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DBT e Adolescenti: report dal seminario di Charles Swenson

Swenson nel suo seminario spiega cos'è la DBT e come è possibile applicarla agli adolescenti e ai rispettivi nuclei familiari

Di Guest

Pubblicato il 28 Dic. 2015

Aggiornato il 09 Mar. 2016 15:18

Report dal seminario DBT E ADOLESCENTI del 4 dicembre 2015, Roma.

Di Martina Giuliano

La terapia dialettico-comportamentale è creatività, movimento e danza continua tra terapeuta e paziente.

(Charles R. Swenson)

 

Quando mi trovo in un ritiro, ogni pomeriggio cammino, unisco le mani e le torco, dicendo a tutti i pazienti psichiatrici del mondo, “Non devi torcerti le mani oggi, lo sto facendo io per te”. Spesso quando ballo nel corridoio della mia casa o con i gruppi, invito tutti i pazienti psichiatrici del mondo a ballare con me.

(Marsha M. Linehan)

 

Charles R. Swenson è professore associato presso la facoltà di Medicina dell’Università del Massachusetts, psichiatra, psicoterapeuta e trainer di Terapia Dialettico Comportamentale (DBT); si è formato con Marsha M. Linhean.

In questo workshop molto coinvolgente racconta ai partecipanti che cos’è la DBT e come è possibile applicarla anche agli adolescenti e ai rispettivi nuclei familiari. Il Professor Swenson utilizza un’affascinante metafora per descrivere la poliedricità della DBT; paragona quest’ultima ad un isola collegata alla terraferma da quattro ponti: il primo rappresenta la biologia delle emozioni, ovvero i pattern neurofisiologici della regolazione emotiva, il secondo ponte è costituito dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale, il terzo permette di allenare la parte spirituale e meditativa, utilizzando la mindfulness per radicarsi nel “qui ed ora”, il quarto include la comprensione delle esperienze traumatiche. Con questa metafora il professor Swenson spiega la teoria biosociale alla base della DBT e del Disturbo Borderline di Personalità; si tratta di una teoria bi-fattoriale, costituita da una dimensione biologica e una sociale.

Secondo questa teoria a livello biologico il bambino, poi adolescente e adulto, mostrerebbe una maggiore reattività, sensibilità emotiva e impulsività: ad esempio può risultare più arrabbiato, più timido, più vergognoso, più fragile e vulnerabile dei suoi coetanei. Vi è un lento ritorno alla baseline dopo una situazione di disagio e durante questo tempo può verificarsi un altro evento stressante per cui la persona non riesce a tornare ad un livello “di attivazione” di base; questo determina una maggiore impulsività per fronteggiare l’emotività negativa e comportamenti problematici. Nel caso del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) negli adolescenti, così come negli adulti, una delle “valvole di sfogo” disfunzionali più comuni è rappresentata dall’autolesionismo.

Per quanto riguarda la dimensione sociale, l’ambiente in cui vive è pervasivamente invalidante; con questo termine si intendono una vasta gamma di situazioni di grave disagio a cui il bambino è sottoposto sistematicamente quali deprivazione durante l’infanzia, traumi, oppure il bambino/adolescente sente che nessuno lo capisce, né percepisce il suo malessere in quanto le persone significative non prestano attenzione, sono punitive, non apprezzano nulla di lui o lo ignorano. L’adolescente tende così a mettere in atto comportamenti estremi nel disperato tentativo di mostrare i suoi bisogni. Purtroppo questi comportamenti sono solitamente disfunzionali e la risposta dell’ambiente circostante tende ad un’invalidazione ancora maggiore, facendo sprofondare così l’adolescente in una spirale distruttiva.

La DBT si è dimostrata scientificamente efficace per il DBP e, negli ultimi 20 anni la sua efficacia si è estesa anche ai disturbi alimentari, abuso di sostanze, comportamenti autolesivi, disturbi della condotta e antisociale, disturbo post-traumatico da stress complesso (Swenson, Torrey, Koerner, 2002).

La terapia DBT attualmente viene svolta in diversi contesti, quali ospedale psichiatrico giudiziario, ricoveri presso ospedali/cliniche, day hospital, gruppi di terapia.

Perchè la DBT funziona con questi disturbi? Il punto in comune è che tutti questi disturbi derivano dalla disregolazione emotiva e dalla difficoltà di fronteggiare situazioni stressanti. Davanti a queste, la persona impara che le strategie di coping immediate e maladattive sono l’unica soluzione, in quanto forniscono un sollievo a breve termine. Ad un livello più profondo, dunque, piuttosto che parlare della DBT come trattamento di singoli disturbi, si potrebbe meglio dire che la DBT si focalizza sul trattamento della disregolazione emotiva.

In che modo? Nel programma DBT (Barone, Maffei, 2015) sono presenti varie funzioni:

1)        insegnare le competenze per gestire l’emotività negativa e rafforzare le capacità e il senso di autoefficacia (skills training – modulo svolto nel contesto di terapia di gruppo);

2)        generalizzare le competenze acquisite nel gruppo all’ambiente che circonda la persona fuori (vi è un coach e un numero di telefono che viene fornito che il paziente può utilizzare nei momenti di difficoltà estrema);

3)        aumentare la motivazione del paziente, a costruire obiettivi condivisi e diminuire la frequenza dei comportamenti problematici fornendo alternative (psicoterapia individuale).

Il terapeuta DBT oscilla continuamente, in una sorta di “danza” con il paziente, tra accettazione e validazione della sofferenza di quest’ultimo e spinta al cambiamento. Da qui deriva il termine “dialettica”. Il terapeuta si pone come attivo, supportante e direttivo. Per validazione, si intende l’ascolto non giudicante, il rispecchiamento, l’attenzione anche al comportamento non verbale e nel cercare di dare un senso al comportamento portato dal paziente in linea con i suoi vissuti, inserendolo in una narrazione congruente.

In una modalità più globale di interazione il terapeuta DBT si pone come radicalmente genuino, onesto, e, quando le ritiene strategie utile, può utilizzare auto-aperture e metafore (Linehan, 2015). Il paziente avverte questa vicinanza ed autenticità e questo è già di per sé terapeutico.

Per promuovere il cambiamento il terapeuta individuale si avvale di strategie di problem-solving, ristrutturazioni cognitive e strategie dialettiche oltre che rinforzare le abilità che il paziente apprende nella terapia di gruppo (skills training).

Specialmente con gli adolescenti un’altra funzione importante della DBT è strutturare l’ambiente: una volta che il ragazzo/a torna a casa, l’ambiente domestico rema completamente contro ed è quindi fondamentale insegnare alla famiglia come strutturare il contesto.

La DBT con gli adolescenti (Rathus, Miller, 2014) parte dal presupposto che per promuovere il cambiamento nell’adolescente sia necessario cambiare anche l’interazione adolescente-famiglia. Uno degli obiettivi è quello di costruire un ambiente più validante per entrambi. Le skills vengono così proposte sia agli adolescenti sia ai genitori; se usate in famiglia, possono rafforzarsi e radicarsi ulteriormente nell’adolescente.

L’adolescenza rappresenta quella fase della crescita in cui si è più reattivi, emotivi, sensibili e vulnerabili. Se l’adolescente è inserito in un ambiente sistematicamente invalidante, il rischio di disregolazione emotiva è estremamente elevato.

Esistono diversi tipi di “escape behaviors” (vie di fuga) tra gli adolescenti che manifestano disregolazione: tra i più frequenti si riscontrano ideazione suicidaria, autolesionismo, saltare la scuola, crisi di rabbia, uso di sostanze, mangiare compulsivamente, vomito auto-indotto; questi comportamenti creano distrazione/sollievo momentaneo e fungono da rinforzo negativo. Tuttavia, a questi seguono emozioni negative come vergogna, senso di colpa, delusione che risultano nuovamente difficili da gestire, provocando distress e senso di hoplessness; per evitare lo sconforto emozionale, dunque, gli escape behaviors sono rimessi in atto in un circolo vizioso disfunzionale che continua a ripetersi.

L’autolesionismo rappresenta la strategia di coping adolescenziale del XXI secolo? C. Swenson riporta le statistiche del 2015 negli U.S.A., le quali registrano una frequenza di gesti autolesivi compresa tra il 21% e il 61%, con esordio tra i 12 e 14 anni. Il professore fornisce esempi concreti e situazioni in cui si arriva al gesto autolesionista. “La reattività emotiva e le sensazioni negative connesse tendono ad aumentare drasticamente se gli adolescenti a scuola si sentono irrequieti, soli, rifiutati dagli amici, non brillanti, gelosi, non concentrati su quello che gli insegnanti spiegano.. allora cosa fanno? Ricorrono alla strategia più immediata: vanno in bagno, tirano fuori un rasoio, si tagliano e poi sentono un sollievo momentaneo. Tornano in classe, si sentono meglio, possono agire come “persone normali”, interagire, concentrarsi, è quasi un miracolo per il ragazzo/ragazza in questione”.

Il problema è che si tratta di un circolo vizioso che va spezzato e di una strategia del tutto disfunzionale (Miller, Rathus, Linehan, 2007). “Gli adolescenti che si tagliano molto spesso – aggiunge Swenson – spesso arrivano a considerare questo gesto come una vera e propria addiction, qualcosa da cui non possono fare a meno ed il rischio è quello di non valutare le conseguenze a lungo termine; alcuni così facendo finiscono con l’uccidersi”.

 

DBT e adolescenti: il programma di Charles Swenson

Cosa può fare allora il terapeuta DBT con gli adolescenti?

Swenson sottolinea come con gli adolescenti ancora di più sia importante togliere qualsiasi tipo di giudizio, fino al punto (paradossale) di riuscire a dire loro: “Perchè non mi sono mai tagliato? Wow, sembra che funzioni.. ora capisco davvero, vedo il positivo, ma c’è del negativo?

Solo allora l’adolescente risponde: “Cinque minuti dopo mi sento male, poi devo nascondere le ferite, mi credono uno svitato, ma non capiscono, non mi sto cercando di uccidere..”

A quel punto il terapeuta inizia le strategie dialettiche: “Se avesse a disposizione nuove modalità di gestione delle emozioni, smetterebbe di tagliarsi?”

Il problema con gli adolescenti è la difficoltà a pensare a una modalità che potrebbe essere utile a lungo termine. Nel validare la sofferenza del paziente è sempre importante chiedere qual è la funzione del comportamento, perché lo fa. E’ fondamentale coglierne il senso ai fini di un trattamento efficace che utilizzi le differenti strategie, costruite su misura del ragazzo/a, “adattabili come un vestito”.

Il programma DBT per adolescenti e familiari (Rathus J.H, Miller A.L., 2014) ha la durata di 24 settimane e comprende:

 

FASE DI ORIENTAMENTO

1)        Emotional Regulation training: sono comprese strategie di mindfulness per radicarsi, modulare la reattività, calmarsi. Si tratta di strategie diverse dalla “distrazione” che riguardano piuttosto una modalità differente di esperire le emozioni negative e relazionarsi ad esse.

2)        Interpersonal effectiveness: essendo presente disagio nelle relazioni interpersonali, si sviluppano competenze e abilità sociali, tra cui essere assertivi, trovare maggior equilibrio e saggezza (distress tolerance).

3)        Walk in the middle of the path: validare familiari e adolescenti, insegnare principi di apprendimento per cambiare i comportamenti altrui (rinforzarsi reciprocamente), pensare e agire in modo dialettico; quando ci si trova in una situazione di opposizione (ad es. un familiare pensa in un modo, l’altro nel modo contrario) pensare e agire in modo dialettico, senza che “nessuno debba cedere il passo all’altro”, ovvero invece di determinare chi ha ragione e chi ha torto trovare elementi validi in entrambe le posizioni e muoversi lentamente verso una nuova posizione che contenga gli elementi validi delle due precedenti.

 

FASE I

  • Gruppo pluri-familiare (massimo 4-5 famiglie) con adolescenti e genitori

(gruppo skills training) condotto da terapeuta e co-terapeuta

  • Sedute terapeutiche individuali per gli adolescenti
  • Sia gli adolescenti sia i familiari possono contattare telefonicamente il terapeuta per consultazione
  • Sedute individuali di terapia familiare (non sempre)
  • Riunione team psicoterapeuti per supervisione

 

FASE II (16 settimane)

  • Ripassare competenze acquisite, provare a inserirle nella vita di tutti i giorni, concentrarsi sulla qualità di vita e obiettivi per una vita degna di essere vissuta.

 

Sono previsti “homeworks” sia per adolescenti sia per genitori. Nella fase I gli adolescenti attraverso role-playing possono esercitarsi nell’interazione con i membri di un’altra famiglia, così da sperimentare diversi tipi di interazione.

 

Swenson conclude riferendo che i pazienti che hanno seguito questo programma hanno mostrato esiti significativi: riduzione degli episodi autolesivi, dell’ideazione suicidaria, dei sintomi depressivi, dell’ “hoplessness feeling” e della sintomatologia del DBP; anche i familiari ne hanno tratto beneficio in termini di qualità della vita e di modalità più adattive per fronteggiare situazioni problematiche.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barone L., Maffei C. (2015). DBT Skills Training Manuale. Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Linehan M. M. (2015). DBT Skills Training Handouts and Worksheets, Second Edition, New York, Guilford Press.
  • Miller A. L., Rathus J. H., Linehan M. M. (2007). Dialectical Behavior Therapy with Suicidal Adolescents. Foreword by Charles R. Swenson. New York, Guilford Press.
  • Rathus J. H., Miller A. L. (2014) DBT Skills Training for Adolescents. New York, Guilford Press.
  • Swenson R. C., Torrey W. C., Koerner K. (2002) Implementing Dialectical Behavior Therapy. Psychiatric Services, 53, 171-178.
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