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Il complesso di Ruben – Rivisitazione cognitivista di un personaggio biblico

Ruben è l' Edipo dei cognitivisti. Al contrario di Edipo, Ruben vuole che il padre giaccia con la madre, e si adopera affinché questa sia una sposa felice.

Di Roberto Lorenzini, Mariapina Accardo

Pubblicato il 02 Dic. 2014

Aggiornato il 25 Feb. 2019 13:03

Questo lavoro esprime l’invidia dei cognitivisti per l’Edipo psicoanalitico che tanta fortuna ha avuto ed è entrato nel vocabolario comune e cerca di ristabilire giustizia.

Storia di Ruben

(tratto da “Una nuvola come tappeto” di Erri De Luca FELTRINELLI – 1994)

Chi è Ruben? È colui che pretende giustizia negli affetti. Soffre di sentimenti calpestati, patisce il torto fatto alla madre. Se non il giustiziere è perlomeno il PM degli affetti familiari.
Ruben è figura opposta a quella dell’inconsapevole Edipo preso a pretesto di desideri incestuosi, Ruben è colui che vuole che il padre Giacobbe giaccia con la madre Lea. Soffre l’umiliazione di Lea come se fosse la sua. Viola la concubina del padre per punire il torto subito dalla madre. Sacrifica il privilegio solenne della primogenitura assumendo su di sé una colpa che vuole essere un castigo. Disonora il padre per pareggiare il conto dei torti. Per tutta la vita si è adoperato perché Lea fosse una sposa felice.

I fatti

Da Isacco e Rebecca nacque Giacobbe, secondo figlio di un parto gemellare. Giacobbe, il padre delle dodici tribù di Israele. Giacobbe è colui che afferrò il calcagno del fratello Esaù che lo precedeva all’uscita dal ventre di Rebecca, e questo segnò l’inizio della disputa sul diritto di primogenitura. Ma Giacobbe significa anche ingannatore. Ingannò infatti suo padre, vestendo i panni del fratello Esaù, e ottenendo con un raggiro la benedizione di Isacco a primogenito.

Fuggendo da Esaù fu esule per sette anni, come pastore di greggi, presso lo zio materno Labano. Giacobbe era innamorato di Rachele, la figlia minore di Labano. La chiese in sposa, ma Labano la sera delle nozze introdusse nel talamo la prima figlia Lea. Questo perché le regole del luogo imponevano che una sorella minore non potesse sposarsi prima della maggiore. Solo in cambio di altri sette anni di lavoro, Giacobbe avrebbe potuto avere, la settimana successiva, anche Rachele. A colui che carpì la primogenitura, toccò in sorte la frode parallela di un’indesiderata primogenitura per moglie.

Allo scadere del contratto Giacobbe con un espediente segreto riuscì via via a far diminuire il bestiame bianco di Labano e a far aumentare invece i suoi capi macchiati. Quando ritenne di aver pareggiato i conti, senza preavviso se ne andò con famiglia e averi.

Ruben è il primo figlio di Giacobbe, nato da Lea.

Sei figli li generò Lea, due Zilpà la sua schiava, due Bilhà schiava di Rachele e due Rachele. Da qui le dodici tribù di Israele.
Giacobbe amò sempre e solo Rachele dal primo giorno che la incontrò alla fonte. Non amò mai Lea, perché il suo cuore era occupato solo da Rachele, perché Lea gli era stata imposta e si era prestata all’imbroglio di Labano, e nemmeno la sua fecondità fece breccia in Giacobbe, che anzi per lei provava odio. Rachele restava sterile. Lea partorì il primo figlio, Ruben e ciò la illuse che il suo sposo l’avrebbe amata.

Il nome Ruben rappresenta una sigla della frase Dio ha visto la mia afflizione e adesso mio marito mi amerà. Lea lo chiamò così per fissare la sua pena, ma non sapeva che così avrebbe trasferito il suo dolore nel destino del figlio, oltre che nel nome. Nella Bibbia i nomi di persona spiegano qualche dettaglio del nascituro, una circostanza che permette di ricordarlo.
Anche dopo altri figli Giacobbe non mutò animo e Lea smise di sperare.

Ruben fin dal nome che porta gli brucia in petto il malanimo di Giacobbe verso Lea, la mai amata. Farebbe qualunque cosa per riparare quel dolore.

Al tempo della mietitura Ruben raccolse per la campagna delle mandragore, piante che favorivano l’amore e la fecondità. Le colse e le portò alla madre Lea. Rachele sterile com’è implora la sorella di cedergliene qualcuna, ma Lea si rifiuta. Allora Rachele cede l’unica cosa che può avere per Lea un valore di scambio: Giacobbe giacerà una notte con lei. Ruben vedeva ridursi sua madre a dare un compenso a Rachele, per stare una notte col proprio marito. Giacobbe che uomo era ai suoi occhi? Disprezzava l’amore di sua madre e si concedeva a lei solo con il permesso di quella zia terribile e sterile. Ruben anche se ragazzo, vedeva e capiva.

Lea ebbe sei figli, e solo allora Dio si ricordò di Rachele, e le schiuse il grembo indurito. Nacque da lei Giuseppe, l’undicesimo figlio di Giacobbe. La seconda gravidanza le portò la morte.
Ma la scomparsa dell’eterna rivale della madre non restituì a Ruben la normalità degli affetti. Giacobbe non solo non si avvicinò a Lea, ma le preferì la schiava di Rachele, Bilhà.

Che la madre dovesse subire anche questo affronto, umiliata non più dalla sorella minore ma dalla schiava, gli parve intollerabile. Ruben era cresciuto ed era un uomo forte e grande. La collera che sdegna ogni prudenza gli chiedeva sfogo. Ruben giacque con Bilhà, concubina di suo padre. Nella foga di offendere Giacobbe, di punirlo proprio in quel suo letto sempre ostile alla madre, forse c’era anche la speranza di rendere odiosa la nuova preferita. Forse Giacobbe avrebbe aperto gli occhi e avrebbe visto nella madre la prima e vera moglie. Commise un gesto che gli costò la primogenitura e che nella futura legge di Israele verrà punito con la morte di entrambi i colpevoli. Fu un gesto compiuto deliberatamente, per esasperazione, ma anche per giustizia. Non si pentirà per averlo commesso.

Giacobbe lo perdonò, intese il gesto del figlio, il dolore che ne reggeva la collera e perdonò le sue acque impetuose. Capì forse che nemmeno negli affetti ci si può abbandonare ai moti del cuore, anche lì occorre amministrare giustizia. I commentari del Talmud non credono che Ruben osò giungere a tanto. Se era un giusto e lo era perché continuò a essere considerato uno dei dodici figli, allora doveva essere innocente di quella colpa. È quindi possibile che sotto la spinta dello sdegno per l’umiliazione subita dalla madre, andò a scompigliare il letto del padre e a metterlo sottosopra. Era un atto grave,ma simbolico e privo di conseguenze disonorevoli per Giacobbe.

Ruben e i suoi fratelli odiavano Giuseppe, il primo figlio della prediletta Rachele. Giuseppe si era reso antipatico facendo spia al padre dei loro discorsi. Un giorno vedendolo arrivare solo dai campi si scatena in loro la furia e decidono di ucciderlo. Ma Ruben propone di non sporcarsi le mani di sangue e di gettarlo invece in un pozzo. Aveva in mente di tornare poi a salvarlo e ricondurlo al padre, sentiva la responsabilità di essere il primogenito, avverte lo sguardo di Giacobbe su di sé e stavolta il suo odio non è così grande da reggere il peso di quella colpa. Tornò sul pozzo a salvare Giuseppe ma i fratelli lo avevano già venduto come schiavo a una carovana di mercanti in viaggio verso l’Egitto.

Ruben si trova dinanzi a una colpa che aveva cercato di scongiurare e dalla quale è quasi innocente. Una colpa che sembra insostenibile a lui che ben altra offesa aveva recato a suo padre, sfidandone in nome di sua madre la collera e l’onore. Perché nel cuore impetuoso di Ruben c’è posto per un solo rancore, quello per la madre offesa.

 

Rilettura cognitivista della storia di Ruben

Ruben è figura opposta ad Edipo. Ruben vuole che il padre Giacobbe giaccia con la madre Lea, e per tutta la vita si adopera perché Lea sia una sposa felice. Ruben in fondo è il protettore degli affetti familiari.

Il conflitto di Ruben, anch’esso iscritto in una problematica a tre, figlio, padre e madre, non si limita nei 3-5 anni di età come quello di Edipo. Anzi più Ruben cresce e più comprende, soffrendo l’umiliazione di Lea come se fosse la sua. Per la tematica rubenica è necessario un livello di mentalizzazione che solo l’adolescenza permette con la consapevolezza della propria sessualità.

Nella forma completa del Complesso di Edipo (Laplache e Pontalis) troviamo due forme, quella positiva e quella negativa o invertita.

Della forma positiva del Complesso di Edipo al posto della libido sessuale verso la madre, in Ruben troviamo una relazione in cui c’è un prendersi cura di lei ed adoperarsi affinché sia felice, classica adozione inversa degli scopi. Ruben accudisce e protegge la madre, non la desidera; e al posto della rivalità amorosa verso il padre, troviamo odio, ostilità e desiderio di punirlo proprio in quel suo letto sempre ostile alla madre. In effetti più che punire il padre qui c’è da sostituirlo, c’è un sacrificio non un godimento. Più che di un amplesso si tratta di uno stupro che serve ad offendere.

Della forma inversa del Complesso di Edipo non troviamo tanto l’ atteggiamento femminile tenero del bambino nei riguardi del padre, tuttavia ravvisiamo una certa ambivalenza, dal momento che quell’uomo che tanto odia, è colui che vorrebbe giacesse con sua madre e facesse a lui da padre E’ l’odio disperato di chi vorrebbe essere amato dal suo oggetto d’odio. Né tantomeno di questa forma troviamo l’ostilità gelosa provata nei riguardi della madre. La madre è considerata passiva impotente, non gli si riconosce nessuna responsabilità sempre in balia del maschio, prima il padre e poi il marito.

Non sappiamo se Lea avesse avuto la tendenza ad aspettarsi cure e attenzioni da suo figlio, ma di certo il loro rapporto appare come una relazione invertita. Relazione in cui è il figlio a preoccuparsi per la madre e a prendersi cura di Lei. Lea sembra aspettarsi sempre che siano i maschi a decidere per lei. Ruben non sopportava che sua madre venisse umiliata dalla sorella minore, né tantomeno sopportò che dovesse subire anche l’ affronto della schiava, gli parve intollerabile. E così si adopera per riparare al male e al torto.

Sembra essere un aspetto opposto all’Edipo e molto frequente da vedere. Il figlio non si gode un attivazione sessuale verso il genitore del sesso opposto ma si carica del suo accudimento, di farlo felice a posto del coniuge assente. L’assente può esserlo per tradimento, per una nuova famiglia, oppure per morte. Più frequentemente la configurazione rubenica si attiva anche a famiglia unita per l’assenza affettiva di uno dei due genitori. Neppure è da escludere che un atteggiamento rubenico si attivi verso il genitore dello stesso sesso, considerato quello più debole e vessato. Nulla vieta che il compito edipico e rubenico si associno nello stesso individuo. Il figlio rubenico rinuncia alla sua famiglia per mantenere in piedi quella mutilata d’origine. Quella di Ruben è una missione, e potremmo chiederci quanti piccoli/e Ruben si mettono pesantemente di traverso rispetto al divorzio parentale e vengono tacciati/e di edipo non risolto mentre incarnano la missione di Ruben.

Non è la legge della proibizione dell’incesto che emerge da questa storia quanto la legge che regola la giustizia degli affetti. Non abbiamo l’omicidio del padre per giacere con la propria madre, quanto piuttosto l’offesa al padre sfidandone in nome di sua madre la collera e l’onore. Sulla presunta ingiustizia degli affetti si giocano le più aspre faide intrafamiliari. Notissime e oggetto di innumerevoli miti e studi psicologici quelle intragenerazionali tra fratelli, mentre quella rubenica è transgenerazionale. E’ un danno subito che non conosce risarcimento.

Se ci spostiamo sul problema di una struttura preedipica, la possibilità che ci sia una relazione complessa di tipo duale tra la madre e il bambino, è qualcosa che emerge in maniera più chiara tra Ruben e Lea, fin da subito. Infatti Giacobbe appare un padre essente sia negli affetti che nelle cure, e quindi la triangolazione emergerà solo più tardi.

Quando Ruben prende coscienza che l’oggetto del desiderio materno è il padre, non utilizza tutte le risorse per affermare la sua posizione fallica, ma per recare offesa a suo padre, sfidandone in nome di sua madre la collera e l’onore. Il suo intento non è conquistare l’oggetto materno, eppure nella figura paterna egli vede comunque un rivale, che è però un ostacolo al suo progetto di realizzazione della felicità di Lea. L’amore di Ruben per Lea è quello di un cavaliere servente che vuole la felicità della sua dama piuttosto che possederla. Non troviamo quindi l’investimento oggettuale sessuale della madre, ma nemmeno l’attaccamento libidico al padre con intento di imitazione o di piacere al padre, difatti disonora il padre per pareggiare il conto dei torti.

Mentre però la competizione edipica non è reale ma solo fantasmatica, perché la madre scegliendo il padre dà al bambino consolazioni prive di libido erotica, la competizione Rubenica non è fantasmatica ma reale, in quanto Lea ha scelto il padre ma il rifiuto da parte di questi non consente a Ruben di essere consolato e vedere raggiunto il proprio scopo. Interessante è sottolineare la dicotomia: lo psicoanalitico Edipo agisce inconsciamente, il cognitivista Ruben con cosciente determinazione. Di più, comportamenti rubenici sono esprimibili alla luce del sole e talvolta persino rinforzati dall’ambiente circostante che ne intuisce la motivazione giustizialista. I due complessi potrebbero anche essere visti in successione temporale.

Mentre in Edipo la consapevolezza dell’inutilità dei suoi sforzi gli consente di superare l’angoscia di castrazione e di rinunciare alla competizione con il padre e al tentativo di seduzione erotica della madre, in Ruben questa consapevolezza lo condanna ad un eterno rancore, sacrifica il privilegio solenne della primogenitura assumendo su di sé una colpa che vuole essere un castigo. Potremmo dire che dall’Edipo prima o poi si esce più o meno castrati ma si fa. Da Ruben si può rimanere intrappolati per sempre.

Il fatto che il progetto di Ruben sia realizzabile lo rende più pericoloso di quello di Edipo. Si può passare l’esistenza a consolare il genitore dai torti subiti. Ad esattamente quaranta anni dal referendum sul divorzio in Italia che ha visto il proliferare di costellazioni familiari sempre più simili a quelle descritte nel racconto biblico, il tema risulta anche molto attuale dato il numero di famiglie con genitori separati e figli chiamati a consolare genitori sofferenti e forse nelle femmine è ancora più evidente.

L’Edipo ha avuto il difetto di essere stato pensato sul maschio e poi esteso alle femmine. Per Ruben non facciamo l’errore opposto. Ne rigidamente orientato verso il genitore di sesso opposto. L’errore potrebbe essere: i maschi più sessualizzati sono edipici, le femmine più biologicamente motivate all’accudimento sono rubeniche.

 

TAB.1 Il complesso di Ruben - Rivisitazione cognitivista di un personaggio biblico

 

La sofferenza psichica di Ruben: Farebbe qualunque cosa per riparare quel dolore.

La sofferenza di Ruben è molto simile a quella di figli di genitori separati o in disaccordo tra loro, figli che vengono triangolati nella conflittualità. Nella storia di Ruben non si giunge mai una riorganizzazione della famiglia che possa consentire un riadattamento. E così in Ruben predominano rabbia e fantasie di riconciliazione dei genitori.

Gli offesi negli affetti, sono i più afflitti in terra, privi di ogni tribunale che li risarcisca. Costretti da una rabbia ceca a farsi giustizia da soli senza cercare un impossibile risarcimento ma solo per punire nell’altro il destino di non essere amati.

Lo scopo di Ruben è che il padre giaccia con la madre. Vista così è uno scopo frustrato. Vista invece nell’ottica che Giacobbe non ha mai amato Lea, sembrerebbe uno scopo mai raggiunto. Si tratta comunque di uno scopo attivo e perseguito. Ruben non si rassegna ad essere il figlio di un non amore. Ruben fin dal nome che porta gli brucia in petto il malanimo di Giacobbe verso Lea, la mai amata. Farebbe qualunque cosa per riparare quel dolore. E così insieme al nome sembra aver adottato anche lo scopo della madre. La storia di Lea dovrebbe essere raccontata a tutti coloro che cercano di aggiustare un matrimonio zoppicante facendo figli. Ed a coloro che chiedono soccorso ai figli per salvare un matrimonio, andrebbe scritta nelle aule dei tribunali per i divorzi sotto la legge è uguale per tutti.

Ruben è colui che pretende giustizia negli affetti. Soffre di sentimenti calpestati, patisce il torto fatto alla madre. La giustizia negli affetti possiamo leggerla come uno sovrascopo, mentre riparare il torto fatto alla madre come uno scopo strumentale. Ci potremmo chiedere quanti altri scopi strumentali possono servire il sovra scopo della giustizia negli affetti. Il quale a sua volta può essere strumentale ai più assoluti scopi dell’equità.

La scomparsa dell’eterna rivale della madre non restituì a Ruben la normalità degli affetti. Ruben giacque con Bilhà, concubina di suo padre. Nella foga di offendere Giacobbe, di punirlo proprio in quel suo letto sempre ostile alla madre, forse c’era anche la speranza di rendere odiosa la nuova preferita. Forse Giacobbe avrebbe aperto gli occhi e avrebbe visto nella madre la prima e vera moglie. Ma ciò non avvenne e così la delusione dell’aspettativa diventa un’aggravante della sofferenza. Possiamo dire che Ruben non sia stato quindi un buon previsore, in quanto sacrifica il privilegio solenne della primogenitura assumendo su di sé una colpa che vuole essere un castigo. Supponiamo che un privilegio così grande avesse previsto di non perderlo a vuoto.

La rabbia di Ruben: La collera che sdegna ogni prudenza

Qual è la rabbia di Ruben? E’ il rancore per la madre offesa. Il torto è l’ingiustizia. La vittima del danno non è Ruben stesso ma sua madre. È quindi solo una rabbia altruistica? Potrebbe esser anche una rabbia etica-deontologica, verso chi non rispetta l’ordine dato, e Giacobbe non rispettò Lea, prima moglie.

Ruben sembra passare attraverso due tipi di rabbia. Comincia con una rabbia costruttiva, con cui cerca di far cambiare le cose, ad esempio portando le mandragore a sua madre e confidando nel potere di fertilità di questo fiore. Poi passa a una rabbia distruttiva in cui c’è la foga di offendere Giacobbe, Ruben qui è esasperato e ritiene intollerabile l’affronto a sua madre. La collera che sdegna ogni prudenza gli chiedeva sfogo.

Ruben si arrabbia in quanto ritiene che la causa del torto sia suo padre piuttosto che il fato o il destino non tenendo conto che A colui che carpì la primogenitura, toccò in sorte la frode parallela di un’indesiderata primogenitura per moglie. Ruben ritiene che il torto è stato intenzionale; ritiene che suo padre aveva un dovere di protezione nei suoi confronti, prima ancora che nei confronti di Lea.

Ruben è il portabandiera dei non amati che si incaponiscono e restano lì tutta la vita in attesa di un riconoscimento che non arriva mai, forse proprio perché non arriva. La rabbia di Ruben si iscrive tutta nel sistema motivazionale di attaccamento/accudimento. Rimanere rabbiosamente attaccati a chi non ama e non essere consolabili da nessun altro amore genera un intero capitolo trasversale della psicopatologia.

Ecco che forse giungiamo a comprendere qual è la giustizia negli affetti, non solo l’amore di Giacobbe verso la madre, ma anche verso suo figlio. Giacobbe aveva il dovere di occuparsi di lui e di proteggerlo.

 

La colpa di Ruben: Assume su di sé una colpa che vuole essere un castigo

Ruben è in colpa ma non si sente in colpa. Fu un gesto compiuto deliberatamente, per esasperazione, ma anche per giustizia. Non si pentirà per averlo commesso. Eppure c’è un autorità depositaria di valori e norme al cui cospetto Ruben ha commesso ciò che è male, ha adottato una condotta socio morale sbagliata. Il male è rappresentato sia da un danno a terzi, sfidando la collera di Giacobbe, sia dalla violazione di norme, sfidando l’onore del padre. Per lo meno dovrebbe provare un senso di colpa deontologico.

Tuttavia in qualche modo Ruben si difende dal senso di colpa con alcune delle strategie tipiche: rivolge a Giacobbe accuse o rimproveri, attribuendo a lui la responsabilità del danno o della trasgressione e getta discredito sulla vittima.

Non vediamo in Ruben la tendenza a riparare al male commesso, non si pentirà per averlo commesso, quanto piuttosto la tendenza a ricercare la punizione assumendo su di sé una colpa che vuole essere un castigo.  Questo castigo che funzione ha? Ristabilire l’equilibrio di potere tra la vittima e il colpevole? Restituire il potere di cui il colpevole ha indebitamente privato la vittima? La restituzione avverrebbe qui riducendo il proprio potere, sacrifica il privilegio solenne della primogenitura. Sarebbe avvenuta se Giacobbe non lo avesse perdonato. Il perdono di Giacobbe, per un certo verso è l’ennesimo atto aggressivo in quanto rende inutile tutta la missione di Ruben.

 

Breve riflessione culturale

L’incesto non è reale nel caso di Edipo: materiale sì, ma non reale. Nel senso che Edipo si innamora, sposa e giace con Giocasta, regina di Tebe, rimasta vedova del marito Laio ( morto per mano di Edipo ), senza sapere che ella è in relatà la sua vera madre ( e il re morto il suo vero padre ).

Diversamente, Ruben si macchia di un reato simile con consapevolezza! E’ consapevole che giacerà e giace con la “matrigna” solo ed esclusivamente per fare un torto al padre, credendo di poter riscattare così i tanti anni di dolore materno.

Ruben è calcolatore: programma l’attentato al padre e non si pente. Edipo, diversamete, ignaro della storia della sua vita, nel momento in cui apprende del misfatto con la madre vera e dell’indiretto torto fatto a suo padre naturale, se ne vergogna da morire e si acceca addirittura per la vergogna; si autopunisce per espiare.

In un contesto come la cultura greca in cui il modello (sia divino che terreno) proposto è di tipo pagano, abbastanza libertino e promiscuo (vedi in primis gli dei, tra loro e con gli uomini), Edipo invece ha un’umanità abbastanza morale/educata da subire il suo modo di comportarsi. Un anticipatore del senso (dogmatico) cristiano, potremmo dire.
Ruben, che è un diretto antenato della nostra formula di famiglia cristiana, tradisce, viene meno ad uno dei comandamenti (posteriori ovvio) principali come onora il padre e la madre, macchiandosi di un doppio peccato per il quale (o quali) non prova alcun tipo di rimorso (potremmo definirlo una sorta di delitto d’onore, che è sì un retaggio della cultura moderna ma che può trovare un senso già in un testo sacro e antico come la Bibbia).

 

Considerazioni conclusive

Concludiamo con una tabella esemplificativa di quella che da adesso definiremo Configurazione Rubenica.

TAB.2 Il complesso di Ruben-rivisitazione cognitivista di un personaggio biblico

 

 

LEGGI ANCHE:

Psicologia e Filosofia

Psicoanalisi e Terapie Psicodinamiche

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Castelfranchi, C., Mancini F., Miceli M. (a cura di) Fondamenti di cognitivismo clinico. Ed. Bollati Boringhieri, 2001 ACQUISTA
  • Castelfranchi, C. (2005) Che figura. Emozioni e immagine sociale. Ed. Il Mulino
  • De Luca, E. (1994) Una nuvola come tappeto, Ed. Feltrinelli
  • La Bibbia di Gerusalemme
  • Monaco, G., Casertano, M., Nuzzo, G.(1997) L’attività letteraria nell’ antica Grecia, Storia della letteratura greca, Ed. Palumbo.
  • Mancini, F., Gangemi, A. (2004) L’influenza del senso di colpa sulle scelte. Cognitivismo Clinico. Giovanni Fioriti Editore ACQUISTA
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