Russell Meares chiude questa seconda edizione del Congresso Attaccamento e Trauma, offrendo una panoramica sul modello dissociativo del disturbo borderline di personalità.
Su State of Mind abbiamo parlato delle diverse giornate del convegno Attaccamento e Trauma: abbiamo scritto della prima giornata e dell’Importanza della contingenza nello sviluppo infantile; abbiamo inoltre riportato quanto detto nella seconda giornata del convegno a proposito di Fiducia Epistemica, resilienza e resistenza al cambiamento. Abbiamo pubblicato il report della terza giornata, incentrata sul Ruolo dell’ emisfero destro, la regressione in terapia e la Schema Therapy e la Cronaca del Convegno (NdR).
Una “dolorosa incoerenza” nell’esperienza del sé è il nucleo centrale della personalità borderline, in cui viene a mancare un senso unitario e coeso del sé. Questa incoerenza può portare i pazienti a stati di vuoto, solitudine e frammentazione, caratterizzati non soltanto da una disconnessione tra elementi del pensiero che di norma procedono di pari passo, ma anche da una connessione tra settori dell’esperienza generalmente separati, come passato-presente, interno-esterno, soggetto-oggetto. Il disturbo borderline può essere l’esito di traumi relazionali precoci che hanno strutturato nel paziente uno o più pattern di attaccamento disfunzionali. Come per tutti gli altri relatori, anche per Meares questi pattern relazionali andranno a replicarsi nelle relazioni successive e a formare nel tempo la struttura della personalità adulta.
La tesi di Russell Meares è che l’alterazione del Disturbo Borderline di Personalità sia un’esperienza di vissuto personale, o di sé, che ricorda il fenomeno della dissociazione.
Partendo dalle teorie di Janet che descrive questo deficit di integrazione come assenza di una “sintesi personale”, e passando dal modello neurobiologico del sé di Jackson sulla distinzione tra una coscienza dell’oggetto – come consapevolezza di un evento, interno o esterno – e coscienza del soggetto – come stato costante, onnipresente, un flusso che definisce l’io -, Meares fa riferimento ad un modello di coscienza caratterizzato dall’ aumento del controllo volontario sulla vita mentale, non determinato direttamente dall’ evoluzione di nuove strutture cerebrali o di nuove forme di tessuto nervoso, ma piuttosto dal continuo riarrangiamento adattivo di strutture esistenti.
Dentro la cornice attaccamentista, la ricerca terapeutica di Meares si concentra su due aspetti fondamentali: da un lato l’attenzione alle parole, al linguaggio e alle narrazioni dei pazienti, come finestra sul loro mondo interiore, da cui deriva il suo Modello Conversazionale di psicoterapia; dall’altro la ricerca di una solida base neuroscientifica che aiuti a comprendere meccanismi neurobiologici sottostanti i sintomi principali di disconnessione nel Disturbo Borderline di Personalità.
A questo proposito risulta interessante lo studio condotto da Meares nel 2003 che propone un’indagine sui meccanismi cerebrali legati agli stati dissociativi nei pazienti con storia di traumi relazionali esitati in una grave disorganizzazione dell’attaccamento. I risultati emersi, grazie all’analisi dei potenziali elettrici evocati (ERP) misurati su singoli eventi, hanno evidenziato la presenza di un sistematico fallimento nella co-ordinazione neuronale di alcuni network che solitamente funzionano insieme e di un deficit di controllo inibitorio dei livelli superiori della mente (corteccia orbito frontale), che si evidenzia in una maggiore ampiezza di alcuni ERP nei pazienti BPD rispetto ai controlli e in una mancata sensibilità all’abituazione, come invece accade nei gruppi di controllo.
Questo comportamento anomalo, che Meares suggerisce di identificare come marker biologico del sé, sembra attribuibile inoltre soprattutto all’emisfero destro, adibito alla funzione di costruzione di una coerenza interna e di sintesi. Sul piano clinico l’approccio conversazionale che propone Meares pone al centro il dato, ormai molto condiviso, che in psicoterapia si instauri non solo una relazione tra due persone, ma anche un’interazione tra due cervelli, in particolare due “cervelli destri”, che nella relazione terapeutica possono trovare una connessione in grado di promuovere un riadattamento più funzionale di circuiti neurali bloccati o non integrati.
L’attenzione del terapeuta conversazionale è dunque orientata ad osservare il linguaggio non solo nei suoi contenuti e significati, ma soprattutto nella sua forma espressiva. In terapia viene utilizzata dal terapeuta una forma di conversazione che sia rievocativa dell’interazione tra emisferi destri di madre e bambino nelle protoconversazioni. Meares definisce questo tipo di scambio “relazionalità analogica” e il metodo che propone prevede l’utilizzo di un linguaggio tipico dell’emisfero destro: abbreviato, con espressioni incomplete, privo di struttura sintattica formale, di pronomi personali, ma con una chiara emotività espressa nella fonologia, nella tonalità e nelle inflessioni della voce.
L’approccio conversazionale muove dall’idea di recuperare una innata capacità umana di sintonizzarsi su questo stile comunicativo analogico attraverso un modello terapeutico complesso e strutturato, che unisce tradizione psicoanalitica e neurobiologia moderna. Il modello di Mears ha il pregio di tornare al linguaggio e alla relazione, senza perdere il legame con le moderne teorie neuroscientifiche, e forse il difetto di aver bisogno di molto tempo per raggiungere una sua più profonda comprensione e applicazione per non rischiare brusche semplificazioni o eccessi di mistero sul processo terapeutico e i suoi principi guida.
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BIBLIOGRAFIA:
- Russell Mears, Un modello dissociativo del disturbo borderline di personalità, Raffaello Cortina Editore, 2014.