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Silenzio e dialogo ai tempi di WhatsApp – Tecnologie e Psicologia

Tecnologia & Psicologia. Trascorrere troppo tempo a contatto con il proprio telefono può portare ansia e paura e piccole e grandi alterazioni dell'umore.

Di Gessica Iannone

Pubblicato il 30 Apr. 2014

Aggiornato il 02 Set. 2015 10:55

 

 

 

internet & whatsapp -  Immagine: © fotomek - Fotolia.comIl presente supera in velocità la nostra capacità di comprenderlo e questo è evidente per chi cerca di ragionare sulle modalità dell’ agire e dell’interagire nell’epoca post moderna,  soprattutto sul nostro divenire rispetto a spazi che si chiudono o si aprono nelle nuove tecnologie.

Da sempre, lo studio e la cura dei disturbi psicopatologici si sono occupati a fondo dell’incontro dialogico e del modo di entrare o di non entrare, in relazione con l’ altro. La crisi della comunicazione si evidenzia ormai ovunque, dentro e fuori lo spazio clinico e secondo Eugenio Borgna per approfondirla occorre affrontare “temi come quelli del silenzio e del dialogo, intesi come modalità di comunicazione, non solo linguistiche ma esistenziali”. Continua scrivendo: “Nel franare della comunicazione cambiano fatalmente l’immagine e la fisionomia del silenzio e del dialogo”.

Riporto questa citazione al tema della comunicazione, linguistica ed esistenziale, per porre un interrogativo su come sono cambiate le nostre vite da quando computer e telefonini sono diventati oggetti centrali e irrinunciabili.

Il fenomeno di questa diffusione è ambivalente, perchè si è integrato nelle abitudini socialmente predominanti, estendendosi a tutte le fasce della popolazione in un modo così rapido che risulta complesso già fin da ora prevederne gli effetti futuri.

In un breve lasso di tempo, infatti, l’avvento degli smartphone ha incrementato l’ uso d’ innumerevoli dispositivi con relative funzioni, fino a travalicare il confine netto che separa il passatempo dalla dipendenza: basta pensare al tempo che ciascuno di noi impiega su piccole e grandi piattaforme di social network.

Le ultime ricerche affermano che, indipendentemente dai vantaggi prodotti, trascorrere troppo tempo a contatto con il proprio telefono può portare ansia e paura, piccole e grandi alterazioni dell’umore che vengono indicate con il termine di nomophobia  (abbreviazione della frase non-mobile-phone fobia).

Sebbene apparentemente inappropriato, la denominazione “fobia” descrive al meglio la sofferenza transitoria legata al non avere il telefono cellulare a portata di mano e alla paura di perderlo. Solo riconoscendo il vissuto relativo alla separazione da un oggetto che custodisce un mondo emozionale di desideri e sentimenti è possibile intravedere le forme ansiose tipiche di ogni separazione. Allenandoci a riconoscere quando la tendenza al controllo della comunicazione diventa controllo della relazione, possiamo aiutare le persone a vedere la pericolosità  dell’ imperativo che le costringe  a raggiungere in ogni momento e in ogni momento  ad essere raggiunte.

Una delle caratteristiche della nomofobia, ad esempio, è proprio quella sensazione di panico che coglie all’idea di non essere rintracciabili. Si accompagna a questo la necessità di un costante aggiornamento sulle informazioni condivise dagli altri e la consultazione del telefono in ogni momento e in ogni luogo, anche quelli più intimi come il bagno, la camera da letto o lo spazio di una seduta in terapia.

Senza entrare nell’area dei disturbi del comportamento presenti nelle dipendenze, il controllo eccessivo sull’oggetto telefono porterebbe così ad instabilità dell’ umore, aggressività e, non ultima,  difficoltà nella concentrazione, con maggiore vulnerabilità per i giovani.  Nella quinta e ultima edizione del DSM, le diagnosi di abuso da sostanze e dipendenza hanno ceduto il posto alla nuova categoria dipendenze e disturbi correlati; fra le dipendenze comportamentali è stato richiesto l’inserimento dell’Internet Addiction Disorder (IAD), condizione caratterizzata da un forte desiderio di connettersi al Web, con un tempo trascorso on line tale da compromettere la propria vita reale. Pur non avendo dati sufficienti per rendere ufficiale tale inserimento, questa diagnosi è stata inserita in appendice, con lo scopo di promuovere studi sull’argomento; è auspicabile raccogliere dati interessanti su nuovi e importanti fenomeni, sia normali che patologici.

Noi, dal canto nostro, possiamo osservare il fenomeno ed essere pronti a riconoscere da un lato la pericolosità di una dipendenza, dall’ altro il valore di un dialogo anche virtuale, se questo consente di uscire dal silenzio di una solitudine altrimenti incolmabile.

 

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