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Trauma e memoria: il misinformation effect

L'emozione può influenzare i ricordi della memoria autobiografica e può interferire con la vividezza degli stessi generando falsi ricordi %%page%%

Di Ilenia La Rocca

Pubblicato il 02 Set. 2015

Aggiornato il 26 Set. 2019 15:50

Ilenia La Rocca, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

 

La memoria può generare una vera e propria ricostruzione del ricordo quando influenzata da differenti fattori di tipo cognitivo, emotivo e motivazionale. Gli studi condotti nell’ambito della memoria autobiografica dimostrano, infatti, il ruolo centrale esercitato dall’emozione sulla memoria e la direzione di tale influenza vede generalmente far corrispondere ad un aumento dell’intensità emotiva una maggiore vividezza del ricordo.

Nella vita quotidiana raramente ci possiamo aspettare di avere accesso, dopo alcuni anni, all’originale della nostra percezione o esperienza passata. Molto spesso, infatti, la memoria non è la semplice riproposizione di una percezione antica bensì il resoconto di un’esperienza, ovvero il risultato di una ricerca di significato che apporta un “valore aggiunto” all’accadimento originale, creato dalla nostra reinterpretazione soggettiva (Jedlowski, 1994).

Tre sono le fonti di distorsione del ricordo:
1. Interne, cioè legate esclusivamente alle caratteristiche dell’osservatore;
2. Esterne, quando le informazioni successive all’evento incidono sulla fissazione del ricordo del soggetto;
3. Relazionali, cioè nella testimonianza la rievocazione può essere influenzata da aspetti relazionali e comunicativi con l’interlocutore.

La memoria, dunque, può generare una vera e propria ricostruzione del ricordo quando influenzata da differenti fattori di tipo cognitivo, emotivo e motivazionale. Gli studi condotti nell’ambito della memoria autobiografica dimostrano, infatti, il ruolo centrale esercitato dall’emozione sulla memoria e la direzione di tale influenza vede generalmente far corrispondere ad un aumento dell’intensità emotiva una maggiore vividezza del ricordo.

La letteratura descrive delle tipologie di ricordi che si formano in condizioni di alta attivazione emozionale: ricordi emozionali (Reisberg, Heuer, 1992), ricordi vividi (Rubin, Kozin, 1984), ricordi traumatici (Christianson, Loftus, 1987) e ricordi fotografici (Brown, Kulik, 1977). Una serie di studi conferma che i ricordi di esperienze traumatiche si presentano vividi, ricchi di dettagli centrali e alquanto stabili nel tempo.

Tuttavia si potrebbero anche generare dei falsi ricordi, distorsioni della memoria che vengono create quando le persone qualche volta sviluppano una serie di ricordi vividi e dettagliati di eventi che non hanno mai esperito; oppure, le persone confondono gli eventi che si sono verificati prima o dopo l’evento target con l’evento stesso (Gallo e Roediger, 2004; Loftus, 2003; Scarry e Schacter, 2000).

A volte ci si riferisce ad essi come pseudo – memoria o ricordi illusori. Diversamente dal mentire, le persone che hanno dei falsi ricordi credono in buona fede che gli eventi non esperiti si siano verificati. Dal 1970 c’è stato un enorme interesse per gli studi empirici sui falsi ricordi (McDaniel e Roediger, 2007). Oggi la ricerca sui falsi ricordi è applicativa in diversi ambiti, come l’accuratezza e l’attendibilità della memoria del testimone nel setting legale; l’autenticità della memoria dei bambini abusati; i cambiamenti nell’atteggiamento e nel comportamento causati dai falsi ricordi; le tecniche di suggestione in marketing e nella pubblicità; la scoperta della pseudo – memoria indotta dall’ipnosi o dall’interpretazione del sogno nella psicoterapia (Cahill e Loftus, 2007).

Molti ricercatori hanno proposto delle teorie sulla natura dei falsi ricordi, come quella del monitoraggio della fonte, la fuzzy – trace theory, la teoria della memoria costruttiva, la fluency – misattribution perspective, l’activation – monitoring account (Brainerd e Reyna, 2005; Gallo, 2006; Mecklenbrauker e Steffens, 2007). I falsi ricordi sono stati creati nei setting sperimentali usando una varietà di paradigmi.

Tra questi, il misinformation method (creando ricordi di dettagli di eventi passati che non si sono verificati) (Loftus, 2003), il Deese – Roediger – McDermott (DRM) paradigm (creando falsi ricordi di parole che non erano state presentate) (McDermott e Roediger, 1995), e il rich false memory approach (“impiantando” interamente falsi ricordi di eventi che non sono mai avvenuti) (Loftus, 2005).

Tra questi, il misinformation e il DRM paradigm sono usati maggiormente. Il classico misinformation paradigm include tre fasi standard: l’aver esperito un evento, l’aver ricevuto la misinformation dopo l’evento e l’esser testati sul ricordo dell’evento (Loftus, 2005). Anche se diversi paradigmi possono tutti indurre falsi ricordi, ci sono controversie circa la natura di alcuni falsi ricordi (Lam e Pezdek, 2007; Wade et al., 2007) e circa la possibilità che i processi che portano alla formazione dei falsi ricordi siano simili nei vari paradigmi.

Alfred Binet, divenuto famoso come il creatore (assieme a Theodore Simon) del primo test di intelligenza di successo (Fancher, 1985), è stato uno dei principali studiosi del misinformation effect sulla memoria. Il misinformation effect corrisponde all’introduzione di un’informazione inaccurata nella propria rievocazione e, in ambito legale, alle conseguenze sulla testimonianza delle informazioni post – evento acquisite dal testimone attraverso i colloqui con agenti di polizia, gli interrogatori precedenti o le discussioni informali con amici e parenti.

Dunque, il post – event misinformation effect non è altro che l’effetto sul ricordo di un’informazione fuorviante fornita dopo l’evento (Loftus, 2005). Questo effetto può avvenire in situazioni sociali (Brainerd e Reyna, 2005; Ercolin e Gulotta, 2004; Gabbert et al., 2004; Justice, Self e Wright, 2000) e non sociali (Lindsay, 1990; Loftus e Palmer, 1974).

 

 

Studi pioneristici condotti da Loftus (Burns, Loftus e Miller, 1978) hanno messo in luce come i ricordi riportati dai testimoni oculari siano facilmente modificabili ed influenzati dall’esposizione, in seguito all’evento, ad informazioni scorrette (post – event misinformation effect). In un classico studio condotto da Burns, Loftus e Miller (1978), ai partecipanti veniva mostrato un filmato che riguardava un incidente stradale avvenuto nei pressi di un segnale di stop, in seguito venivano poste diverse domande sull’evento. Tra queste, una si riferiva erroneamente ad un segnale di precedenza anziché al segnale di stop (leading questions). Quando successivamente veniva chiesto ai partecipanti se avessero visto un segnale di stop o un segnale di precedenza nei pressi dell’incidente stradale, quelli che avevano ricevuto l’informazione scorretta tendevano a rispondere in maniera sbagliata più frequentemente dei partecipanti del gruppo di controllo. A partire da questo paradigma, una serie di studi ha dimostrato come le informazioni a cui l’individuo inevitabilmente è esposto dopo aver vissuto un evento emozionale possono modificare il ricordo rendendolo meno accurato e, di conseguenza, meno attendibile (Loftus, 1980).

Diversi studi di laboratorio hanno cercato di analizzare i meccanismi che portano a modificare i ricordi. Un interessante studio è stato condotto da Crombag, Van Koppen e Wagenaar (1996) in merito allo scontro avvenuto tra un Boeing 747 e un palazzo di undici piani, ad Amsterdam nell’ottobre del 1992. La televisione olandese riportò tutti i momenti dell’evento ma non trasmise alcuna immagine del momento dello schianto. I telegiornali riportarono la notizia del disastro per alcuni giorni. La ricerca, tesa a sondare il ricordo del terribile evento, evidenziò che 61 dei 93 studenti che parteciparono all’esperimento risposero in modo affermativo alla domanda: “Hai visto in televisione il filmato del momento in cui l’aereo ha colpito il palazzo?”. Tale domanda in realtà conteneva una falsa informazione, ovvero che il filmato dello schianto fosse stato mostrato in televisione; inoltre, molti testimoni fornirono numerosi dettagli dell’inesistente video dell’impatto dell’aereo.

Sono state elaborate numerose teorie sugli effetti del misinformation, basate sul ricordo di stimoli neutri o lievemente stressanti. Quando un evento è molto stressante l’aspetto principalmente stressante (stressor) è quello più ricordato a causa dei processi e degli innalzati processi di attenzione e della più rilevante prova e ampio consolidamento. Molti studi teorici ed empirici confermano che l’informazione centrale che elicita reazioni emozionali fortemente negative tendono a essere conservate con particolare accuratezza (Bahrick, Fivush, Goldberg, Parker e Sales, 2004; Berntsen e Thomsen, 2005; Christianson e Hubinette, 1993).

Gli studi sull’attivazione dell’amigdala supportano alcuni di questi risultati (Cahill e McGaugh, 2003; LeDoux, 2000; Phelps, 2006). Al contrario, relativamente a eventi non stressanti, i dettagli periferici dello stressor sono ricordati spesso in modo meno accurato rispetto ai dettagli degli eventi neutrali (Burke, Heuer e Reisberg, 1992; Burns e Loftus, 1982; Brown, 2003; Goodman e Paz-Alonso, 2006). Comunque, Bornstein, Deffenbacher, McGorty e Penrod (2004) sostengono che questi studi non hanno incluso eventi traumatici tali da produrre una reazione difensiva per poter interferire con la memoria (ad esempio un pericolo di vita).

Pertanto un ricordo particolarmente accurato dell’informazione centrale rispetto a quella periferica priva di eventi stressanti non è necessariamente un fenomeno stabile o generalmente accettato (Merckelbach, Van der Kooy e Wessel, 2000). Oltretutto, la valenza e la stimolazione possono corrispondere a diversi processi neurali distinti tra loro. Ciononostante, informazioni con valenza negativa anche se non stimolanti (emotivamente), sono ricordati meglio di quelle neutrali (Corkin e Kensinger, 2004a, 2004b).

Il dibattito sul distress (angoscia, pena) e sulla memoria è rilevante nel momento in cui ci si chiede se eventi traumatici e stressanti sono immuni da effetti di misinformation. In particolare, se caratteristiche focali di eventi altamente negativi sono ricordate con particolare accuratezza potrebbero essere resistenti al misinformation effect post – evento specialmente dopo un intervallo temporale breve dall’evento al momento della sollecitazione del ricordo (ad esempio con un test). I pochi studi che hanno esaminato gli effetti del misinformation sulla memoria di alcuni eventi hanno preso in considerazione “incidenti pubblici” che poi sono diventati oggetto di principale discussione e dibattito dei media.

Ad esempio, Bernstein, Loftus e Nourkova (2004) hanno sperimentato se sia possibile contaminare, a livello sperimentale, il ricordo di eventi traumatici. Nel loro studio, degli adulti russi hanno riportato il loro ricordo sia sui bombardamenti terroristici del 1999 alle costruzioni di Mosca sia sugli attacchi del World Trade Center (WTC) di New York del 2001. Dopo sei mesi hanno ricordato separatamente gli eventi sopra descritti. Sul secondo evento ricordato i ricercatori hanno fornito delle informazioni sbagliate indicando che i partecipanti avevano visto un animale ferito negli attacchi al WTC e l’ hanno menzionato nei loro report iniziali. Circa il 13% di coloro che erano stati testati sull’episodio di Mosca avevano accettato l’informazione fuorviante. Questo gruppo ha soppesato la significatività personale dei bombardamenti terroristici di Mosca come più rispetto a coloro che avevano resistito alla suggestione. Al contrario, nessuno di quelli che fu interrogato sull’evento al WTC fu suggestionato dall’influenza ricevuta (probabilmente era meno plausibile immaginare un animale ferito durante gli attacchi al WTC rispetto al bombardamento di Mosca), (Hodge e Pezdek, 1999; Kirsch, Mazzoni, Relyea e Scoboria, 2004).

Sebbene queste ricerche supportino l’idea che il ricordo di eventi traumatici sia a volte malleabile e influenzabile, la domanda sulla misinformation (il ricordo di informazioni sbagliate) post – evento traumatica fu sicuramente più focalizzata sul ricordo precedente all’evento dei partecipanti al test piuttosto che all’evento traumatico di per sé. In un altro studio relativo agli effetti della misinformation, Birt, Porter e Spencer (2003) hanno presentato fotografie raffiguranti adulti che esprimevano emozioni altamente positive o negative o neutrali seguiti da un test di memoria dopo un intervallo temporale di un’ora. Non furono evidenziate significative differenze tra le varie condizioni emotive sul ricordo corretto nonostante la misinformation. La misinformation ha mostrato un effetto negativo sulla memoria di dettagli periferici fuorvianti rispetto ai dettagli centrali. Comunque, per quanto riguarda la falsa informazione sul ricordo della presenza di un animale ferito nella scena (incidente a WTC o attacco a Mosca) l’emozione negativa fu associata con suscettibilità più frequente/più crescente alla informazione fuorviante. Questi studi indicano che la memoria di eventi stressanti può essere contaminata dalla misinformation. Ciononostante, la maggior parte degli studi ha enfatizzato come non ci siano differenze tra le informazioni centrali e periferiche.

 

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