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Her di Spike Jonze – L’amore ai tempi di una solitudine affollata

Her (2013): È una società evitante quella che è messa in scena nel film di Spike Jonze in cui i sentimenti sono desiderati, ma tenuti a distanza ...

Di Anna Angelillo

Pubblicato il 08 Apr. 2014

Aggiornato il 21 Mag. 2014 13:49

Anna Angelillo.

 

Her

L’amore ai tempi di una solitudine affollata

di Spike Jonze (2013)

 

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HERMigliore sceneggiatura originale: è il premio che la comunità cinematografica internazionale riconosce al film “Her” di Spike Jonze – che forse qualcuno ricorderà per la regia di un altro film fantastico e a tratti bizzarro, Being John Malkovich (1999).

Il film è una finestra su di un futuro non troppo lontano in cui ormai la tecnologia ha un ruolo di primissimo piano nella vita delle persone e in cui la comunicazione è completamente bypassata dai computer, da auricolari comandati vocalmente e da dispositivi video tascabili.

Il protagonista è Theodore, un uomo solo, sposato, oramai solo in teoria (perché non ha ancora trovato il coraggio di sottoscriverne la fine), che per lavoro mette nero su (uno schermo) bianco i sentimenti altrui. Colpito da una pubblicità, acquista un nuovo sistema operativo, “OS 1”, basato su un intelligenza artificiale, che si plasma ad hoc, adattandosi alle esigenze dell’utente ed in grado anche di evolversi.

Samantha, il nome che la voce scelta da Theodore si dà, diventa così per lui la confidente perfetta, l’unica in grado di accogliere e comprendere le sue emozioni; ed essa stessa finisce per condividere a sua volta con lui le nuove esperienze che sperimenta, imparando cose nuove e provando sensazioni sempre più profonde e complesse. Il rapporto tra i due diventa così sempre più profondo e intimo, fino a sfociare in una vera e propria relazione d’amore dall’epilogo che lascia ben poco spazio all’immaginazione, ma che comunque catapulta in un’amara considerazione sulla qualità delle relazioni attuali.

L’ironia (a tratti sarcastica) che scivola sulla scena affina un po’ l’amarezza che fa da sfondo alla pellicola: è lo specchio delle relazioni di oggi, o almeno le relazioni verso cui la tecnologia e le paure ci stanno spingendo. Theodore, scottato da un matrimonio con una donna con cui è cresciuto e che non ha saputo integrare i cambiamenti di entrambi, si rifugia in un mondo chiuso e popolato solo da avatar; un mondo in cui può esserci anche spazio per le emozioni che vengono cercate attivamente (in un computer) dal protagonista (lui e Samantha alla fine “vivranno” una relazione piena di condivisione, di ascolto, di sesso e di sensazioni), ma che rimarranno emozioni intangibili, perché sperimentate in un rapporto declinato al singolare, che di per sé fa crollare il senso stesso della parola relazione.

È una società evitante quella che è messa in scena nel film (molto vicina a quella verso cui di muoviamo), una società in cui i sentimenti sono desiderati, ma ben tenuti a distanza perché ci si sente non in grado di sostenere emozioni reali. Siamo ormai più bravi a nasconderci elegantemente dietro schermi, perché non riusciamo a sostenere lo sguardo di chi potrà starci di fronte, sicuramente per la paura dell’altro e del coinvolgimento che ci rende vulnerabili, ma molto più probabilmente per non concederci di vedere riflessa una parte di noi, forse la più vera, che magari abbiamo intravisto ma non siamo stati, da soli, in grado di comprendere e che per questo ci spaventa di più.

Sul finale, lo spettatore, illuminato da quello che la scritta “software not found” scuoterà nel protagonista, potrà ridestarsi (qualora si fosse perso) insieme a lui da questo sogno dolceamaro d’amore e prendere atto della perdita di confini tra ciò che è reale e ciò che rimane solo un software a cui il protagonista è giunto, in un momento storico in cui vengono spese più risorse per far evolvere una macchina, piuttosto che per nutrire un’evoluzione più profonda, che consenta di renderci protagonisti consapevoli della e nella esperienza (realmente sperimentata) con l’altro.

Il film non sembra e non vuole essere una condanna al web 2.0, bensì un mezzo attraverso il quale gettare uno sguardo all’uomo contemporaneo. L’esperienza con il sistema operativo smuove, infatti, comunque qualcosa in Theodore: gli consentirà di guardare alla sua storia matrimoniale con occhio critico e costruttivo.  Può essere, questo, l’ennesimo punto a favore del potere che la relazione, seppur in questo caso fittizia, ha nell’esperienza del sè.

La scena finale – che vede il protagonista raggiungere la sua amica, anch’essa abbandonata dal suo sistema operativo, sul tetto del grattacielo in cui vivono e insieme guardare la città – diffonde in platea un senso di serenità, che fa sperare in un futuro all’avanguardia sì, ma pur sempre ancorato alla semplice complessità delle relazioni umane.

Fuori dalla sala troveremo di sicuro chi l’avrà trovato geniale, chi a tratti sarà stato infastidito; qualcuno avrà riso commosso e sicuramente qualcun’altro non avrà gradito il genere; probabilmente, ci sarà almeno uno che avrà pensato a come potrebbe essere (più semplice?) avere una Samantha a sua volta. Indubbiamente farà fermare tutti a riflettere.

TRAILER:

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