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L’impatto delle differenze di genere sulla condizione autistica

Le differenze di genere nell’ autismo potrebbero riflettere le differenze di genere che sono comunemente rintracciabili nella popolazione non clinica?

Di Alessia Gallucci

Pubblicato il 25 Giu. 2015

Aggiornato il 23 Mar. 2016 13:29

FLASH NEWS

La più alta prevalenza dell’autismo nei maschi potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che le femmine sono dotate di un fattore protettivo, cioè sarebbe necessario un maggior numero di mutazioni genetiche per far si che i disturbi si manifestino nei soggetti femminili.

Come è noto i disturbi dello spettro autistico si caratterizzano per delle differenze di genere che riguardano in primo luogo la diffusione di tali patologie, infatti i maschi presentano un rischio maggiore rispetto alle femmine con un rapporto di circa 4:1.

La più alta prevalenza dell’autismo nei maschi potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che le femmine sono dotate di un fattore protettivo, cioè sarebbe necessario un maggior numero di mutazioni genetiche per far si che i disturbi si manifestino nei soggetti femminili, mentre ne basta un numero inferiore per avere lo stesso effetto nei maschi.

In secondo luogo, le differenze di genere riguardano anche la gravità dei sintomi in quanto, se è vero che il genere femminile è colpito meno frequentemente dai disturbi dello spettro autistico, è vero anche che le bambine presentano dei sintomi più gravi rispetto ai maschi: livelli più bassi di QI sia per le capacità verbali sia per quelle non verbali e disfunzioni più severe nelle abilità verbali e comunicative (i maschi rispetto alle femmine presentano un numero maggiore di comportamenti ripetitivi e stereotipati).

L’ipotesi che la presente ricerca ha cercato di verificare riguarda la possibilità che tali differenze di genere non siano in realtà specifiche dell’autismo ma riflettano le differenze di genere che sono comunemente rintracciabili nella popolazione non clinica.

A questo scopo sono stati considerati 1824 bambini più piccoli di 18 mesi divisi in tre gruppi, bambini ad alto rischio con autismo, bambini ad alto rischio senza autismo e bambini a basso rischio. Per tutti e tre i gruppi è stato analizzato l’impatto che le differenze di genere dei soggetti e dei loro fratelli hanno sullo sviluppo a lungo termine di sintomi autistici; l’idea è che se l’effetto delle differenze di genere sulla gravità dei sintomi e sul livello di funzionamento cognitivo non differisce nei tre gruppi esso non può essere considerato specifico delle patologia autistica né tanto meno dello stato di rischio dei soggetti, ma piuttosto deve essere ricondotto alle differenze di genere rintracciabili nella popolazione generale.

I risultati hanno confermato la più alta prevalenza del disturbo autistico tra i soggetti maschi e, come era prevedibile, hanno permesso di osservare anche che i bambini ad alto rischio con autismo si caratterizzano per un più basso livello di funzionamento cognitivo e per una maggiore gravità dei sintomi rispetto ai bambini ad alto rischio senza autismo, che a loro volta però presentano delle prestazioni peggiori se confrontati con i bambini a basso rischio. Tuttavia non c’è nessuna evidenza circa il fatto che i maschi o le femmine del primo gruppo hanno un funzionamento nettamente peggiore rispetto ai maschi o alle femmine degli altri due gruppi.

Ciò va quindi a conferma dell’ ipotesi che lo studio si è preposto di verificare e cioè che le differenze di genere rilevabili nella patologia autistica non siano specifiche del disturbo ma riflettano quelle che sono osservabili anche nella popolazione non clinica.

 

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BIBLIOGRAFIA:

 

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