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Oltre il dolore cronico. Vivere in modo pieno e vitale, di Joanne Dahl e Tobias Lundgren (2014) – Recensione

Un manuale utile nelle diverse fasi della terapia che aiuta ad abbracciare il "credo della serenità" e dell'accettazione della malattia - Recensione

Di Manuela Ramundo

Pubblicato il 09 Apr. 2015

Aggiornato il 23 Mag. 2016 11:44

“Il problema non è il dolore in sè, ma come rispondiamo alla presenza del dolore nella nostra vita”. Imparare a convivere con il dolore, anzichè combatterlo per tentare di liberarsene  può fare la differenza.

Se si può affermare che il dolore di per sè sia un fatto positivo in quanto segnala una disfunzione corporea che va osservata e curata, il dolore cronico diventa difficile da gestire in quanto presenta un segnale costante che condiziona a pensare che occorra fare qualcosa per limitarlo e ridurlo. Ma quante delle terapie effettuate risultano efficaci nel lungo termine? Quante di queste finiscono per condizionare l’esistenza? Che costo ha cercare di liberarsi dal dolore? Quando l’esperienza del dolore è accompagnata da frustrazione, senso di inutilità e fallimento si trasforma in sofferenza.

Certamente ci sono aspetti del dolore che possono essere alleviati e gestiti e su questi occorre intervenire con i trattamenti specifici prescritti (farmacologici e non). Ma cosa fare per l’aspetto cronico del dolore? Perseverare nel cercare un rimedio a qualcosa che non si può risolvere, non può far altro che amplificare la frustrazione. Pertanto secondo gli autori è molto importante considerare e tenere a mente la differenza tra il “dolore pulito” che è il dolore fisico e il “dolore sporco” che è la sofferenza reattiva e conseguente al dolore organico, “i tentativi di alleviare il dolore quando ciò non è possibile” (Hayes, Strosahl e Wilson 1999).

Quasi sempre le persone affette da dolore cronico sono talmente impegnate a controllare il “dolore pulito” che tralasciano il “dolore sporco”. Se il “dolore pulito” si manifesta con i sintomi fisici, come si manifesta il “dolore sporco”? Questo agisce in tre modi portando allo sviluppo di un circolo vizioso (la “catena del dolore”) che nel lungo termine conduce ad una severa compromissione della qualità della vita:

– pensieri (rimuginio e ruminazione sull’esperienza dolorosa);

– comportamenti (condotte di evitamento guidati dalla convinzione di limitare il dolore);

– restrizione dei valori (allontanamento dalla vita desiderata rinunciando agli obiettivi personali considerati non più raggiungibili).

Partendo da questo presupposto, l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) si configura come un approccio pragmatico centrato sull’accettazione e sull’impegno che si propone come obiettivo non tanto la riduzione del dolore, quanto piuttosto l’eliminazione della sofferenza ad esso associata. Tre sono i principi della terapia ACT: accettare, scegliere e agire.

– Accettare il dolore non significa rassegnarsi passivamente ad esso, quanto piuttosto smettere di lottare contro di esso, “scegliere attivamente di ciò che non può essere cambiato”.

– Scegliere in modo consapevole il modo in cui si vuole vivere;

– Agire mettendo in pratica i passi necessari per arrivare alla destinazione desiderata.

Il libro, essendo pensato come un selfhelp workbook, è corredato di diversi esercizi utili nelle diverse fasi della terapia e invita costantemente a provare a sperimentare seguendo il monito a non arrendersi condensato perfettamente nel “credo della serenità” dell’ACT:

[blockquote style=”1″]Concedimi di cambiare le cose che posso cambiare, la serenità di accettare le cose che non posso cambiare e la saggezza per distinguere le une dalle altre[/blockquote]

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Dolore cronico: come lo possiamo affrontare e gestire?

BIBLIOGRAFIA:

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Manuela Ramundo
Manuela Ramundo

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale

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