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Amato maledetto figlio mio – Centro di Igiene Mentale – CIM n. 11 – Storie dalla Psicoterapia Pubblica

Cim - Ep. n.11 - Storie della Psicoterapia Pubblica - Percorso di riabilitazione di Mario: paziente in bilico tra follia, tossicodipendenza e devianza.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 02 Set. 2014

 

 

CIM – CENTRO DI IGIENE MENTALE – #11

Amato maledetto figlio mio

 

Il susseguirsi delle urgenze favorì un immediato reinserimento senza troppi convenevoli. Non necessitavano nuove scrivanie e sedie, come tutte le risorse sempre carenti e al centro di dispute e polemiche. Quelli erano operatori di strada o, meglio, di macchia e di riviera, come amava ripetere Biagioli che, per quanto preoccupato per la loro non facile gestione, era orgoglioso di loro e di esserne stato il formatore.

Mario, ventitre anni, era bello come James Dean con i suoi lunghi capelli biondi e l’azzurro degli occhi che annegava chi lo guardava. Condivideva con James Dean un’ aura di fragilità che evocava un destino tragico che lo aveva preceduto e lo accompagnava nel suo faticoso arrancare sui sentieri dell’esistenza. Durante la sua gravidanza, periodo che si immagina protetto tiepido, acquoso, dai rumori ovattati e i colori pastello, fuori da quel sacco era tempo di tragedie.

Margherita la sua unica sorellina che lo aveva preceduto di tredici anni dall’aspetto di una madonnina di Raffaello vedeva contemporaneamente i seni premere sulle camicette a fiori e gli occhioni azzurri come i suoi sporgersi dalle orbite premuti da un emangioblatoma che cresceva al ritmo della pubertà e, forse per rispetto della sua giovinezza, ne stravolse la nascente bellezza solo per tre mesi con un’ orrenda agonia prima di restituirle una immobile compostezza e forse la pace. Adriana, la madre allora venticinquenne aveva odiato quell’esserino che le si annidava in grembo come se la sua vita l’avesse rubata a Margherita. Il giorno, mille volte stramaledetto, che vide la luce intorno c’erano soltanto pianto, urla, bestemmie e processioni di parenti e vicini venuti a salutare Margherita. Come per tutto il resto della sua vita il padre Oreste non c’era. Allora perché mesto accompagnatore della amata figlioletta al camposanto. In seguito perché anestetizzato nei bar della zona. Infine pacificato dalla motosega che incidentalmente (?) sfuggitagli alla presa non più salda lo aveva aggredito alla gola.

L’infanzia di Mario si era fatta strada tra il lutto della sorella e le prese in giro degli amichetti che lo chiamavano Rito per l’evidente somiglianza con la sorellina la cui bellezza era ancora nella mente di tutti. Forse nel suo animo davvero desiderava restituire ai genitori inconsolabili ciò che avevano perduto. Quando lo sbeffeggiavano come frocio reagiva picchiando sodo, aveva imparato i colpi giusti. Però la notte ricordava il corpo del rivale stesso a terra schiacciato dal suo più alto e robusto e quel mischiarsi di umori (sudore, sangue e saliva) gli induriva il pisello e scatenava la fantasia.

Quando il CIM fu chiamato per l’ennesima bravata di Mario la sua carriera in bilico tra follia, tossicodipendenza e devianza era saldamente consolidata. Il primo ricovero in SPDC aveva fatto notizia perché non ancora maggiorenne. La polizia era accorsa chiamata dal parroco di Sant’Eusemio con il naso rotto da una testata nella sua camera da letto dove a sua detta Mario era stato sorpreso a rubare le offerte dei fedeli. Il ragazzino sosteneva la legittima difesa. Arrestarlo avrebbe comportato un processo e tanti pettegolezzi e così per il decoro del paese e poggiandosi sullo stato di grande agitazione in cui Mario fu trovato si scelse l’opzione ricovero. Dopo la dimissione Mario che aveva lasciato l’istituto tecnico per scarso rendimento decise che se il suo corpo era tanto appetibile sarebbe diventato la fonte di sostentamento per lui e la madre ormai vedova. I più maligni sostenevano che spesso Adriana gli desse una mano sul lavoro fornendo un “prendi due paghi uno” assolutamente originale e appetibile.

Certo è invece un particolare che Mario raccontò al dr Cortesi durante gli incontri di psicoterapia che si prolungarono per dieci mesi. La motivazione non era a lui chiara perché la madre ne alternava almeno tre. Da un lato il tentativo di ricondurlo sulla giusta strada. Dall’altro la necessità di mantenere unita la famiglia nell’affetto ora che erano rimasti solo loro due. Infine l’insegnamento delle tecniche più raffinate che avrebbero aumentato il suo valore di mercato. Quale che ne fosse il motivo Adriana e Mario avevano una intensa attività sessuale tradizionale ma con molti aspetti che potremmo definire sperimentali agevolati da l’utilizzo di droghe quali alternativamente cocaina e cannabis e ansiolitici generosamente prescritti dal dr. Lifanti medico di famiglia e soprattutto cliente assiduo della coppia.

Mi rendo conto che la descrizione dei fascinosi personaggi ha fatto trascurare il motivo della chiamata del CIM. Rimedio subito. Mario era un assiduo frequentatore dei bar della zona dove lo chiamavano “ Stino” in onore del padre Oreste, uno dei migliori clienti di tutti i tempi ma anche del camposanto. Al primo incontro con Cortesi esibiva un giubetto jeans con cucita una “M” di bronzo. Adriana che si disperava per la follia e la cattiveria del figlio chiedendo di esserne liberata con un ricovero definitivo con tanto di chiave buttata per sempre ne spiegò la provenienza per certificare la sua follia. Era una lettera della tomba di Margherita che quel pazzo delinquente aveva staccato dalla lapide. Marco Polti attento osservatore che ben conosceva i lavori domestici a motivo di una moglie vetero femminista sottolineò come Mario avesse fatto un ottimo lavoro di cucito. Adriana non potè trattenersi dal prendersene il merito e vezzosa disse di averlo fatto lei perché tanto ormai la lettera era stata divelta. Marco da quel momento si convinse che la follia scorreva come un fiume carsico soprattutto nella testa di Adriana anche se spesso emergeva in superficie nel comportamento di Mario.

Ma torniamo ai fatti. Il CIM era stato chiamato dai carabinieri per un gesto ben più grave e inspiegabile. Mario era stato sorpreso da Raniero il becchino inquadrato come guardia municipale mentre insieme ad altri tre tossici scavava con una vanga ed un piccone sopra una fossa. La cassa profanata era quella della signora Amilda Terrieri di cui era appena stato celebrato il trigesimo in cattedrale essendo la vecchia madre del parroco di Sant’Eusemio. I tre tossici confessarono subito che lo avevano fatto perché Mario aveva raccontato di come la vecchia fosse stata seppellita con tutti gli onori e molti dei gioielli della sua famiglia di latifondisti da cui non voleva mai separarsi. In fondo non avrebbero fatto del male a nessuno ed era un vero peccato che quelle ricchezze si perdessero impastate nei liquami della putrefazione della vecchia. Mario, seduto dinnanzi al commissario sbalordì all’accusa di tentato furto ciondolando la testa in segno di diniego tra le due lunghe gambe in jeans divaricate. Il respiro affannato, le lacrime che salivano. La rabbia di non essere compreso e degradato a ladruncolo. All’arrivo trafelato di Adriana in pantofole e tuta rosa svegliata all’alba da un agente trovò le parole per spiegare. Amilda dal momento della sua morte lo tormentava seguendolo ovunque. Voleva un congiungimento carnale con lui che, per esplicita affermazione del suo figlio prete che l’aveva provato, gli avrebbe restituito la vita.

A Mario non restava dunque che il trattamento riservato ai vampiri. A riprova di quanto diceva mostrò il paletto acuminato di frassino fresco che andava piantato due centimetri sotto il cuore con un mazzuolo di legno. Non fu scomodato dunque il procuratore della repubblica ma il CIM. Luigi Cortesi appena ricostruita sommariamente la storia si appassionò alla vicenda intravedendo elementi simbolici archetipici che avrebbero estasiato i membri junghiani della commissione d’esame e temi espliciti di edipo non risolto e agito con una stabile pratica incestuosa che avrebbero soddisfatto i più tradizionalisti freudiani. Cortesi da anni si stava preparando per l’esame di ammissione alla società unitaria di psicoterapia psicodinamica e un trattamento del genere non se lo sarebbe mai lasciato sfuggire. Per vederlo due volte a settimana era disposto ad andarci domiciliarmente. Marco Polti invece, convinto che la sorgente della follia fosse la madre proponeva un allontanamento in comunità terapeutica. Un rapporto privilegiato si era creato da subito tra Mario e il bel Antonio Nitti. Li univa la scaltrezza, la capacità di arrangiarsi senza troppi scrupoli per le norme etiche e legali e soprattutto la grande bellezza, più maschia quella di Antonio, ambigua e inquietante quella di Mario. Non si può dire che fossero diventati amici perché l’intento di Antonio rimaneva terapeutico riabilitativo. Tuttavia per come intendevano la riabilitazione territoriale gli ex di “Villa Santovino” poco si distanziava da un allenamento alla vita normale in contesti normali se il termine “normale” ancora ritaglia un terreno specifico all’interno del “possibile”.

In particolare Antonio cercava di sviluppare quelle capacità che avrebbero garantito a Mario una vita quotidiana autonoma in assenza della madre. Per la di lei dipartita infatti pregava incessantemente Polti, ben agganciato con il padreterno, dopo che il suo progetto di comunità terapeutica era stato bloccato dalle brame psicoterapiche di Cortesi. Due mattine a settimana Mario andava al corso di informatica, il pomeriggio studiava inglese con Antonio che doveva perfezionarlo per un business di reperti archeologici che aveva avviato con una sua ex che ora viveva a Londra. Aveva fatto in modo che la ASL finanziasse un corso per Mario, di cui lui risultava accompagnatore alla Redford school di Vontano.

Ad aumentare la confusione contribuiva decisamente Giulio Renzi mosso dalla costante preoccupazione di incrementare il suo potere all’interno del CIM e della ASL e in definitiva arrotondare lo stipendio di infermiere inadeguato al tenore di vita atteso. Nella sua stanza al sindacato di cui stava scalando la gerarchia passava i pomeriggi con la mente in ebollizione alla ricerca dell’idea che gli avrebbe permesso la svolta decisiva che attendeva da anni, meritato riscatto di una infanzia di povertà ed umiliazione. Non provava alcun senso di colpa a barare al gioco. Si riprendeva semplicemente quello che gli era stato tolto, anzi comunque restava in credito. Le auto costose e le donne ancora più costose non riequilibravano la bilancia per quegli anni passati in orfanatrofio dopo che la mamma li aveva lasciati per la mamma di un suo compagnuccio delle elementari ed il padre ne era morto di crepacuore o forse di vergogna tre mesi dopo. Sapeva che quello che comprava era sesso e lusso ma non placava la sete d’affetto, era un sentimento finto, simile all’apparenza ma fasullo dentro. Al contrario la ferita dell’umiliazione leniva effettivamente il suo bruciore con l’esercizio sadico del potere. Per lui era chiarissimo che “comandare è meglio che fottere”.

Nella stanza satura del fumo delle sigarette che si consumavano poggiate nel posacenere le idee si accumulavano sulla lavagna prima di essere vagliate rispetto ai criteri di vantaggio personale, fattibilità e rischiosità legale per arrivare ad una scelta. A Mario avrebbe proposto una pensione di invalidità civile per schizofrenia. Era anche certo che oliando adeguatamente l’ingranaggio della commissione medica (con un contributo pari a sei mesi di pensione) si sarebbe potuto ottenere anche l’indennità di accompagnamento. Una volta che ci si mette le mani bisogna pensare in grande e non accontentarsi. In fondo anche Adriana, al contrario di quello che pensava quel comunista di Polti, cos’altro era se non una povera vedova con un figlio gravemente malato, una depressione mai superata per la morte della figlia ed una serie di acciacchi che sicuramente dei medici motivati adeguatamente avrebbero saputo scovare e certificare? Non c’era bisogno di mettere sempre mani al portafoglio, molti medici della ASL erano in debito con lui e con il sindacato e molti altri contavano sulla sua mancanza di memoria per antichi fatti che preferivano dimenticati.

Quando gli venne l’idea che chiudeva il cerchio perfettamente sentì il bisogno di congratularsi con se stesso e uscì per un caffè. Si contemplava nello specchio alle spalle del barista tra una bottiglia di Campari e una piramide di arance. Sobbalzò interrompendo l’estasiata contemplazione di sé vincente quando Biagioli gli bussò sulla spalla. Sentendo arrossirsi all’idea sciocca che il capo potesse leggergli nella mente si cavò d’impaccio ordinando subito per lui un altro caffè mostrando una esagerata confidenza col barista. L’idea prevedeva una doppia pensione per Adriana e Mario e per quest’ultimo anche il sussidio di accompagnamento. Per sfuggire ad eventuali problemi con la legge Mario sarebbe dovuto essere dichiarato “incapace di intendere e di volere” e Giulio stesso si sarebbe offerto di esserne il tutore legale. Avrebbe svolto quel ruolo paterno di garante delle regole che a Mario tanto mancava. Avrebbe amministrato le loro finanze. Mentre ascoltava l’esposizione del progetto Adriana capì dall’ammorbidirsi del ghigno di Giulio in un quasi sorriso che se fosse stato talvolta necessario un suo impegno anche nel ruolo di marito, non si sarebbe tirato indietro. Certo avrebbe preferito che fosse stato l’altro infermiere, Antonio Nitti, a farle questa proposta.

Sospesa l’attività sessuale col figlio, aveva ripreso a toccarsi di recente proprio fantasticando questo giovanottone che girava sempre per casa. Ma forse era troppo giovane, Giulio sarebbe andato benissimo. Sullo sterrato davanti alla casa di Mario la panda con le insegne della Asl era ormai una presenza fissa. Due volte a settimana per la psicoterapia del dottor Cortesi. Altre due volte veniva lasciata lì tutto il giorno da Antonio perchè lui e Mario preferivano andare a Vontano per il corso alla Redford con la moto di Mario per non essere identificati come “pazzi e dintorni”. Marco Polti che era stato esentato dopo esplicita richiesta da qualsiasi contatto con la madre che gli procurava eczemi resistenti al cortisone di chiara origine psicosomatica, era incaricato del recupero di Mario quando si perdeva nei bar della zona rischiando il coma etilico. Per Cortesi si trattava di una affannosa ricerca delle radici paterne di significato terapeutico. Per Polti di semplice alcolismo da dirottare volentieri sul Ser.T.

La vecchia Panda proiettava talvolta la sua ombra sulla bianca ghiaia anche in alcune notti di luna. Se troppo agitato o ubriaco Mario sapeva essere sgradevole e Adriana temeva di restare sola con lui. Lo riempiva di medicine moltiplicando per 6 il doggio consigliato. Poi però si spaventava che la combinazione con l’alcool potesse essere pericolosa e chiamava il CIM. Il compito di passare la notte a sorvegliare il dormiente e rassicurare la madre spettava normalmente a Giulio Renzi. In una di queste notti capitò un buffo incidente per cui tutto l’ospedale rise alle spalle del CIM. Giulio aveva fumato l’ennesima sigaretta sullo sterrato essendo vietato tassativamente da Adriana farlo dentro. Sentendosi ormai di casa, prima di sdraiarsi sul divano in soggiorno su cui sosteneva di passare le notti che venivano pagate come straordinario notturno (era per questo che si offriva) aveva scolata tutta la bottiglia di Fanta che si trovava in frigo. Ignorava che vi fosse stato versato l’intero flacone di Serenase gocce pari a 20 milligrammi di Aloperidolo. Ebbe una crisi neurodislettica gravissima con tutti i sintomi extrapiramidali e una rigidità muscolare che rischiò di bloccargli la respirazione. Fu Mario, svegliato dalla madre, a vegliare premuroso su di lui e a chiamare l’ambulanza che lo portò rigido come un baccalà essiccato al pronto soccorso. In seguito gli fu riconosciuto dall’INAIL come incidente sul lavoro. Per questo intentò una causa di servizio. Avrebbe volentieri rinunciato a questi vantaggi perchè la derisione che lo seguiva dovunque nella ASL si placasse, era come sale sulle sue piaghe pregresse da umiliazione.

Nella sala comunale di Vontano si teneva la cerimonia di consegna dei diplomi di inglese della Redford School perchè Vontano era gemellato con Stratford on Avon e delegazioni comunali si rendevano ogni anno reciprocamente visita a spese dei contribuenti. Antonio e Mario (rispettivamente infermiere e paziente), i più bravi del corso, stavano in prima fila eleganti per l’occasione. Antonio stringeva la mano di Mario percorso da un’ emozione di gioia e ansia. Abbaglianti nella loro bellezza sembravano una coppia gay giunta all’agognato traguardo del matrimonio. I flash dei fotografi erano tutti per loro. Antonio pensò che ora Mario avrebbe potuto prendere il posto di stagista presso la sezione commercio con l’estero della confindustria provinciale. La psicoterapia con Cortesi sarebbe proseguita ma lui aveva portato a termine un ottimo lavoro: Mario andava in giro in moto da solo, si concedeva ai bar ed alla cosiddetta ricerca delle radici paterne solo un sabato al mese, aveva imparato l’inglese e avrebbe iniziato un lavoro a tempo determinato.

Dopo lo sputtanamento dell’esperienza di “Villa Santovino” anche lui si sentiva riabilitato. Si erano aiutati reciprocamente come sempre avviene nei rapporti che davvero funzionano. Quando, col sole già alto la panda del CIM arrivò sullo sterrato davanti casa guidata dal tutore ufficiale Giulio Renzi, dopo l’episodio della Fanta al Serenase soprannominato “il duro”, non c’era posto e dovette mettersi in seconda fila bloccando l’ambulanza, la gazzella dei carabinieri e il furgone del fratello di Adriana. Marco Politi sfidando i suoi eczemi psicosomatici stringeva in un abbraccio professionale Adriana trattenendola dal rientrare nuovamente a straziarsi l’anima sotto il pendolo che trasformava la sua vita in formale sopravvivenza. Per la prima volta al CIM con l’aiuto di un supervisore di Milano fecero quella che gli esperti chiamano “autopsia di un suicidio”.

Vulnerabilità familiare e individuale, fattori predisponenti e protettivi, corretta valutazione del rischio, eventi scatenanti, errori nella gestione del caso. Una attenta relazione firmata da Biagioli fu inviata al settore risk management aziendale. Quando Mario raggiunse Oreste e Margherita nella terra screpolata dal gelo nel camposanto anche la cartella clinica fu seppellita in quella parte profonda degli archivi dove si mettono a dimenticare i fallimenti. Nessuno di loro credeva che le terra avrebbe dovuto aspettare ancora cinque anni per riaprirsi l’ultima volta a ricomporre definitivamente la famiglia. Il ghiaccio in curva, le gomme lisce della golf, un bicchiere di troppo del giovane alla guida o, come pensarono in molti, la mano misericordiosa del padreterno pose fino a quello sgocciolio infinito di dolore.

 

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