Uno dei metodi attualmente utilizzati e integrabili nei servizi che si occupano di gestire l’emergenza migranti, potrebbe essere proprio quello proposto nel recente manuale sulla Terapia dell’Esposizione Narrativa (NET) di Schauer, Neuer, Elbert (2014).
[blockquote style=”1″]Quando un essere umano infligge un dolore o un danno ad un altro essere umano, ne deriva una lacerazione a livello umano e personale. Il trauma distrugge il nucleo di umanità caratteristico di ogni contesto sociale: la comunicazione, la parola, la memoria autobiografica, la dignità, la pace e la libertà.[/blockquote]
In questi anni stiamo assistendo ad un planetario fenomeno migratorio, fatto di intere popolazioni in fuga dalla propria terra. Guerre, persecuzioni, disastri naturali, estrema povertà, genocidi e discriminazioni politiche e religiose, alimentano flussi migratori di popolazioni di rifugiati che legittimamente cercano un luogo più sicuro in cui vivere, in cui costruire un futuro e proteggere le proprie famiglie. Questa ricerca di libertà e dignità nasce dall’aver vissuto situazioni gravemente traumatiche nella terra d’origine, ma spesso incontra sulla via di fuga situazioni di ulteriore minaccia alla vita: torture e umiliazioni, lutti e violenze che non trovano rapidamente una soluzione di protezione, ma che vengono al contrario reiterati, lasciando poco spazio alla possibilità di difesa delle vittime.
Che caratteristiche ha la violenza organizzata? Questo tipo di fenomeni ha alla base una strategia sistematica messa in atto da membri di gruppi con struttura centralizzata o con orientamento politico (unità di polizia, organizzazioni ribelli, organizzazioni terroristiche, paramilitari e unità militari). E’ indirizzata agli individui e ai gruppi con differenti orientamenti politici o di diversa nazionalità o che provengono da specifici background culturali, etnici e razziali. La violenza organizzata è caratterizzata dalla sistematica violazione dei diritti umani e le conseguenze si estendono, vaste, nel futuro di una società.
Cosa succede nella mente di chi vive questi traumi? Sentirsi impotenti di fronte a gravi minacce alla propria vita o incolumità fisica è una situazione che la mente umana non può tollerare a lungo e che genera l’innesco di strategie di sopravvivenza che rischiano di rimanere attive anche molto tempo dopo il superamento del pericolo: stati di allerta persistenti, flash back, reazioni intense di collera e reazioni sproporzionate anche a stimoli ambientali di lieve pericolo e minaccia. La cronicizzazione di queste reazioni è responsabile dello sviluppo di disturbo da stress post-traumatico e di PTSD complesso, situazioni cliniche che se prolungate nel tempo aumentano la probabilità di compromettere la salute fisica e mentale delle vittime nell’arco di vita: depressione maggiore (48%), fobie specifiche (30%), abuso di alcol (51,9%), abuso di droghe (34,5%), disturbi della condotta (43,3%); a queste si aggiungono sul piano della salute generale una maggiore incidenza di malattie autoimmuni, infezioni croniche e un’alterata sensibilità al dolore che può manifestarsi con sindromi da dolore cronico molto invalidanti nella vita quotidiana.
Questi dati ci pongono di fronte dunque alla necessità di pensare strategie di intervento multilivello sulle situazioni di emergenza generate dai fenomeni migratori, che tengano conto sia delle necessità a breve termine legate all’accoglienza dei bisogni primari e all’offerta di protezione, sia di quelle a più lungo termine rispetto all’emergere di difficoltà di integrazione, sofferenza psicologica e malattie mediche legati agli esiti emotivi degli eventi traumatici affrontati prima, durante e dopo il viaggio migratorio. L’emergere di situazioni psicopatologiche è in molti casi immediato e richiederebbe un intervento psicologico tempestivo, ma più spesso la sofferenza psicologica trova spazio proprio quando il pericolo è passato e la vita potrebbe iniziare a scorrere di nuovo normalmente. Quali interventi sono disponibili?
Uno dei metodi attualmente utilizzati e integrabili nei servizi che si occupano di gestire l’emergenza migranti, potrebbe essere proprio quello proposto nel recente manuale sulla Terapia dell’Esposizione Narrativa (NET) di Schauer, Neuer, Elbert (2014). Questo metodo terapeutico offre un protocollo breve per intervenire sulle situazioni sopra descritte e che utilizza la narrazione degli eventi traumatici come strumento terapeutico per ottenere un duplice risultato clinico: ridurre sintomi trauma-correlati e offrire la possibilità di una ricostruzione coerente della propria storia, che possa essere utile a recuperare dignità personale e consapevolezza della violazione dei diritti umani subita. Il trauma infatti rende la memoria frammentata e questo rischia di alterare i ricordi o la loro precisa collocazione nel tempo, generando inevitabile confusione nella vittima, dubbi sulla veridicità degli eventi e sulle responsabilità degli stessi, elementi che sul piano clinico possono mantenere e peggiorare il malessere psicologico.
Nella NET il paziente parla ripetutamente di ogni evento traumatico in dettaglio, mentre fa di nuovo esperienza delle emozioni, delle cognizioni, delle sensazioni fisiologiche e sensoriali e dei comportamenti associati all’evento. Allo stesso modo il paziente racconta le esperienze positive. Con l’aiuto e la guida del terapeuta, il paziente costruisce una narrazione della sua vita, focalizzandosi sui dettagli del contesto relativi alle esperienze traumatiche, così come sugli elementi importanti delle reti emozionali e su come tutte queste parti siano tra loro connesse. Il processo narrativo permette di riconoscere che la rete della memoria incentrata sulla paura, che nel presente provoca i sintomi allerta, viene da esperienze passate e che la sua riattivazione nel racconto è nient’altro che un ricordo di quelle esperienze. Attraverso la narrazione ripetuta i pazienti perdono la risposta emotiva al ricordo degli eventi traumatici, il che porta alla lenta remissione dei sintomi post-traumatici. Allo stesso tempo guadagnano l’accesso ai ricordi passati e sviluppano un senso di coerenza, controllo e integrazione.
Di seguito gli elementi della NET risultati efficaci nel trattamento del trauma e ben descritti nel libro:
1. Ricostruzione cronologica attiva della memoria autobiografica/episodica;
2. Esposizione prolungata ai “punti caldi” della memoria e piena riattivazione dei ricordi dolorosi per modificare la rete emotiva attraverso il racconto (es. imparare a distinguere memoria traumatica dalla sua risposta emotiva condizionata, separare piani temporali, comprendere che gli stimoli sono solo temporaneamente associati alla sofferenza attuale);
3. Associazione significativa e integrazione delle risposte fisiologiche, sensoriali, cognitive ed emotive all’ interno del proprio contesto di vita spazio-temporale (es. comprensione del contesto originario di acquisizione e del riemergere delle risposte condizionate nel corso della vita);
4. Rivalutazione cognitiva del comportamento (es. distorsioni cognitive, pensieri automatici, credenze, risposte);
5. Rivisitazione delle esperienze di vita positive per un supporto (mentale) e per aggiustare le assunzioni di base su di sé e sulla propria storia;
6. Recupero della dignità personale attraverso la soddisfazione del bisogno di riconoscimento, attraverso l’orientamento sui diritti umani alla “testimonianza”.
Attraverso una disamina delle ricerche epidemiologiche sul tema dei traumi collettivi e un’analisi attenta delle basi culturali, psicologiche e neurofisiologiche che determinano e mantengono situazioni di sofferenza psicologica, il manuale offre una guida semplice e chiara sul protocollo terapeutico della NET. La descrizione della procedura per fasi e la presenza di molti esempi clinici, rende il testo di Schauer e colleghi un validissimo riferimento per gli operatori e i terapeuti che lavorano con rifugiati o con pazienti sopravvissuti a violenze organizzate di diverso tipo.
Fermare il complotto del silenzio che spesso domina le vite dei sopravvissuti a traumi collettivi è l’obiettivo più alto di questo approccio, sopportare il peso e il dolore della verità è invece la sfida che questo metodo impone ai clinici e a tutti coloro che quotidianamente si occupano di storie di violazione dei diritti umani.