Il conflitto pt. 3
Il conflitto: componenti e processi cognitivi.
LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2
La percezione che le azioni e opinioni altrui siano erronee e irrealistiche (ovvero dettate da bias) e che le proprie siano al contrario veritiere ed oggettive, gioca un ruolo importante nella progressiva evoluzione verso l’escalation nei conflitti interpersonali.
La caratteristica saliente dell’escalation a livello cognitivo è rappresentata dal fatto che gli agenti presentano una estrema polarizzazione delle proprie opinioni e posizioni (Winstok e Eisikovits, 2008); il meccanismo centrale della polarizzazione cognitiva è il bisogno estremo da parte degli agenti di mantenere un’immagine positiva di sé e, maggiore è tale bisogno, maggiore è parallelamente la resistenza nell’entrare in contatto con le opinioni altrui.
Il conflitto diventa una vera e propria invasione dello spazio mentale altrui (Martello, 2006b) e la relazione tende alla simmetria estrema (Arielli e Scotto, 2003). La comunicazione assume la forma di una struttura ricorsiva e gli atteggiamenti tendono a diventare simili, rispecchiandosi a vicenda (Coleman et al., 2007); il conflitto si trasforma in una gara alla conservazione del proprio vantaggio e le possibilità di uscirne senza costi o senza “perdervi la faccia” sono minime (Arielli e Scotto, 2003).
La polarizzazione del conflitto e l’escalation sono favoriti e alimentati da alcuni importanti biases cognitivi e percettivi (Anderson, Buckley e Carnagey, 2008). Con “bias” si intende una tendenza cognitiva sistematica ed erronea che permette di attribuire tendenziosamente caratteristiche positive e desiderabili a componenti salienti del proprio sé, come il proprio comportamento, i propri schemi conoscitivi, le proprie appartenenze sociali (Arcuri, 1995); per quanto erronei e parziali, i bias assolvono a importanti funzioni di salvaguardia dell’autostima, economizzazione di risorse cognitive e conoscenza sociale (ibid.).
In una recente rassegna, Pronin (2007) descrive i principali bias attivi durante i conflitti interpersonali.
Il Self-enhancement bias e il Self-interest bias svolgono entrambi una funzione protettiva nei confronti del Sé; il primo consente infatti alle persone di percepire le proprie caratteristiche di personalità come positive e desiderabili, il secondo influenza la tendenza a percepire le azioni come motivate da incentivi interni (autostima, successo) quando proprie e da incentivi esterni (ricavo economico) quando altrui. Entrambi permettono ai singoli individui di garantire una valutazione positiva alle proprie motivazioni e opinioni, mantenute e difese per la loro genuinità e veridicità, opponendole alle opinioni altrui, percepite come dettate da interessi ideologici o personali.
I bias rappresentano una fonte di ancoraggio per leggere e interpretare le informazioni provenienti dal contesto sociale e relazionale e permettono di guidare il proprio comportamento (Arcuri, 1995); essi sono già attivi durante l’infanzia, come dimostrato da una ricerca di David e Kistner (2000), in cui bambini di 8-11 anni mostravano una maggiore attribuzione di biases positivi rivolti al proprio Sé quando percepivano una maggiore accettazione da parte dei pari.
Sebbene i bias siano riconosciuti come indesiderabili, le persone tendono a non identificarli quando messi in atto da loro stesse ma, al contempo, a rintracciarli con molta facilità nelle altre persone, soprattutto in quelle con cui entrano in conflitto; le persone tendono cioè ad attribuire la presenza di bias tendenziosi solo alle azioni e intenzioni altrui e raramente alle proprie. Secondo Pronin (2007) questo errore sistematico nella percezione e attribuzione dei bias costituisce la prova del fatto che gli esseri umani, all’interno delle dinamiche relazionali, tra cui anche il conflitto, pensano e agiscono come “realisti naïf”.
Il realismo naïf consiste nella credenza da parte degli individui di vedere la realtà circostante in maniera oggettiva e senza pregiudizi; questa credenza induce ad assumere che il motivo per cui le altre persone non condividono la stessa visione del mondo e della realtà risiede nella loro mancanza di capacità o di volontà nel vedere i fatti in maniera realistica e oggettiva.
Questa attribuzione arbitraria rende inclini le persone a ritenere, come già anticipato sopra, che le opinioni altrui siano influenzate da interessi personali, ideologie, appartenenze sociali e/o politiche.
Partendo da questa base teorica, Kennedy e Pronin (2008) in un recente studio hanno esplorato l’ipotesi secondo cui la percezione che le azioni e opinioni altrui siano erronee e irrealistiche (ovvero dettate da biases) e che le proprie siano al contrario veritiere ed oggettive, giochi un ruolo importante nella progressiva evoluzione verso l’escalation nei conflitti interpersonali.
L’impianto di ricerca delle autrici prevede quattro steps.
Il primo studio ipotizza che maggiore è la percezione di distanza e divergenza tra agenti maggiore sarà la tendenza ad imputare bias alle altrui opinioni.
Il secondo esplora l’ipotesi per cui la scelta di cooperare piuttosto che di competere sia preferibilmente messa in atto quanto più si percepisce minore distanza tra opinioni.
Il terzo studio si basa sulla supposizione che l’attribuzione di bias tra due agenti sia reciproca e bidirezionale e che questo provochi un circolo vizioso tra attribuzioni negative e azioni aggressive.
Il quarto studio, infine, ipotizza che la tendenza a cooperare sia dettata dalla percezione del proprio oppositore come obiettivo e a sua volta disposto alla cooperazione, e che, al contrario, la tendenza a competere sia maggiore quando le intenzioni del proprio oppositore sono percepite come provocatorie e competitive.
In tutti e quattro gli studi i partecipanti sono invitati a esprimere il proprio grado di accordo/disaccordo su tematiche sociali o politiche importanti e a confrontarsi con alcuni oppositori non presenti ma che essi ritengono reali; le opinioni degli oppositori, divergenti a diversi gradi da quelle dei partecipanti, rappresentano in realtà la variabile indipendente degli autori e sono state create ad hoc per la condizione sperimentale. Le ipotesi iniziali delle autrici sono state tutte confermate. In particolare, i risultati permettono di affermare che:
– le persone sono inclini ad attribuire a coloro con cui entrano in conflitto la presenza di bias e a ritenere che questi errori cognitivi sistematici impediscono ai loro oppositori una visione oggettiva della realtà;
– maggiore è la distanza percepita tra opinioni proprie e altrui, maggiore sarà la tendenza a mettere in atto strategie comunicative e comportamentali competitive (tra cui l’aggressività fisica e verbale) piuttosto che cooperative;
– l’attribuzione di bias e di opinioni irrealistiche non è mai bidirezionale bensì circolare e reciproca, per cui entrambe le parti coinvolte in un conflitto ritengono che le proprie opinioni siano oggettive e scevre da bias, in maniera diametralmente opposta a quanto pensano delle opinioni altrui.
Le autrici descrivono l’escalation come una vera e propria spirale del conflitto, alimentata dalla reciproca attribuzione di bias e dall’irrigidimento sulla propria posizione; l’inclinazione a percepire le ragioni altrui come dettate da convinzioni erronee favorisce la messa in atto di strategie competitive che inaspriscono il conflitto piuttosto che portarlo a una risoluzione e questo, in maniera ricorsiva, favorisce la stessa percezione e la stessa scelta comportamentale da parte dell’oppositore, mantenendo viva la spirale dell’escalation (Pronin, 2007; Kennedy e Pronin, 2008).
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LEGGI ANCHE:
RAPPORTI INTERPERSONALI – PSICOLOGIA SOCIALE –
LINGUAGGIO & COMUNICAZIONE – BIAS – EURISTICHE
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
- Anderson, C.A., Buckley, K.E., Carnagey, N.L. (2008). Creating your own hostile environment: a laboratory examination of trait aggressiveness and the violence escalation cycle. Personality and Social Psychology Bulletin, 34 (4), 462-473.
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