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L’effetto della povertà e del disagio sociale sul rilascio di cortisolo e sullo sviluppo cognitivo dei bambini

Lo studio evidenzia gli effetti della povertà e del disagio sociale sullo sviluppo cognitivo e sull'attività dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene dei bambini

Di Alessia Gallucci

Pubblicato il 09 Lug. 2015

Aggiornato il 18 Mag. 2016 10:43

FLASH NEWS

La presente ricerca si è proposta in primo luogo di verificare le tipologie di attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che si possono osservare nei bambini esposti regolarmente a situazioni negative in famiglia, in secondo luogo di capire quali sono gli specifici fattori di rischio familiari che possono nel tempo determinare i differenti fenotipi dell’attività dell’asse HPA e infine stabilire se le modalità di rilascio del cortisolo sono associate a differenze nel funzionamento cognitivo.

Nonostante sia noto che un livello socioeconomico basso e i fattori ad esso correlati, come l’instabilità familiare, uno stile parentale non supportivo e l’esposizione alla violenza domestica, abbiano un impatto sul funzionamento cognitivo dei bambini, determinando spesso ritardi nello sviluppo e nei processi di apprendimento, poche ricerche finora si sono occupate di individuare i reali meccanismi che mediano questa relazione. Si sa che ad essere implicato è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA), la cui regolazione dipende da strutture cerebrali che determinano le risposte emotive e cognitive ai fattori ambientali di stress; in particolare vivere delle costanti esperienze negative in ambito familiare può provocare delle alterazioni dell’asse HPA e della conseguente produzione di cortisolo, causando in tal modo un repentino adattamento alle condizioni avverse a cui si è cronicamente esposti.

A questo proposito sono state avanzate due principali ipotesi, quella dell’”ipercortisolismo”, in cui si sostiene che il trovarsi in un continuo stato di allerta per i pericoli che possono incombere nel contesto familiare generi un aumento nella produzione di cortisolo; al contrario l’ “ipotesi dell’ipocortisolismo” postula che al fine di evitare uno spreco eccessivo di risorse metaboliche e di proteggere quindi il corpo dai danni che gli effetti tossici degli ormoni dello stress possono causare, di fronte a costanti episodi di instabilità, trascuratezza e paura vissuti in famiglia, il rilascio di cortisolo viene diminuito. Le ricerche hanno mostrato che entrambi i pattern possono caratterizzare i bambini esposti a continui fattori di rischio familiari, ma il fatto che pochi studi li abbia testati simultaneamente rende difficile capire quale dei due sia il più probabile. Si è osservato anche che mentre livelli moderati di cortisolo possono mediare un buon funzionamento cognitivo e consolidare le esperienze di apprendimento, livelli costantemente alti o costantemente bassi di tale ormone possono danneggiare le strutture neuronali e quindi intralciare i processi cognitivi.

Sulla base ti tali premesse la presente ricerca si è proposta in primo luogo di verificare le tipologie di attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che si possono osservare nei bambini esposti regolarmente a situazioni negative in famiglia, in secondo luogo di capire quali sono gli specifici fattori di rischio familiari che possono nel tempo determinare i differenti fenotipi dell’attività dell’asse HPA e infine stabilire se le modalità di rilascio del cortisolo sono associate a differenze nel funzionamento cognitivo.

Per poter rispondere a questi obiettivi lo studio presente ha considerato 201 bambini americani di due anni la cui famiglia riversa in una situazione economica difficile e che quotidianamente vivono esperienze di violenza e trascuratezza. I bambini sono stati testati a due, a tre e a quattro anni e durante ciascuna valutazione sono stati raccolti due campioni di saliva; inoltre sono state considerate altre variabili come l’indisponibilità emotiva delle madri, valutata sottoponendo le madri e i loro figli ad un compito di interazione di 10 minuti; la violenza domestica, in questo caso attraverso un’intervista semistrutturata le madri venivano stimolate a raccontare la frequenza, la natura e le conseguenze delle liti tra i genitori a cui i bambini assistevano; lo status socio economico, sulla base del livello di istruzione e dello stato occupazionale dei genitori; l’instabilità familiare, determinata attraverso un questionario che verificava la frequenza di eventi come cambiamenti del caregiver o di residenza, perdita del lavoro o morte di membri della famiglia; infine le abilità cognitive dei bambini all’età di quattro anni.

I risultati hanno individuato all’interno del campione considerato tre tipologie di attività dell’asse HPA, elevata, moderata o bassa; in particolare tra i fattori di rischio familiari che determinano tali pattern sembrano avere un ruolo cruciale l’instabilità familiare e l’indisponibilità emotiva delle madri che causano livelli di cortisolo sia alti che bassi. A differenza di quanto ci si aspettava dalle ipotesi di ricerca invece la violenza domestica e le difficoltà socio economiche non possono essere considerate predittori unici dell’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, in quanto ad esempio il basso reddito ha un impatto su molteplici aspetti dell’ambiente familiare. Per quanto concerne il terzo obiettivo dello studio, in linea con i risultati delle ricerche precedenti, si è osservato che livelli di cortisolo costantemente elevati o costantemente bassi determinano delle disfunzioni cognitive a quattro anni; ciò può essere spiegato dal fatto che il rilascio eccessivo può essere tossico per le strutture neuronali, come la corteccia prefrontale e l’ippocampo, mentre una secrezione non sufficiente causa un inadeguato smistamento delle risorse metaboliche che sarebbe necessario per un buon apprendimento.

 

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