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Adolescenza e devianza: quali sono i comportamenti rischiosi

I comportamenti devianti durante l'adolescenza comprendono l'uso di sostanze, la guida spericolata, i disturbi alimentari e la delinquenza. 

Di Francesca Boccalari

Pubblicato il 09 Feb. 2016

Aggiornato il 09 Gen. 2017 12:49

Al giorno d’oggi, l’adolescenza si presenta come un’età di transizione sempre più lunga, in un contesto sociale articolato e complesso all’interno del quale l’ingresso nell’età adulta è sempre più posticipato e non esistono norme e valori univoci che possano stabilirne l’adeguatezza.

Francesca Adriana Boccalari, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI 

 

La fase dell’adolescenza nel ciclo di vita dell’individuo

La letteratura psicologica più recente ha abbandonato la rappresentazione dell’adolescenza come inevitabile condizione di disagio e sofferenza, rappresentazione che affonda le proprie radici nella tradizione romantica ottocentesca e continua a godere tuttora di molta popolarità presso i mass media. La “crisi adolescenziale” non é né l’unica, né l’ultima, né tantomeno la più importante nella vita di una persona: essa si caratterizza invece per la sua valenza dinamica e positiva di momento di riorganizzazione e di svolta nel processo di sviluppo di un individuo.
Questa nuova visione è il risultato della concezione dello sviluppo umano come collocato all’interno del ciclo di vita: il cambiamento e lo sviluppo non sono limitati al periodo iniziale della vita, ma riguardano tutta l’esistenza, dal momento che tutte le funzioni psichiche subiscono mutamenti evolutivi incessanti lungo l’intero corso della vita (Baltes e Reese, 1986; Oliverio, 2003).

L’adolescenza non è dunque necessariamente caratterizzata da oscillazioni estreme e comportamenti devianti e, perciò, questi non devono essere sottovalutati ed ascritti alla fase che la persona sta attraversando. Non sempre, infatti, si tratta di segni transitori: a volte essi possono preannunciare importanti disadattamenti psichiatrici in età adulta. Il criterio che permette di distinguere i percorsi di sviluppo normali da quelli patologici non è pertanto quello fenomenologico e comportamentale, bensì quello temporale di transitorietà o al contrario di persistenza.

L’adozione di questa prospettiva olistica, interazionista e costruttivista, caratterizza sempre di più la psicologia dello sviluppo contemporanea, dalla quale l’adolescenza non viene più descritta come un percorso simile per tutti indipendentemente dalla cultura, dalle differenze individuali, dal contesto di vita e dalle opportunità che questo offre. Essa non è più descrivibile in modo unitario, ma presenta grandi differenze individuali di percorso (Koops, 1996).

Allo stesso tempo è cresciuta la consapevolezza che lo sviluppo non è un processo lineare e che non esistono percorsi fissi e uguali per tutti. Esso non avviene passando per strade obbligate bensì attraverso percorsi possibili, altamente individualizzati e differenziati, risultanti dall’interazione nel tempo tra l’individuo e il suo contesto di vita (Bonino, 2001b). In quest’ottica, le traiettorie di sviluppo sono molto irregolari e non possono essere previste deterministicamente: a seconda delle condizioni del sistema, piccole influenze possono produrre grandi effetti, e grandi influenze possono avere effetti ridotti.

Al giorno d’oggi, l’adolescenza si presenta come un’età di transizione sempre più lunga, in un contesto sociale articolato e complesso all’interno del quale l’ingresso nell’età adulta è sempre più posticipato e non esistono norme e valori univoci che possano stabilirne l’adeguatezza.
La possibilità di maggiori libertà individuali e realizzazioni personali, unita alla mancanza di punti di riferimento chiari e certi, consente l’elaborazione di valori e progetti personali, ma rende più problematica quest’età “sospesa” nella quale non si realizza ancora una vera e completa partecipazione sociale (Caprara e Fonzi, 2000). I percorsi di sviluppo adolescenziali vanno considerati come il risultato di una complessa interazione di un individuo concreto, dotato di specifiche capacità cognitive, caratteristiche personali e una propria storia, con un particolare contesto sociale nel quale il soggetto svolge un ruolo attivo (De Vit e Van der Veer, 1991). Ne consegue che l’azione dell’adolescente non è mai priva di senso e non è solo il risultato delle semplici pressioni ambientali. Essa è autoregolata, ha obiettivi e scopi precisi, e serve per esprimere valori e convinzioni, per risolvere problemi e per costruire una propria identità.

In altre parole, la maggior parte dei comportamenti adolescenziali risulta da scelte tra alternative, basate su valori e credenze sottoposte ad un controllo personale, in relazione alle regole sociali. Occorre pertanto andare oltre la forma esteriore di un comportamento per comprendere quali obiettivi un adolescente si propone di raggiungere con quell’azione: ciò significa che comportamenti apparentemente simili possono avere scopi molto diversi (ad esempio, per un adolescente l’impegno nello studio può essere messo in atto per compiacere i genitori, in una relazione di dipendenza, o può essere lo strumento per raggiungere una maggiore autonomia attraverso il successo scolastico) e comportamenti molto diversi possono avere obiettivi simili (l’affermazione di sé può realizzarsi attraverso comportamenti pericolosi e ad alto rischio, come l’uso di droghe, o con comportamenti socialmente utili, come l’impegno a favore degli altri) (Silbereisen, Eyferth e Rudinger, 1986).

L’adolescenza e la devianza

Il comportamento adolescenziale “deviante” è frutto di una molteplicità di fattori di rischio che riguardano l’area biologica, psicologica e sociale (Maguin e Loeber, 1996; McCord, McCord, Zola 1959).
Solo la loro interazione porta all’affermazione di un comportamento deviante, tenendo conto che l’effetto dei fattori di rischio dipende non solo dalla fase di sviluppo in cui il soggetto si trova, ma anche dalla presenza o meno di fattori protettivi in grado di ridurre, o annullarne le conseguenze. La probabilità di manifestare delinquenza e violenza cresce con il numero dei fattori di rischio implicati, pertanto la presenza di un singolo fattore non spiegherà mai, di per sé, l’agito antisociale. Esso è il risultato dell’incrocio e dell’interazione di fattori individuali, sociali, familiari e ambientali che si collocano all’interno di un percorso evolutivo e che si colorano di significati e potenzialità patogene diverse a seconda del momento in cui si presentano e interagiscono. Detto ciò, non é semplice comprendere le interazioni tra i diversi fattori e le dinamiche che contribuiscono alla determinazione dello sviluppo in senso patologico o deviante.

Lo studio dei comportamenti a rischio adolescenziali ha acquisito importanza a partire dagli anni Ottanta, quando si è compreso come la maggior parte delle cause di malattia e di morte nella seconda decade della vita avessero un’origine comportamentale. Il termine “comportamento a rischio” è stato utilizzato per definire una serie di comportamenti pericolosi per la salute tra cui l’uso di sostanze, il comportamento sessuale precoce o rischioso, la guida pericolosa, il comportamento suicida e omicida, i disordini alimentari e la delinquenza. Tali comportamenti possono, direttamente o indirettamente, mettere a repentaglio il benessere psicologico e sociale (es. l’attività sessuale precoce e non protetta che può portare ad una gravidanza precoce) e la salute fisica (es. la guida pericolosa e il fumo di sigaretta) e, una volta stabiliti diventano la maggiore causa di problemi di sanità anche nell’età adulta (U.S. Preventive Service Task Force, 1989).

Queste condotte presentano tra loro molte differenze, ma possono servire a raggiungere obiettivi di crescita simili: possono avere una “equivalenza funzionale”(Silbereisen e Noack, 1988). Affermare questo implica la necessità di andare oltre la semplice descrizione di un comportamento, per comprendere quali significati esso assume per chi lo attua. In adolescenza, in particolare, i comportamenti a rischio consentono al ragazzo di mettere alla prova le proprie abilità e competenze, di concretizzare i livelli di autonomia e controllo raggiunti e di sperimentare nuovi stili di comportamento (Palmonari, 1997). L’assunzione del rischio e la sperimentazione aiutano gli adolescenti a raggiungere indipendenza, maturità e a strutturare una propria identità. Tuttavia, tale assunzione di rischio può portare a mettere in atto comportamenti estremamente dannosi per la salute propria e altrui.

L’indagine sui meccanismi psicologici coinvolti nei comportamenti pericolosi ha dimostrato che alcuni fenomeni risultano essere particolarmente rilevanti per la percezione, e quindi l’attuazione, del rischio: l’ottimismo irrealistico e la sensation seeking.
L’ottimismo irrealistico é un bias cognitivo che produce una sottostima del rischio che si corre personalmente rispetto a una generica persona media (Weinstein, 1980). La sensation seeking (Zucherman, 1971) può essere descritta come il grado di novità e intensità di sensazioni ed esperienze che una persona ricerca attivamente. Alti livelli di sensation seeking definiscono una preferenza per esperienze nuove ed intense e sono correlati con l’attuazione di comportamenti sessuali precoci e non protetti, l’uso di droga e alcol e altri comportamenti a rischio.

La sensazione di invulnerabilità, unita alla sottovalutazione delle conseguenze negative a lungo termine e alla ricerca continua di sensazioni forti, sarebbe perciò determinante nel far assumere all’adolescente rischi significativi per la propria salute fisica e mentale.
Come detto in precedenza, gli effetti nocivi dei fattori di rischio sono mediati dalla presenza di fattori protettivi, i quali svolgono una funzione di riduzione della vulnerabilità del soggetto a esiti maladattivi. Tali fattori possono intervenire a più livelli: direttamente sul disturbo comportamentale attenuandolo, interrompendo la catena attraverso la quale il rischio conduce al disturbo, o prevenendo l’azione dei fattori di rischio stessi (Coie, Watt, West, Hawkins, Asarnow, Markman, Ramey, Shure, Long, 1993). Tra i fattori protettivi più efficaci nella riduzione degli agiti antisociali vi sono l’appartenenza al genere femminile, atteggiamenti prosociali sviluppati durante l’infanzia e buone performance cognitive (Piquero, Brezina, Turner, 2005).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baltes P.B., Reese H.W. (1986), L'arco della vita come prospettiva in psicologia evolutiva. Età Evolutiva, 23, 66-96.
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  • Caprara G.V., Fonzi A. (2000), L’età sospesa. Firenze: Giunti.
  • Coie, J. D., Watt, N. F., West, S. G., Hawkins, J. D., Asarnow, J. R., & Markman, H. J., et al. (1993). The science of prevention A conceptual framework and some directions for a national research program. American Psychologist, 48, 1013-1022.
  • De Wit J., Van der Veer G.(1993), Psicologia dell’adolescenza.Teorie dello sviluppo e prospettive d’intervento: Giunti
  • Koops W. (1996), Historical developmental psychology of adolescence. In Verhofstadt-Denève L., Kienhorst I., Braet C. (eds.), Conflict and development in adolescence. Leiden: DSWO Press, 1-12.
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  • McCord W., McCord J., Zola I. K. (1959), Origins of crime: a new evaluation of the Cambridge-Somerville Youth Study. New York: Columbia University Press.
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  • Palmonari A. (1997), Psicologia dell’adolescenza. Bologna: Il Mulino.
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  • Silbereisen R.K., Eyferth K., Rudinger G. (eds.), Development as action in context. Problem behaviour and normal youth development. Berlin: Springer-Verlag, 229-240.
  • Silbereisen R.K., Noack P. (1988), On the constructive role of problem behavior in adolescence. In Bolger A., Caspi A., Dolwney G., Moorhose M. (eds.), Person in context: development process. Cambridge: Cambridge University Press.
  • U.S. Preventive Services Task Force (1989), Guide to clinical preventivesServices. Baltimore: Williams & Wilkins.
  • Weinstein N.D. (1980), Unrealistic optimism about future life events. Journal of Personality and Social Psychology, 39(5), 806-20.
  • Zuckerman M. (1971), Dimensions of sensation seeking. Journal of Consulting and Clinical Psychology. 36(1), 45-52.
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