Disabilità e Assistenza Sessuale – Recensione del libro “L’accarezzatrice” di Giorgia Würth (2014)
Parlare di sessualità e disabilità in Italia rappresenta ancora oggi un gigantesco tabù. Questo romanzo abbatte con semplicità e autenticità le barriere architettoniche più difficili da superare, quelle costituite da pregiudizio e ipocrisia. Un argomento così delicato e nascosto, da decenni sottoposto all’attento esame di genitori ed esperti, che la scrittrice Giorgia Würth scioglie con maestria nella storia della protagonista Gioia, una giovane infermiera costretta a fare i conti con la crisi economica dopo aver perso il suo posto di lavoro in ospedale.
Le riflessioni della protagonista, insieme ai colpi di scena racchiusi nella sua storia, portano in superficie questioni e criticità in cui è facile imbattersi quando si parla della sessualità di persone disabili. L’autrice passa in rassegna con straordinaria trasparenza tutte le obiezioni riservate alla figura dell’assistente sessuale, figura professionale ancora non riconosciuta in Italia, almeno non ufficialmente. La trama di questa storia infatti si realizza al confine con la Svizzera, dove invece sembra ormai assodato che ogni essere umano abbia diritto a vivere e sentire il proprio corpo, assecondandolo nei suoi richiami, concedendosi il piacere delle carezze, ricevendo aiuto quando questo aiuto è prima di tutto una necessità.
L’assistente sessuale non è una prostituta. Forse per qualcuno è più facile pensarla in questi termini, ma la lettura di questo libro, una sessione dopo l’altra, incuriosisce e spiega come al contrario questa figura professionale (già riconosciuta in gran parte di Europa e Stati Uniti) si posizioni proprio agli antipodi della prostituzione. Se una prostituta è generalmente chiamata a soddisfare nel minor tempo possibile il proprio cliente dando risoluzione al suo desiderio sessuale, un assistente sessuale, uomo o donna che sia, è un vero e proprio terapeuta senza paziente (perché il desiderio sessuale non genera pazienti, fa parte di noi per natura, utilizzo il termine terapeuta proprio in virtù della formazione specifica che questo professionista deve possedere) che attraverso una buona relazione col proprio cliente è in grado di aiutarlo a percepire ed esplorare il proprio corpo, offrendo a sua volta un corpo (non un corpo in vendita) come luogo di incontro intimo e speciale, mittente e destinatario di piacere condiviso, perché anche una persona disabile può offrire piacere.
Provate a chiedere a down, paraplegici, spastici, infermi, a tutte quelle persone che non sono totalmente libere di accoppiarsi, che cos’è una vita senza sesso. Che cosa significa ritirarsi (quando è possibile) nella malinconia di un piacere solitario o nella frustrazione della completa incapacità di provarlo senza l’aiuto di qualcuno. Si finisce per disprezzare il proprio corpo perché sembra che tutti lo disprezzino. La vita diventa un inferno, e infatti qualcuno se la toglie. Il diritto a vivere la propria sessualità è sacrosanto per tutti. Anche per i disabili. Gli assistenti sessuali offrono a queste persone la possibilità di esplorare il proprio corpo attraverso scambi di tenerezze, abbracci, massaggi, esperienze intime e sensuali fino a giochi erotici e masturbazione. L’obiettivo è quello di far sì che un corpo abituato alla sofferenza e al disagio possa ritrovare, attraverso l’esperienza sensoriale del piacere, la sensibilità e la gioia di vivere.
La possibilità di godere del piacere sessuale si trasforma così in autodeterminazione, consapevolezza del proprio esserci e dello stare al mondo, diventa addirittura fonte di autostima e incrementa la percezione di autoefficacia nelle relazioni interpersonali. Le dimensioni di una sessualità negata sbocciano e prendono forma in età adulta, quello che è in origine un mero istinto riproduttivo evolve in gioco e ricerca, curiosità ed esplorazione, acquisendo lentamente un senso e un significato nell’esperienza interpersonale, rafforzando e nutrendo la dimensione sociale della sessualità umana. È così che nasce una storia d’amore e questo è un libro che riesce benissimo a parlare di sesso traboccando amore da ogni sua pagina.
Le questioni più delicate legate alla sessualità delle persone disabili vengono esplicitate nel corso del romanzo, attraverso le storie di vita delle persone che Gioia incontra facendo l’assistente sessuale. La Würth narra del disagio di una madre costretta a masturbare la persona che ha messo al mondo, narra la sofferenza di persone disabili omosessuali che quotidianamente vivono un doppio stigma legato ai pregiudizi sociali, narra della fragilità di persone che come tutti gli esseri umani possono innamorarsi, possono innamorarsi della propria assistente sessuale e soffrire per questo amore.
Ma proprio alla luce della complessità intrinseca a questi argomenti, se è vero che l’assistente sessuale è un operatore del benessere, che promuove un’assistenza all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità per le persone con disabilità, può essere di per sé sufficiente alla presa in carico totale di sfere così profonde ed importanti per il benessere di ogni individuo? Per contro, anni e anni di dibattiti, conferenze e articoli come quello che avete letto fino a questo momento, sono riusciti a tradurre in pragmatica il desiderio di queste persone di fare sesso? Senza nulla togliere alla teoria sembra arrivato il momento di passare alla pratica, non dimenticando però che fra teoria e prassi esiste un ponte invisibile dove chi decide di prendere in carico la sessualità di una persona disabile, fisica o intellettiva, si preoccupa prima di tutto di lavorare all’interno di un’équipe di professionisti della salute, a tutela della sicurezza e del benessere biopsicosociale della persona. Ovviamente in Italia siamo ancora lontani da tutto questo e qualcuno comincia (giustamente) ad essere stufo.
Insomma questo romanzo è una storia commovente e disarmante che tutti dovrebbero leggere, non solo genitori e professionisti, non solo psicologi e sessuologi, non solo educatori e insegnanti, non solo le persone disabili, se non altro perché disabili lo siamo tutti, solo che la disabilità di qualcuno è più visibile della disabilità di qualcun altro.
ARTICOLO CONSIGLIATO:
LoveAbility. L’assistenza sessuale per le persone con disabilità (2014) – Recensione
BIBLIOGRAFIA:
- Würth, G. (2014). L’accarezzatrice. Mondadori Editore