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Work Engagement, burnout e workaholism: quali differenze per i lavoratori?

Mentre il work engagement genera nel lavoratore benessere, efficacia ed energie, il burnout genera malessere, inefficacia e sfinimento - Psicologia %%page%%

Di Valentina Costanzo

Pubblicato il 04 Nov. 2015

Aggiornato il 08 Mar. 2016 14:35

Valentina Costanzo, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

 

Il termine engagement viene utilizzato per designare il benessere del lavoratore in contrapposizione alla situazione di malessere lavorativo definito come burnout (Maslach, Schaufeli & Leiter, 2001). Il lavoratore prova uno stretto legame affettivo nei confronti delle sue attività lavorative e si sente capace di occuparsi delle richieste del suo lavoro.

Esistono due diversi approcci che considerano il work-engagement come positivo, legato al benessere e alla soddisfazione.
Il primo, proposto da Maslach and Leiter (1997), ritiene che l’engagement sia caratterizzato da energia, coinvolgimento ed efficacia, ossia da dimensioni esattamente opposte alle tre dimensioni del burnout, rispettivamente sfinimento, cinismo e inefficacia. Il secondo proposto da Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma & Bakker sostiene che il work engagement sia una dimensione indipendente, un concetto distinto legato negativamente al burnout, e che sia caratterizzato da vigore, assorbimento e dedizione. Lo sfinimento e il vigore sono ai poli opposti del continuum dell’energia, mentre tra il cinismo e la dedizione c’è l’identificazione (Gonzalez-Roma, Schaufeli, Bakker, & Lloret, 2006).

Il work engagement, quindi, è caratterizzato da un alto livello di energia e da una forte identificazione nel proprio lavoro, mentre il burnout è esattamente l’opposto: poca energia e un basso livello di identificazione. L’assorbimento costituisce la terza dimensione dell’engagement.

Kahn (1990) utilizza un approccio diverso e descrive l’engagement come [blockquote style=”1″]un legame dei membri dell’organizzazione ai loro ruoli lavorativi: con l’engagement, le persone si impegnano fisicamente, cognitivamente, emotivamente e mentalmente durante le performance lavorative[/blockquote] (p. 694).

Di conseguenza, i lavoratori si sforzano di più a lavoro perché ci si identificano. Secondo Kahn esiste una relazione dinamica e dialettica tra coloro che investono le loro energie personali (fisiche, cognitive, emotive e mentali) nel proprio lavoro ed il ruolo lavorativo che consente alle persone di esprimersi. Kahn (1992) differenzia il concetto di engagement dalla presenza psicologica o dall’esperienza del “sentirsi pienamente lì”, ossia quando [blockquote style=”1″]le persone sentono di essere attente, collegate, integrate e focalizzate nel loro ruolo[/blockquote] (p.322).

L’engagement come comportamento (guidare l’energia verso il proprio ruolo lavorativo) è considerato una manifestazione di presenza psicologica, un particolare stato mentale. In questo modo l’engagement è ritenuto capace di produrre risultati positivi sia a livello individuale (crescita personale ed evoluzione) sia a livello dell’organizzazione (qualità della performance).
Ispirato dal lavoro di Kahn, Rothbard (2001) definisce l’engagement come [blockquote style=”1″]un costrutto a due dimensioni motivazionali che include attenzione (…la disponibilità cognitiva e la quantità di tempo che trascorre pensando al ruolo) e l’assorbimento (l’intensità della propria attenzione al ruolo”)[/blockquote] (p.656).

E’ importante notare che il riferimento fondamentale per Kahn (1990, 1992) è il ruolo lavorativo, mentre per coloro che considerano l’engagement come l’antitesi del burnout è l’attività lavorativa o il lavoro in sé.
Macey and Schneider (2008) hanno provato a risolvere la confusione concettuale proponendo con il termine work-engagement un insieme di diversi tipi di engagement (come caratteristica, come stato o come comportamento), ognuno dei quali comporta diverse concettualizzazioni; una personalità proattiva (engagement come caratteristica), il coinvolgimento (engagement come stato), comportamento di cittadinanza organizzativa (engagement comportamentale).

Nonostante ci siano molte definizioni utilizzate per definire l’engagement, tutti gli studiosi concordano sul fatto che indichi alti livelli di energia e una profonda identificazione col proprio lavoro.

Nell’ambito della ricerca, la definizione più utilizzata è quella di Schaufeli, Salanova, González-Romá & Bakker (2002) che definiscono l’engagement come uno stato psicologico positivo, appagante, di legame con il lavoro caratterizzato da:
– vigore, ovvero alti livelli di energia e di resilienza durante il lavoro, la disponibilità nell’investirvi tutte le proprie forze e la perseveranza dinanzi le difficoltà;
– dedizione, un senso di importanza, entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida;
– assorbimento, l’essere pienamente concentrati e assorti nel proprio lavoro, attraverso il quale il tempo scorre velocemente e si ha difficoltà nel distaccarsi dal lavoro. L’essere assorbiti è vicino a ciò che può essere definito “flusso” (Csikszentmihalyi, 1990), uno stato ottimale, sebbene duri poco a differenza di uno stato mentale più pervasivo e persistente, come il caso dell’assorbimento.

Alcune ricerche si sono focalizzate sulla relazione tra engagement e altri costrutti psicologici (ad esempio il workaholism o l’organizational commitment) e sui predittori più importanti dell’engagement.

Quali differenze ci sono tra l’engagement e il workaholism?

Gli studi hanno dimostrato che l’engagement è differente dallo stato di dipendenza tipico del workaholism, poiché i lavoratori non si sentono in colpa se non lavorano, hanno interessi al di fuori dell’attività lavorativa e lavorano duramente perché provano piacere nel farlo.

Il termine engagement non designa l’aver bisogno di lavorare per lunghe ore o sentire un bisogno incontrollato di lavorare: i lavoratori con un buon livello di engagement non trascurano la loro vita privata, anzi, trascorrono il loro tempo socializzando, coltivando hobbies e attività di volontariato.
Il work engagement, quindi, è un unico concetto che ha come predittori più importanti le risorse lavorative (autonomia, sorveglianza, coaching, performance-feedback) e personali (ottimismo, self-efficacy, autostima), mentre non è legato alle richieste lavorative (Schaufeli and Bakker, 2004).
La letteratura evidenzia che il lavoro influenza lo stato affettivo e il benessere delle persone, infatti coloro che hanno dei fattori stressanti a lavoro reagiscono a breve termine con sentimenti negativi (Gryzwacz, Almeida, Neupert & Ettner, 2004; Zohar, Tzischinski & Epstein, 2003) e a lungo termine con un danno sul benessere (De Lange, Taris, Kompier, Houtman & Bongers, 2003).

Il work engagement è legato positivamente con sentimenti positivi e negativamente con sentimenti negativi nel fine settimana. Persone che godono di un buon livello di engagement a lavoro dovrebbero quindi avere più esperienze positive, le quali, insieme agli eventi piacevoli, favoriscono sentimenti positivi (Gable, Reis & Elliot, 2000; Kanner, Coyne, Schaefer & Lazarus, 1981). Inoltre, lavoratori con alti livelli di engagement sono più attivi (Hakanen, Perhoniemi & Toppinen-Tammer, 2008; Salanova & Schaufeli, 2008) e ciò implica che si sforzano a migliorare il metodo di lavoro che riduce gli effetti negativi perché ci sono meno motivi per generarli. Il lavoratore che si sente “legato”, dunque, dovrebbe essere assorbito dal lavoro e meno distratto dagli eventi negativi (i conflitti ad esempio) che si possono verificare sul posto di lavoro. Di conseguenza, i lavoratori con alto livello di engagement non provano piacere nel concentrarsi sugli eventi negativi e quindi il loro livello di sentimenti negativi rimane basso, mentre provano piacere nel terminare i loro compiti e nel lavorare bene e questo incoraggia i sentimenti positivi e riduce i sentimenti negativi.

Gli studi hanno dimostrato che il work engagement è legato negativamente a sintomi fisici e ad altre manifestazioni di malessere.
C’è da specificare, però, che avere alti livelli di work-engagement non implica che il lavoro di per sé sia un’esperienza più piacevole e che gli scontri sono meno stressanti.

Rispetto alla relazione tra l’engagement e lo stress, c’è un’evidenza empirica sul fatto che le persone con alto engagement sono più colpite da fattori stressanti ed esperienze negative che possono verificarsi a lavoro (Britt et al., 2005), probabilmente perché questi lavoratori percepiscono ogni evento lavorativo come molto importante e perché l’assorbimento totale nel proprio lavoro implica anche l’essere assorbiti di più nelle situazioni stressanti. E’ per questo che per questo tipo di lavoratori è importante un distacco psicologico nei momenti in cui non lavorano. Quando il distacco non avviene, c’è un’alta probabilità che le situazioni stressanti sul posto di lavoro riversino le loro conseguenze negative anche durante le ore non lavorative e, di conseguenza, le sensazioni negative aumentano e quelle positive diminuiscono: in questi casi il lavoratore con alto engagement è a rischio di workaholism.

L’engagement a lavoro e le esperienze positive associate come il vigore o l’assorbimento non implicano che il lavoro sia agevole (Macey & Schneider, 2008). Il work-engagement potrebbe costituire una perdita di risorse affettive e cognitive. Per evitare che la perdita delle risorse continui durante le ore non lavorative e che ci si trovi in uno stato affettivo povero, distaccarsi durante le ore non lavorative è fondamentale. Dato che l’engagement causa alti livelli di attivazione positiva (il vigore ad esempio), questo livello di attivazione probabilmente è così alto anche quando si rientra a casa dopo il lavoro. Quando i lavoratori continuano a pensare agli affari legati al lavoro o continuano ancora con le attività lavorative (e quindi non hanno un distacco psicologico) la loro attivazione rimane alta. Questo può arrecare conseguenze sulla qualità del sonno, l’addormentarsi tardi e la difficoltà nel rilassarsi (Brosschot, Pieper, & Thayer, 2005; van Hooff, Geurts, Kompier & Taris, 2006). Per ridurre questo alto livello di attivazione nelle ore non lavorative è importante distaccarsi mentalmente dai pensieri e dalle attività legate al lavoro. Al contrario, per quei lavoratori che sono legati negativamente a causa delle esperienze spiacevoli a lavoro, il distacco psicologico nelle ore non lavorative non fa differenza: sono meno assorbiti nel lavoro e nelle attività lavorative perciò hanno bisogno di un minore distacco mentale.

Quali sono le caratteristiche dei lavoratori con workaholism?

I lavoratori con workaholism trascorrono gran parte del loro tempo in attività lavorative, lavorano eccessivamente, sono riluttanti nel non farlo e quando non lavorano ci pensano in maniera persistente e frequente.

Sono lavoratori ossessivi e compulsivi (Schaufeli, Taris & Bakker, 2006; Scott, Moore, & Miceli, 1997). Hanno “bisogno” di lavorare a scapito della loro felicità, delle loro relazioni interpersonali e del loro funzionamento sociale. Al contrario, i lavoratori con work-engagement sono felici di lavorare, non è una questione di bisogno, ma trascorrono le ore lavorative impegnandosi con vigore senza rinunciare alle altre attività nel tempo libero e, di conseguenza, non risultano essere lavoratori infelici.

Nel work-engagement sono fondamentali le risorse lavorative: il supporto dei colleghi e dei supervisori, i feedback, la varietà di abilità, l’autonomia e le opportunità (Bakker & Demerouti, 2008; Halbesleben; Schaufeli & Salanova, 2007). Per risorse lavorative si intendono gli aspetti fisici, sociali e organizzativi come ad esempio: diminuire le richieste lavorative e i sacrifici fisiologici e psicologici associati; essere stimolati nel raggiungimento degli obiettivi; stimolare la crescita, l’apprendimento e il progresso della persona (Bakker & Demerouti, 2007; Schaufeli & Bakker, 2004). Le risorse lavorative, quindi, agiscono sia sulla motivazione intrinseca incrementando la crescita, l’apprendimento e il progresso, sia sulla motivazione estrinseca con il raggiungimento degli obiettivi lavorativi. Soddisfano i bisogni degli individui di autonomia, competenza e di relazione (Deci & Ryan, 1985; Ryan & Frederick, 1997; Van den Broeck, Vansteenkiste, De Witte, & Lens, 2008). Gli ambienti lavorativi che offrono risorse sollecitano i lavoratori a dedicarsi al proprio lavoro poiché è piacevole dedicarsi ai compiti che vengono svolti con successo e agli obiettivi che vengono raggiunti.

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Valentina Costanzo
Valentina Costanzo

Psicologa, psicodiagnosta

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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