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Alessitimia e psicopatologia: un’analisi evolutiva – Introduzione

L’incapacità di dare parole al dolore rappresenta una sofferenza per ciascun individuo: non a caso l’espressione emotiva è legata a una migliore salute. %%page%%

Di Grazia Artoni, Martina Atti, Enrica Giaroli, Susanna Paterlini

Pubblicato il 26 Ott. 2015

Aggiornato il 19 Lug. 2019 12:13

Artoni Grazia, Atti Martina, Giaroli Enrica e Paterlini Susanna – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi 

Shakespeare, Macbeth, atto IV, scena III.

La possibilità di dar voce al proprio mondo emotivo rappresenta una condizione essenziale per riuscire a riconoscere, dialogare e pensare i propri vissuti e intrattenere relazioni interpersonali.

Le emozioni hanno un ruolo fondamentale nell’equilibrio tra salute e malattia (Vadacca et al., 2008). La possibilità di dar voce al proprio mondo emotivo rappresenta una condizione essenziale per riuscire a riconoscere, dialogare e pensare i propri vissuti e intrattenere relazioni interpersonali. L’incapacità di dare parole al dolore rappresenta una grande sofferenza per ciascun individuo (Hoffman, Formica & Di Maria, 2007). L’espressione emotiva è legata al miglioramento della salute e del benessere psicologico (Eng, Fitzmaurice, Kubzansky, Rimme & Kawachi, 2003), mentre la mancanza di espressione delle emozioni ad una evoluzione verso la malattia (Solano et al., 2002). Emerge, quindi, la necessità di mettere in risalto l’importanza della capacità di identificare e descrivere le emozioni (La Ferlita, Bonadies, Solano, De Gennaro & Gonini, 2007).

Magda Arnold (1960) suddivide le emozioni in:

  • Valutazioni intuitive, immediate o non riflessive che conducono a sensazioni;
  • Valutazioni riflessive, di maggiore portata che conducono a emozioni prolungate.

Secondo Ellis sia le reazioni emotive fugaci sia quelle prolungate hanno in comune un elemento: Quale significato ha per me l’evento a cui sto rispondendo? (Ellis, 1962).

Facendo riferimento al metodo ABC, proposto da Ellis, per condurre la valutazione clinica e per individuare il focus terapeutico, a partire da un evento attivante (A) il primo passo è individuare il C, cioè le emozioni e i comportamenti, e in seguito i B, i pensieri. Si invita sostanzialmente il paziente a rievocare episodi particolarmente significativi cercando di descrivere i pensieri e le emozioni provate in quel momento (Semerari, 2000; Cantagallo, 2014).

Considerando il principio cognitivo, le emozioni prolungate sono sostenute in genere da pensieri, piccole e rapide frasi (sciocche frasi) apparentemente innocue ma in grado di generare sofferenza. È necessario quindi uno sforzo consapevole per modificare le frasi interiori con le quali le persone creano spesso le proprie emozioni negative. Per il terapeuta cognitivo ogni emozione è verbalizzabile come valutazione di una situazione più o meno problematica ed è padroneggiabile e modificabile attraverso la rielaborazione critica razionale e consapevole.

Il metodo ABC può risultare complesso già nella prima fase, nell’individuazione dei C, a seconda delle capacità autoriflessive del paziente e della sua tendenza a descrivere se stesso in termini emotivi (Semerari, 2000; Ruggiero & Sassaroli, 2013) In particolare, si può evidenziare la difficoltà degli individui alessitimici di accedere e riconoscere i propri stati emozionali (Cantagallo, 2014). Vedremo successivamente come la terapia cognitivo-comportamentale e altre tipologie di intervento possono essere utilizzate con questi pazienti.

Il concetto di alessitimia (alexithymia, dal greco – a= mancanza, léxis= parola, thymós= emozione – che letteralmente significa emozione senza parole o mancanza di parole per le emozioni) fu introdotto da Sifneos, nel 1973, in seguito a osservazioni cliniche di pazienti affetti dai classici disturbi psicosomatici, le Holy Seven (ulcera gastroduodenale, artrite reumatoide, disturbi della tiroide, malattie della pelle di origine sconosciuta o neurodermatiti, rettocolite ulcerosa, ipertensione essenziale e asma) e, per molti anni, è stato ritenuto quasi un sinonimo delle malattie psicosomatiche, poiché si pensava fosse specificamente connesso ad esse (Caretti & La Barbera, 2005; Porcelli, 2004). Con questo termine egli si riferiva ad un disturbo cognitivo-affettivo caratterizzato da:

  • Una difficoltà a esprimere verbalmente le emozioni,
  • Un’attività fantasmatica limitata,
  • Uno stile comunicativo incolore (descrivere un evento dandone una descrizione dettagliata, senza alcun riferimento alle emozioni provate) (Caretti & La Barbera, 2005; La Ferlita et al., 2007).

Alla fine degli anni ’90 il Gruppo di Toronto cambia radicalmente prospettiva, pubblicando ‘I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nelle malattie somatiche e psichiatriche’ (Taylor, Bagby & Parker, 1997). Le loro considerazioni hanno consentito a ricercatori di tutto il mondo di indagare sul costrutto in sé, svincolato dalla stretta e tradizionale associazione con le malattie psicosomatiche, considerandolo come l’elemento centrale di un gruppo di disturbi sia organici sia psicologici (Porcelli, 2004).

Un gruppo internazionale di ricercatori (Fava et al., 1995) ha proposto i Criteri Diagnostici per la Ricerca in Psicosomatica (Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research, DCPR). L’obiettivo dei DCPR non è quello di individuare singole malattie psicosomatiche, ma di ottenere una valutazione più ampia e rappresentativa della realtà clinica in psicosomatica rispetto alle categorie diagnostiche del DSM e dell’ICD-10. Si ragiona quindi per sindromi psicosomatiche che possono essere studiate come aspetti comuni di malattie differenti, sia somatiche sia mentali, fornendo nuove prospettive per il trattamento psicologico e per quello farmacologico (Trombini & Baldoni, 1999).

Queste variabili sono state spesso trascurate dalla psichiatria tradizionale soprattutto a causa della loro natura subsindromica. Tuttavia, è stato evidenziato che i DCPR sono più frequenti dei disturbi psichiatrici (circa il doppio) e possono individuare il disagio in assenza di una diagnosi DSM IV (Veneroni, 2009). Porcelli (Porcelli et al., 2009) ha individuato che almeno una, se non più sindromi DCPR erano presenti nell’85% del gruppo di pazienti considerato, i quali avevano l’89% di prevalenza di disturbi psichiatrici. Ha, inoltre, sottolineato che i DCPR possono accrescere le informazioni fornite dal DSM IV, dando dati sul presente e sul passato del paziente e su come esso fa fronte ai cambiamenti di salute.

Quello che comunque è chiaro è che la medicina psicosomatica non può essere sufficiente senza le classificazioni del DSM (Wise, 2009). L’alessitimia rappresenta uno dei dodici cluster DCPR e i suoi criteri diagnostici sono (Fava et al., 1995):

Devono essere presenti almeno 3 delle 6 caratteristiche seguenti:

  • Incapacità di usare parole appropriate per descrivere le emozioni;
  • Tendenza a descrivere i dettagli più che gli stati d’animo;
  • Mancanza di un ricco mondo fantastico;
  • Contenuto del pensiero più associato a eventi esterni che alla fantasia e alle emozioni;
  • Inconsapevolezza delle comuni reazioni somatiche che accompagnano l’esperienza di vari stati d’animo;
  • Scoppi occasionali ma violenti e spesso inappropriati di comportamento affettivo.

L’alessitimia non è presente solamente in comorbilità con disturbi dell’umore, fobie sociali o con un disturbo organico.

Specificare il tipo:

  • Pervasivo (coinvolge tutte le emozioni);
  • Situazionale (circoscritta a specifiche emozioni e/o situazioni) (Porcelli & Rafanelli, 2010).

Attualmente sono cinque le caratteristiche che si possono considerare come centrali nei soggetti alessitimici (Porcelli, 2004):

  • Difficoltà nell’identificare e descrivere le emozioni: mostrano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi. Inoltre, non hanno un’abilità fondamentale, l’autoconsapevolezza, la capacità, cioè, di sapere che emozione stanno provando nel momento in cui ne sono pervasi (Goleman, 1996);
  • Difficoltà nel distinguere fra stati emotivi soggettivi e le componenti somatiche dell’attivazione emotiva: esprimono le proprie emozioni principalmente attraverso la componente fisiologica poiché incapaci di elaborarne l’aspetto soggettivo vissuto. Possono, quindi, mostrare scoppi improvvisi di rabbia e riferire le modificazioni somatiche avvertite, senza però comprendere che l’esperienza della rabbia ingloba in sé tutte le sensazioni riferite;
  • Povertà dei processi immaginativi: questi pazienti non sognano quasi mai e, quando accade, riproducono eventi quotidiani. La loro immaginazione è molto scarsa e qualitativamente povera, focalizzandosi su eventi accaduti o su preoccupazioni per il futuro. Inoltre, è evidente la difficoltà nel mostrare interesse per qualcosa. Il colloquio con i soggetti alessitimici risulta, quindi, noioso, duro, rigidamente focalizzato su sintomi o su eventi accaduti. Tutto ciò ha un impatto anche sulla fisicità, appaiono rigidi nella postura corporea e nella mimica facciale;
  • Stile cognitivo orientato alla realtà esterna: la loro attenzione è concentrata sui dettagli della realtà, di cui riescono a descrivere minuziosamente i dettagli senza dare la sensazione, all’interlocutore, di partecipare emotivamente. Hanno, infatti, uno stile di pensiero razionale con il quale illustrano azioni ed esperienze senza investimenti affettivi, come se fossero spettatori più che attori della propria vita;
  • Conformismo sociale: mostrano un adattamento conformistico all’ambiente nel quale si trovano inseriti e sembrano definiti dall’esterno in termini di identità di ruolo. Tuttavia, mostrano scarse capacità soggettive di interpretazione della loro identità e di sintonizzazione con le emozioni altrui, aspetti che determinano difficoltà a formare e conservare nel tempo relazioni interpersonali profonde.

Il concetto moderno di alessitimia, quindi, non designa individui senza emozioni ma persone che hanno emozioni espresse dalle componenti biologiche ma scarsa o nessuna possibilità di ricorrere a processi cognitivi (immagini, pensieri, fantasie) per rappresentarle (Caretti & La Barbera, 2005). Non sono individuabili soggetti alessitimici o non alessitimici, ma soggetti con diversi livelli di gravità delle caratteristiche alessitimiche (Porcelli, 2008).

L’alessitimia appare molto rilevante per il livello di salute e benessere complessivo dell’individuo: è considerata uno dei fattori in grado di incrementare la suscettibilità generale alla malattia. Oltre che come tratto di personalità relativamente stabile, l’alessitimia può emergere come fenomeno secondario, come stato reattivo in conseguenza di gravi traumi o di malattie fortemente invalidanti o in cui c’è pericolo di vita (cancro, dialisi, trapianto); in momenti particolarmente critici dell’esistenza l’anestesia emozionale sembra avere finalità adattive, rappresenterebbe cioè un massiccio meccanismo di difesa verso la propria realtà interiore, fonte di sofferenza e di grosso scompenso (Caretti & La Barbera, 2005; Grimaldi Di Terresena, De Grandi, Inga, & Cristofolini, 2010). Progressivamente si è dato, quindi, spazio ad una concezione evolutiva e adattiva di questo costrutto come dimensione clinica transnosografica, trasversale, cioè, a tutta la patologia (La Ferlita et al., 2007).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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