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Her di Spike Jonze (2013): la solitudine nell’era dei social network

L'elemento persistente è quello della solitudine di un uomo che riempie i propri vuoti emotivi attraverso un sistema operativo che organizza la sua vita

Di Manuela Agostini

Pubblicato il 13 Mar. 2015

Aggiornato il 08 Apr. 2015 10:25

L’elemento persistente è la solitudine. Theodor è solo. Una enorme lacuna emotiva che ad un tratto viene riempita dal sistema operativo.

Her è un film del 2013 scritto e diretto da Spike Jonze. Un sottile dramma si sviluppa per tutta la durata del film, la solitudine e ciò, che in un futuro non troppo prossimo potrebbe accadere all’uomo, alla socialità, alla tecnologia. Girato in una metropoli non altrimenti specificata, con un godibile utilizzo di alternanza di piani temporali, e di un impercettibile e presente filtro “sierra “ instagrammiano, la trama del film lancia degli importanti spunti di riflessione sociali e psicologici.

Theodor è un ragazzo tra i trenta e i quarant’anni, in procinto di divorziare. Il suo lavoro è scrivere lettere su commissione per altre persone (già lui quindi raffigura un ponte tra persona e tecnologia, già la sua figura è tra quello che c’è di più intimo nell’uomo, i sentimenti e l’esternazione di questi, e ciò che si sostituisce a noi e per nostra scelta, per ottimizzare i tempi, per sopperire a volte scarse capacità). La tecnologia utilizzata non lascia perplessi e non ci dà un’immagine troppo futuristica, è una tecnologia che comprendiamo, è l’evoluzione perfetta di ciò che abbiamo oggi.

Il sistema operativo che acquista è un software, OS1, e che in seguito prenderà il nome Samantha, dotato di una simil coscienza che sembra sviluppare anche emozioni e che si interfaccia con lui attraverso una voce femminile, decisa all’inizio dal protagonista, supporta e organizza in modo ottimale la vita dell’uomo: mail, appuntamenti, ricerca ristoranti, suggerisce musica, porta notizie. Supporta e scandisce ordine nella vita in maniera veloce, ottimale e personalizzata. Perfetto. Concepibile! Basti pensare già ad alcuni sistemi operativi presenti sui cellulari di oggi. Il rapporto stretto tra uomo e software evolve in una relazione mentale e non, che poi termina per la semplice necessità evolutiva di cui Samantha ha bisogno a cui poi seguirà finalmente anche un evoluzione emotiva di Theodor, sottolineata nell’ultimissima scena.

L’elemento persistente è come detto, la solitudine. Theodor è solo, attraverso dei flashback si evidenziano momenti con la ex moglie, momenti felici a cui lui rimane ancorato (ecco spiegata la sua riluttanza al firmare le carte per il divorzio). Una enorme lacuna emotiva che, ad un tratto viene riempita dal sistema operativo.

La drammaticità richiamata sta nella convinzione del protagonista di poterla colmare davvero attraverso Samantha, tanto che ad un certo punto del film si convince a firmare il divorzio. Comincia così questo suo nuovo frammento di vita, ed ecco scene di risate, viaggi, quotidianità spensierata in cui comunque lui è solo e con solo nel suo taschino il sistema operativo che crede di amare. Nel momento in cui Samantha decide di “lasciarlo” per seguire la sua evoluzione, Theodore si guarda intorno, nella scena un via vai di persone, tutte sole, che camminano quasi in modo automatico, non si guardano intorno, prese solo dalla conversazione con i loro rispettivi sistemi operativi. Theodor comprende.

Il film è un affresco al futuro e crea perplessità se non per la drammatica veridicità che trapela. La fine del film ci porta a non banali spunti di riflessione.  Per persone della mia generazione, cresciute quando avere il telefono cellulare era solo un telefono cellulare ed i mezzi di comunicazione di oggi, la tecnologia è senz’altro vista come un ottimo supporto all’organizzazione e alla gestione del tempo (importante indicatore per la psicologia della salute sulla gestione dello stress e dell’ansia disturbi propri dei paesi più industrializzati). Sappiamo utilizzarla al meglio, ma non ci facciamo troppo coinvolgere da questa, non ci fidiamo troppo di lei, lasciamo che faccia parte di noi, che ci aiuti, ma sappiamo anche di poterla dominare.

L’interrogativo a mio avviso più grande è come si svilupperanno i rapporti umani e la socialità nelle generazioni future che crescono già, se vogliamo dire così, forniti dei vantaggi/svantaggi legati a questa. Per il principio di selezione naturale, l’umanità andrà incontro all’acquisizione di nuove abilità legate alla stretta relazione uomo-macchina? Si perderanno le abilità acquisite per far spazio alle nuove? La qualità delle competenze dell’uomo andranno scomparendo da informazioni acquisite da siti più o meno competenti?

Con la conquista dei nuovi approcci interpersonali sudata nella seconda metà del novecento siamo arrivati all’affermazione delle nostre personali capacità, all’espressione creativa, all’emancipazione ad una socialità proattiva ma già oggi, con l’avvento dei social network, stiamo cambiando rotta? Il messaggio contro la telefonata! Uno schermo contro l’uscita con gli amici? 

Sono certa che l’educazione al bambino, la trasmissione dei valori e l’esempio, che è la primaria fonte di acquisizione per la formazione della personalità ci permetterà di prendere tempo e godere dei benefici delle scoperte e delle nuove tecnologie ancora rimanendo padroni assoluti di quegli istinti primordiali che fanno dell’uomo, uomo e del gruppo sociale, quel pilastro per la formazione delle identità future. Spike Jonze, personalità stravolgente e intuitiva e che nelle sue pellicole porta sempre importati spunti di riflessione, ha ottenuto un meritatissimo oscar per la sceneggiatura di questa pellicola e ha portato di un tassello in avanti il cinema statunitense.

 

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Manuela Agostini
Manuela Agostini

Dott.ssa in Psicologia della salute clinica e di comunità

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