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Depressione post partum paterna: una nuova sfida per la genitorialità?

Alcuni uomini presentano percentuali di depressione pre-parto che restano stabili per i primi mesi di vita del bambino per poi aumentare intorno ai 12 mesi. %%page%%

Di Barbara Sbrolla

Pubblicato il 21 Set. 2015

Aggiornato il 01 Ott. 2019 15:36

Barbara Sbrolla – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

I futuri padri presentano un’alta probabilità di sviluppare sintomi somatici che potrebbero portare all’esacerbarsi di una depressione, dalla sindrome della couvade nel pre-partum, a sensazioni di fatica e nervosismo che possono attenuarsi nell’immediato del post-partum per poi aumentare nel corso di tutto il primo anno di vita del bambino.

Solitamente quando si parla di depressione post-partum (DPP) si tende a pensare ad una problematica che riguarda le neo-mamme ed i loro bambini.

Secondo il DSM 5, le donne possono trovarsi ad affrontare, nelle prime 4 settimane dal parto (o già nel periodo del peripartum), un episodio depressivo maggiore caratterizzato da sentimenti di tristezza, apatia, senso di inefficacia personale, deflessione dell’umore, labilità emotiva, appiattimento dell’autostima, autosvalutazione, sensi di colpa immotivati, sensazione di essere senza speranza e/o di catastrofe imminente, ansia ed insonnia. Il focus dei numerosi studi che negli ultimi 50 anni sono stati svolti per comprendere il fenomeno dal punto di vista biologico, psicologico e sociale è sempre stato la diade madre-bambino, con il padre che sembrava rimanere relegato sullo sfondo, in attesa di poter esplicare il proprio ruolo regolatore e morale più avanti, quando il bambino sarebbe cresciuto.

Solo da circa 20 anni l’attenzione sembra essersi spostata, grazie ai numerosi e repentini cambiamenti sociali, sulla triade madre-bambino-padre. La caduta della società patriarcale, l’emancipazione delle donne soprattutto in ambito lavorativo e l’interscambiabilità dei ruoli genitoriali insieme alla scoperta che esista, da parte dei padri, la ricerca di una soddisfazione psicologica e non semplicemente un obbligo morale verso i figli, hanno fatto sì che ai neo-papà vengano puntati i riflettori addosso ed attribuita un’importanza fondamentale fin dai primi mesi di vita del bambino, contemporaneamente ad un maggior coinvolgimento nella cura della prole e nel supporto emotivo e pratico della compagna.

Adattarsi alle nuove esigenze della famiglia non è un compito semplice, in special modo se si pensa al fatto che gli uomini spesso non dispongono di esempi paterni di genitorialità moderna o di una rete informale di supporto per superare le difficoltà che si pongono loro innanzi. In uno studio italiano di Pellai del 2009 condotto su un campione di futuri padri sembra essere emersa una concezione legata a stereotipi di identità di genere, in cui la maggior preoccupazione, oltre a quella economica classica di provvedere alla famiglia, è quella di come potersi ritagliare del tempo libero dopo la nascita del bambino piuttosto che soffermarsi sulle ripercussioni psicologiche e fisiche che potrebbero gravare sulla coppia genitoriale. Questo pur avendo già esperito, nel 27% dei casi, problemi di sonno legati a preoccupazioni circa l’imminente nascita e la mancanza, nel 50% dei casi, di una rete informale di supporto.

I futuri padri presentano un’alta probabilità di sviluppare sintomi somatici che potrebbero portare all’esacerbarsi di una depressione, dalla sindrome della couvade nel pre-partum (Trethowan e Conlon), a sensazioni di fatica, irritabilità, nervosismo, incapacità di riposarsi ed ansia che possono attenuarsi nell’immediato del post-partum per poi aumentare nel corso di tutto il primo anno di vita del bambino. Le percentuali di uomini che soddisfano i criteri di depressione prima del parto sembrano rimanere costanti a 3 mesi dalla nascita del bambino (circa il 5% del campione studiato da Areias e colleghi), per poi aumentare notevolmente alla conclusione del primo anno (23.8%). Nei primi studi sull’argomento, questa depressione nell’uomo sembrava essere alimentata dal ‘vivere insieme’ la depressione post-partum materna, ma ora quest’ultima sembra essere solo un fattore di rischio più che una causa: è per questo che si può parlare di una vera e propria depressione post-partum paterna, che colpisce almeno il 10% dei neo-papà (Paulson, 2010).

Non esistono ancora dei criteri per definire la depressione post-partum paterna, perciò vengono usati quelli validi per la stessa problematica nelle donne, anche se così facendo non vengono prese in considerazioni le differenze dei fattori sociali, biologici e di esordio. Solitamente si tende a valutare la depressione nei neo-padri con questionari self-report come il BDI (Beck Depression Inventory) o con test per diagnosticare la DPP materna, come la Postpartum Depression Screening Scale (PDSS). In questo senso, degno di nota è lo studio di Ramchandani e colleghi per validare l’EPDS (Edinburgh Postnatal Depression Scale) anche per la DPP paterna.

La depressione post-partum materna ha un esordio precoce rispetto la paterna, che esordisce in maniera più subdola e con note dal risvolto violento più evidenti, oltre a quelle tipiche di un episodio depressivo. L’ansia, l’irritabilità e la sensazione di fallimento che gli uomini con DPP si trovano ad affrontare possono portare anche ad agiti contro la propria partner: circa 1 donna su 4 riporta di aver avuto esperienza di un outburst violento da parte del proprio partner per la prima volta durante il primo anno dal parto (Madsen, Juhl 2007). Questo fenomeno è anche legato al fatto che sembrano entrare in gioco delle dinamiche della coppia genitoriale altamente stressanti e conflittuali dovute alla diminuzione della soddisfazione coniugale, sentimenti di esclusione dalla diade madre-bambino, e minor appagamento dalle interazioni con i figli (che sembrano sorridere meno durante gli scambi relazionali con i padri rispetto alle madri, probabilmente a causa del minor tempo a disposizione) ed al fatto che alcuni uomini riportano di impiegare anche 2 mesi per stabilire un legame vero e proprio con il bambino.

 

La costituzione del legame genitoriale con il proprio figlio è mediata anche da dei cambiamenti ormonali, tanto nella donna quanto nell’uomo, anche se con le dovute differenze. Nei neo-padri, infatti, il livello di testosterone si abbassa negli ultimi mesi prima del parto e si mantiene al di sotto della baseline per diversi mesi dopo la nascita del bambino; nello stesso modo si alzano i livelli di estrogeni, per permettere risposte biologiche meno aggressive e facilitare le cure genitoriali e l’attaccamento verso la prole (Rholde et al, 2005). Fluttuazioni ormonali di questo tipo potrebbero sì essere collegate allo sviluppo di una depressione (Burnham et al., 2003; Fleming et al., 2003, Kozorovitskiy et al., 2006), ma anche indicare una strada verso la prevenzione e lo screening della DPP paterna.

Dal punto di vista sociale, se è vero che si possa usufruire di corsi pre-parto (ultimamente dedicati alle coppie genitoriali), manuali teorico-pratici e di una certa rete di supporto, è anche vero che molto spesso il rischio è che gli interventi di preparazione aumentino la percezione che il parto e il crescere un neonato sia una cosa facile. Quando ci si trova davanti alla realtà, si viene a creare un gap tra le problematiche anticipate mentalmente e le reali richieste che vengono poi esperite che potrebbe portare la coppia genitoriale a doversi confrontare con un ammontare di stress inaspettato in un periodo di grande cambiamento psicologico, relazionale e fisico che, in una società perfetta, fatta di famiglie perfette, aumenta l’incertezza, i dubbi e i sentimenti di scarsa efficacia personale. A queste difficoltà si possono aggiungere dei fattori di rischio per la DPP paterna, quali: una gravidanza non programmata, che potrebbe comportare degli aggiustamenti sia relazionali che difficoltà economiche, l’età dei genitori, storie pregresse di depressione nel padre, la presenza o meno di altri figli, una DPP materna, conflittualità all’interno della coppia genitoriale.

Studiare la depressione post-partum paterna si rivela importante perché sembra essere associata al rischio di difficoltà cognitive e comportamentali del bambino nel medio e lungo termine (Ramchandani et al., 2011; Paulson et al., 2009). Le difficoltà comportamentali, come iperattività, scarso controllo degli impulsi, problemi di condotta, specialmente nei bambini (maschi), sembrano essere più collegati alla DPP paterna, che potrebbe inoltre aggravare gli effetti negativi della DPP materna, qualora presente. Avere entrambi i genitori depressi può portare, oltre allo svilupparsi di un attaccamento non sicuro nei bambini, a un funzionamento psicosociale scarso, ideazioni suicidarie e tentativi anticonservativi nei figli adolescenti e depressione nelle figlie. E’ inoltre un forte fattore di rischio per maltrattamento del bambino ed infanticidio: il bambino potrebbe essere infatti visto come il distruttore di un equilibrio precario ma faticosamente raggiunto o essere vittima di grave negligenza.

Per l’importanza di questi cambiamenti psico-sociali e delle ricadute collegate alla DPP paterna, si rendono necessari dei programmi di sostegno alla genitorialità estesi alla coppia che possano tenere presente il ruolo preponderante del padre nelle dinamiche familiari: il padre può essere un grande supporto per la cura dei figli e per la propria compagna, se libero dalla DPP. Si possono progettare, appositamente per i neo-papà, dei programmi educativi volti a controllare l’ansia e la depressione, assieme alla creazione di una rete di supporto che possa permettere una sana espressione del loro ruolo genitoriale, come programmi di paternità (possibilità di usufruire di permessi lavorativi) e screening perinatale.

 

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