa è dato esclusivamente dalla coerenza e dalla facilità di elaborazione della storia che ci inventiamo per sostenerla e paradossalmente con pochi dati si costruiscono ottime storie perché si è più liberi da vincoli reali (vedi ad esempio il delirio dove i dati di realtà sono un inciampo).

Del resto è facile fare un esperimento mentale. Se vi chiedessi di inventare una storia di sana pianta sarebbe più bella e ricca se doveste includervi obbligatoriamente tre elementi da me suggeriti o 15 elementi. Una tecnica che chiamo ‘La storia ad ostacoli’ consiste nel farsi raccontare la storia che sostiene la previsione delirante o semplicemente catastrofica nei disturbi d’ansia o pessimistica nelle depressioni e poi metterci degli inciampi e suggerire dei vincoli cui la storia deve attenersi. Espressamente per i pazienti deliranti o drammaticamente confermazionisti ho sperimentato la cosiddetta ‘Costruzione del delirio‘ in cui io fornisco una idea francamente bizzarra e assurda e chiedo all’interlocutore di cercarne prove a sostegno a partire dall’osservazione della stanza stessa della terapia e/o dal mio comportamento. Il soggetto si accorge presto che a volerle cercare si trovano prove che giustificano tutto e l’incontrario di tutto.

 

 

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