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Tra diagnosi e interventi intensivi precoci: report dal convegno Autismi- Rimini, 14 e 15 novembre 2014- I parte

Nella prima giornata del convegno Autismi, l'importanza di diagnosi ed interventi precoci è stato uno dei temi focali. Diversi gli esperti a confronto.

Di Ilaria Cosimetti

Pubblicato il 20 Nov. 2014

SESSIONE PLENARIA DEL VENERDI’

Il 14 e 15 novembre si è tenuto a Rimini il convegno Autismi, nel quale sono state affrontate tematiche quali le novità dalla ricerca scientifica nel campo dell’autismo, i percorsi di formazione specifica per i vari operatori e le proposte operative per scuole e servizi. 

La plenaria di venerdì si apre con il contributo di Selene Colombo, autrice, regista e produttrice di Ocho pasos Adelante, un documentario che racconta la storia di 5 bambini argentini autistici, attraverso le parole dei familiari e la ripresa di vari momenti del percorso terapeutico che li coinvolge. Il film ha lo scopo principale di sensibilizzare le famiglie, i pediatri e gli educatori di nido, circa l’importanza di una diagnosi precoce, resa possibile da semplicissimi questionari di screening, come la M-CHAT, rivolti a bambini di soli 18 mesi. Scena madre del documentario è infatti quella in cui soggetto della checklist è una bambina neurotipica di un anno e mezzo per sottolineare ulteriormente quanto già a questa età i profili di sviluppo si differenzino a tal punto da rendere possibile effettuare una diagnosi di autismo.

Il Professor Zappella, direttore scientifico della rivista Autismo e disturbi dello sviluppo, introduce un secondo contributo in merito a valutazione e diagnosi, sottolineando l’importanza di un approccio dinamico che segua il percorso di crescita dei bambini e la necessità di offrire un contesto di valutazione facilitante poiché gli autistici hanno un’enorme sensibilità nei confronto dell’ambiente. I test diagnostici peccano a suo parere proprio di eccessiva staticità e possono delineare profili poco attendibili. In linea con queste premesse anche i video del bambino effettuati dai genitori assumono un ruolo centrale nel percorso di valutazione e diagnosi. Anomalie nel funzionamento del SNC sono infatti già ipotizzabili osservando i movimenti degli arti di neonati (general movements).

Lucio Cottini, Presidente della Società Italiana di Pedagogia Speciale, organizza il suo discorso intorno a 4 concetti chiave fondamentali per una scuola inclusiva: programmazione, organizzazione, didattica speciale e compagni di classe.

In primo luogo ogni alunno autistico merita una programmazione educativa che sia orientata all’inclusione e sia in linea con il percorso valutativo e riabilitativo del minore. La rigidità organizzativa della scuola ostacola spesso la qualità dell’apprendimento di un alunno autistico. Sarebbe utile non solo prevedere un adattamento del materiale didattico secondo le specifiche esigenze ma anche un’organizzazione dell’ambiente fisico della classe che preveda lo spazio per il lavoro individuale e quello per le attività nel piccolo gruppo.

Ad oggi sono moltissime le risorse della didattica speciale a cui attingere. Supporti come il video modeling si stanno dimostrando utili nel facilitare l’apprendimento. La scuola dovrebbe mostrarsi più flessibile nell’accogliere nuovi strumenti educativi.

Infine, affinché i compagni di classe siano effettiva risorsa, gli insegnanti devono impegnarsi per garantire un clima positivo e non competitivo, promuovere un insegnamento cooperativo che preveda anche momenti di tutoring tra pari.

Marco Bertelli, Psichiatra e Direttore Scientifico del CREA (Centro Ricerca E Ambulatori), ci illustra il problema della diagnosi differenziale tra autismo e disabilità intellettiva. Quest’ultima andrebbe considerata come un raggruppamento metasindromico e l’autismo come una condizione con disfunzioni cognitive specifiche. Ne deriva la necessità di rivedere il concetto di QI come criterio diagnostico per puntare a valutazioni quanto più possibile mirate alle diverse abilità cognitive. Ad oggi gli strumenti diagnostici risultano carenti proprio in questo.

L’importanza di valutazioni più mirate è dettata anche dal fatto che le debolezze cognitive determinano una specifica vulnerabilità psicopatologica. L’autismo per esempio è a rischio maggiore rispetto alla popolazione neurotipica per depressione, mania, e disturbi alimentari.

Un’accurata caratterizzazione del soggetto può quindi costituire un fattore protettivo e può altresì permettere di individuare punti di forza e ambiti di soddisfazione personale nell’ottica di una promozione globale del benessere della persona.

La parola passa poi a Filippo Muratori, Ricercatore presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris, che dedica il suo intervento all’importanza di una diagnosi precoce, dal momento che l’espressione comportamentale che conduce spesso un bambino all’osservazione neuropsichiatrica emerge a seguito di una condizione neurobiologica preesistente. Saper individuare quanto prima gli indizi di uno sviluppo atipico permetterebbe un intervento così precoce da sfruttare al meglio la plasticità neuronale che caratterizza un cervello nei primi anni di crescita.

Anche prima dei 18 mesi è infatti possibile ricavare dati significativi osservando il pianto, la motricità e lo stile di interazione. Raggiunto il traguardo dell’anno e mezzo è obbligo sanitario saper riconoscere bambini con possibile DSA. Strumenti di screening come il questionario M-Chat, a cui si è gia accennato, unitamente ad accurati colloqui con i genitori, dovrebbero essere più che sufficienti a garantire questo scopo. I trattamenti che si mostrano più efficaci sono infatti quelli precoci, unitamente all’inclusione in classi regolari ed al coinvolgimento attivo della famiglia nel percorso terapeutico. Chiude l’intervento denunciando percorsi troppo lunghi e tortuosi dal momento della diagnosi all’accesso ad un percorso terapeutico, ritardando così l’età di presa in carico.

Giacomo Vivanti, Psicologo e Ricercatore alla Trobe University, ci parla di Autismo come un disturbo dell’apprendimento sociale e ci mostra con orgoglio il risultato di anni di ricerche in questo campo.

Le difficoltà dei bambini autistici ad apprendere non dipendono solo da ragioni motivazionali ma soprattutto da un modo diverso di elaborare e quindi interagire con la realtà. Per esempio a loro manca la propensione ad imitare spontaneamente quello che fanno gli altri. Il ricercatore ne offre una spiegazione mostrandoci, grazie all’eye-tracking, i diversi percorsi dello sguardo di un bambino autistico rispetto a quelli di un neurotipico. Mentre quest’ultimo segue naturalmente lo sguardo altrui, un autistico tende a dirigere la propria attenzione visiva verso elementi meno salienti del contesto. Segue anche un breve video di un momento di terapia che lo vede coinvolto con una bimba secondo il modello dell’ESDM (Early Start Denver Model).

Chiude la mattinata di convegno Gianluca Nicoletti, giornalista e padre di Tommy, un ragazzo autistico che denuncia la difficoltà di rendere tutto ciò di cui si è parlato fino ad ora significativo in termini di efficienza istituzionale.

 

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