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EMDR: 16° Congresso Europeo – La terza giornata

Psicoterapia & Psicologia - Report dalla terza giornata del 16° Congresso Europeo dell'EMDR, Milano, 10-12 Luglio 2015

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 20 Lug. 2015

Aggiornato il 21 Dic. 2015 11:25

EMDR 2015 Milano (1)

Report dalla 16th EMDR EUROPE CONFERENCE Milano 10-12 Luglio 2015

III GIORNATA

Durante la mattinata di domenica 12 Luglio, mentre nelle altre sale relatori italiani e stranieri illustravano l’uso dell’EMDR con le dipendenze, con i pazienti oncologici e negli interventi di emergenza, Carol Forgash ha ripreso il discorso sulle Adverse Childhood Experiences (ACE) iniziato sabato pomeriggio.

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Portando ad esempio dei casi clinici, la relatrice ha parlato delle principali difficoltà del lavoro terapeutico con persone sopravvissute ad esperienze infantili di abuso e trascuratezza, mettendo dettagliatamente in evidenza i target da indagare e lo svolgersi delle diversi fasi del protocollo EMDR.
Attraverso la presentazione del questionario di indagine delle ACE e di tecniche specifiche per le diverse fasi del protocollo, in questo intervento è stato proposto un piano di trattamento dettagliato per questi pazienti.

Partendo dalla considerazione che spesso presentano complessi quadri di patologia fisica, emerge come sia di fondamentale importanza il lavoro sulla mancanza di fiducia che molte volte la loro storia li ha portati a nutrire nei confronti dei medici. Questo atteggiamento rappresenta, infatti, un ulteriore fattore di rischio per la loro salute, portandoli a trascurare controlli e terapie indispensabili.
La Forgash illustra come questo sia un argomento delicato da affrontare con alcuni pazienti, che spesso non accettano ingerenze e non vogliono che il terapeuta contatti il loro medico, cosa invece importante per l’esito del trattamento.
E’ dunque imprescindibile lavorare sulle loro difficoltà e i loro timori, aiutandoli a ricostruire un senso di fiducia e affidamento.

Un punto sottolineato con forza è la necessità di procedere per fasi, dando a questi pazienti tempo e spazio sufficienti per un’adeguata stabilizzazione prima di procedere con la fase centrale di elaborazione.
A questo scopo la Forgash propone di integrare nelle prime fasi dell’EMDR esercizi sensomotori, come l’esercizio del pendolo, in cui il paziente viene fatto focalizzare alternativamente su un punto in cui avverte una sensazione piacevole e di rilassatezza e su un punto in cui avverte sensazioni spiacevoli e tensione, con lo scopo di stabilizzare e integrare le sue percezioni.
In qualunque momento del trattamento EMDR è possibile poi ritornare a questa fase preparatoria, laddove sia necessario per aiutare il paziente a restare nella finestra di tolleranza o a gestire un’eventuale dissociazione.
Anche esercizi di visualizzazione possono essere utili allo scopo, come quello del telecomando con cui aumentare o diminuire una sensazione, che incrementa il senso di controllo del paziente rispetto a sensazioni particolarmente disturbanti.

L’intervento pomeridiano di Dolores Mosquera ci ha portati a confrontarci con un aspetto particolarmente critico e doloroso che spesso si riscontra lavorando con pazienti gravemente traumatizzati: i comportamenti autolesivi ed il suicidio.
Con la sua dolcezza e la sua attenzione per l’interlocutore, la Mosquera ci ha avvisati prima di procedere con la presentazione che alcune immagini sarebbero state molto disturbanti. Lo sono state: le storie che ha raccontato, le foto e i video che ha mostrato ci hanno trasportati in un mondo di dolore estremo in cui il trauma ha assunto i toni più drammatici.

Entrando nel merito del suo lavoro con pazienti così gravi, innanzi tutto la relatrice evidenzia come intenzione suicidaria e comportamenti autolesivi non siano la stessa cosa, anzi molto spesso questi ultimi sono tentativi, se pur estremi e disfunzionali, di coping e l’EMDR può aiutare a capirne le motivazioni sottostanti e a fornire a queste persone delle alternative.

Per questa ragione è importante che durante la prima fase del trattamento il terapeuta non eviti l’argomento ma esplori senza pregiudizi questo comportamento, senza stigmatizzarlo o etichettarlo in maniera semplicistica o come riferito a se stesso.
Spesso è usato come regolatore delle emozioni; o, dopo molti tentativi falliti, è l’unico modo per chiedere aiuto; a volte è una punizione che si infliggono per i loro pensieri, per i sensi di colpa che avvertono; a volte è stato nella loro vita l’unico modo per ottenere l’affetto dei famigliari; a volte è il frutto di una dissociazione; altre volte è il tentativo di uccidere il mostro che hanno dentro.

Il suicidio è invece l’estrema soluzione quando questi pazienti non vedono altra via d’uscita, quando tutti i tentativi di controllo sono falliti e il dolore è soverchiante.
E’ importante indagare se vi sia un’ideazione suicidaria e se sia presente o meno uno specifico piano o metodo per portarlo a compimento: tanto più esiste un piano specifico, tanto maggiore è il rischio.

L’EMDR ha ruolo importante in tutte le fasi del trattamento ed è uno strumento molto efficace per neutralizzare i comportamenti autolesivi. Lavorando su immagini, pensieri, emozioni intrusive e disregolate si aiuta il paziente a stabilizzare i sintomi. Identificando episodi specifici alla base di questi atti, si possono rielaborare i ricordi traumatici che hanno dato origine alle automutilazioni, riducendo e persino facendo cessare tali comportamenti.

Il messaggio che emerge da questo bellissimo intervento della relatrice spagnola è di speranza: nonostante la grande sofferenza che emerge dalle loro storie, si può letteralmente vedere dai video e dalle immagini presentate come intervenire su queste situazioni sia possibile e l’EMDR costituisca uno strumento potente per aiutare queste persone a riappropriarsi delle loro vite.

E non possiamo che essere d’accordo con il chair nel definire la Mosquera “dono di Dio all’EMDR”!

L’ultimo intervento della giornata ha chiuso questa ricca conferenza con una prospettiva particolarmente innovativa: l’utilizzo dell’EMDR per il trattamento dei traumi molto spesso presenti (e sottodiagnosticati) nelle psicosi.

Marc van der Gaag ci ha illustrato il progetto danese “ Treating Trauma In Psychosis”, uno studio volto ad indagare l’efficacia e la sicurezza del trattamento EMDR e di Esposizione Prolungata del PTSD in pazienti psicotici.

Molti pazienti psicotici, infatti, presentano una storia di abusi e trascuratezze e i dati clinici hanno dimostrato che la presenza di abusi sessuali durante l’infanzia è un potente predittore di molti disturbi mentali in età adulta: in particolare circa il 33% delle psicosi sarebbe causato da abusi sessuali infantili.

Nonostante sia evidente da diversi studi la presenza di una significativa comorbilità psicosi/PTSD, non ci si occupa del trattamento del trauma in pazienti psicotici. Come mai? Perché nessuno sembra vedere questo elefante in mezzo alla stanza?

I professionisti della salute sono restii ad intervenire sul trauma in pazienti psicotici per paura che affrontare le memorie traumatiche possa peggiorare il loro quadro clinico e mettere ulteriormente a rischio il loro fragile equilibrio. Per 20 anni questo è ciò che la psichiatria ha sostenuto.
Gli stessi preconcetti hanno a lungo ostacolato l’utilizzo della CBT con i pazienti psicotici, finché molti studi non ne hanno appurato l’utilità.

Lo studio di van der Gaag e collaboratori ha invece dimostrato che EMDR ed Esposizione Prolungata sono molto efficaci nel trattamento del PTSD in pazienti psicotici e che i miglioramenti permangono e continuano anche al follow up di 6 e 12 mesi.
Oltretutto questa indagine ha finalmente accertato, per quanto su un campione ridotto, che sono trattamenti sicuri per questi pazienti e l’equipe di ricerca ha ottenuto il consenso per continuare il trial, con l’obiettivo di rispondere alle tante domande che questi esiti suscitano.

Questo studio apre dunque la strada ad un’area di ricerca ancora poco esplorata e che potrebbe condurre a nuovi ed importanti sviluppi nel trattamento delle psicosi.
Un’altra grande sfida raccolta e brillantemente superata dall’EMDR.

Uscendo dal centro congressi i volti sono stanchi e frastornati, ma nella testa risuonano le suggestioni, le riflessioni e gli spunti che tutti i relatori hanno saputo regalarci in questi giorni densi di lavoro.
La sensazione è che l’EMDR stia sempre più dando prova di essere uno strumento potente ed eclettico, capace di fare la differenza per molte persone sopravvissute ad esperienze traumatiche e provenienti da storie di vita difficili.

La comunità di professionisti provenienti da tanti Paesi che si è riunita negli scorsi giorni a Milano è viva e pulsante e ha condiviso con entusiasmo nuove sfide e solide conferme, lasciando nei partecipanti tanti spunti da approfondire e strumenti da mettere in pratica.

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