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Tribolazioni 11 – L’illusione della crescita

Tribolazioni: E’ stato verificato che gli esseri umani siano più sensibili alle perdite che ai guadagni.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 16 Lug. 2013

Aggiornato il 16 Set. 2013 11:05

TRIBOLAZIONI 11

L’ILLUSIONE DELLA CRESCITA

 

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Tribolazioni 11 - L'illusione della crescita . - Immagine: ©Eisenhans - Fotolia.comE’ stato verificato sperimentalmente da numerosi ricercatori (Kahneman, Miller 1986; Kahneman, Slovic, Tversky 1982; Motterlini 2008; Castelfranchi, Mancini, Miceli 2002; Perdighe, Mancini 2008) che gli esseri umani siano più sensibili alle perdite che ai guadagni: ciò significa che soffrono molto di più per una perdita di una certa entità di quanto non gioiscano per un guadagno uguale.

E’ stato calcolato che perdere fa male il doppio del piacere che da guadagnare la stessa cifra. A motivo di ciò sono anche disposti a investire molte più risorse e a correre molti più rischi pur di evitare una perdita di quanto non lo siano per conseguire un guadagno corrispondente. Forse ciò perchè perdere significa passare da uno stato migliore ad uno peggiore e dunque la sofferenza stia nel sapere che è possibile stare meglio e in cosa ciò consista, mentre è indubbiamente minore la sofferenza di chi non gode di agi che non ha mai sperimentato. Nessuno soffre per non aver mai fumato, mentre per un fumatore è doloroso e faticoso smettere. Questa tendenza che ci rende attenti a conservare e prudenti nel correre rischi che potrebbero causarci un peggioramento della situazione ha costituito senza dubbio un vantaggio evolutivo ed è tuttora alla base dell’atteggiamento conservatore e delle strategie iperprudenziali. Ha forti influenze sull’economia, sul mercato, sulle transazioni di borsa e sul gioco d’azzardo.

Ma di queste cose si sono occupati i teorici dei giochi e gli economisti (per una esaustiva rassegna bibliografica si veda Motterlini 2008). Quello che mi preme evidenziare è come questa tendenza innata possa causare tribolazioni se associata ad un’altra ingiustificata credenza che è l’aspettativa che “il trend naturale delle cose sia la crescita”.

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Abbiamo un’attenzione selettiva verso i fenomeni nella loro fase di sviluppo e molto meno verso la loro fase involutiva. Se si pensa alla vita degli esseri umani si ha molto più presente il periodo che va dalla nascita alla piena maturità che appare lungo e denso di avvenimenti. Invece si tende a sottovalutare la durata di tutta la lunga fase involutiva. Si è talmente abituati ad aspettarsi la crescita che rispetto all’economia ci si chiede di quanto il PIL sia incrementato dando per scontato che ciò avvenga. Addirittura viene considerato un segnale allarmante la riduzione dell’accelerazione della crescita, essendo appunto scontata la crescita stessa. Forse ci si aspetta un tale andamento dai fenomeni naturali perché le piante crescono e tutte le serie numeriche, ad iniziare dall’età di ciascuno fino ai calendari possono essere incrementate indefinitivamente. Così ci si aspetta che ciò sia possibile, naturale e persino dovuto. Potrebbe sembrare non esserci alcun male in questa immotivata attesa di una crescita costante, invece c’è. Se l’attesa di crescita è data per scontata, quando necessariamente va delusa trasforma qualcosa che sarebbe semplicemente un mancato guadagno in una vera e propria perdita che abbiamo visto essere molto più dolorosa. L’illusione di crescita ci espone alla delusione della perdita. Siamo minacciati da una credenza secondo la quale “tendenzialmente il perseguimento dei nostri scopi avrà prima o poi successo”. A fronte di tale aspettativa, l’insuccesso comporterà ulteriori emozioni disturbanti:

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Accertare le credenze centrali. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com
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La prima di rabbia per essere stati privati di un diritto al successo. Molte persone sono francamente irritate dal fatto che le cose non vadano secondo le loro aspettative. Attenzione non sono solo preoccupate e tristi, il che è connesso con la frustrazione di uno o più scopi, ma proprio arrabbiate. Sembra che abbiano stipulato un contratto con una entità astratta che barando non mantenga fede agli impegni presi e li danneggi: questa rabbia costituisce una quota di sofferenza aggiuntiva quanto inutile.

La seconda emozione disturbante aggiuntiva e inutile è determinata dalla possibile autosvalutazione per il fatto di considerarsi incapaci di raggiungere ciò che è quasi naturale che accada  frustrando dunque lo scopo di considerarsi dei buoni perseguitori dei propri scopi. Se il successo è considerato facile, quasi scontato, il non raggiungerlo costituisce un vulnus maggiore alla propria autoefficacia che se si considerasse il compito difficile e il risultato incerto.

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L’illusione di crescita trasforma i mancati guadagni in perdite con una quota maggiore di sofferenza e vi aggiunge altre due sofferenze gratuite: la rabbia e l’autosvalutazione.

In conclusione siamo vittime di una bizzarra aspettativa del meglio. Forse è a motivo di ciò che tanto successo ha avuto la teoria dell’evoluzione che lo sostiene scientificamente. O forse, al contrario, è questo bias ottimistico che non ci fa vedere gli enormi costi dell’evoluzione. Probabilmente i due effetti sono sinergici e indistinguibili. Osserviamo l’evoluzione dal punto di vista delle speci che ce l’hanno fatta, dei vincitori. Ma ignoriamo i rami secchi, quelli che sono andati incontro ad involuzione e si sono estinti. Come al solito la storia è scritta dai vincitori. Tuttavia in questo caso i vincitori si procurano sofferenza dando per certa e scontata la vittoria. Questa immotivata fiducia in un positivo andamento è forse una concausa dell’atteggiamento astensionista conservatore. Esso consiste nel preferire sbagliare per non aver fatto piuttosto che sbagliare per aver fatto, come se si pensasse che non intervenendo le cose finiranno per andare nel verso giusto (Motterlini 2008). Tale atteggiamento, determinato certamente molto da scopi interni relativi alla propria identità ed efficacia, protegge dal senso di colpa verso possibili errori.

Sembra quasi che gli esseri umani siano spinti da due grandi correnti motivazionali talvolta conflittuali.

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Da un lato (più esterno) sembra decisivo perseguire i propri scopi intesi come modificazione del mondo esterno. Dall’altro (più interno) si persegue lo scopo di considerarsi capaci di perseguire i propri scopi e soprattutto di non essere responsabili di eventuali errori (questo diventa un vero e proprio antigoal).

La trappola tra queste due correnti motivazionali scatta quando si preferisce la frustrazione di uno scopo certa e dolorosa ma non attribuibile a sè piuttosto che  impegnarsi per evitarla rischiando così di doversi attribuire l’esito fallimentare.  Meglio perdere 100 per cause esterne indipendenti dal nostro intervento che 50 a motivo di un nostro intervento. La salvaguardia dello scopo dell’autostima danneggia il perseguimento dello scopo esterno. Sembra che gli esseri umani vogliano ottenere il bottino più ricco possibile ma, soprattutto, e talvolta ciò è conflittuale, “non avere nulla da rimproverarsi”. La percezione e la valutazione di sè stessi varia lungo una dimensione temporale e ciò crea un interessante e doloroso conflitto. Gli esseri umani si rimproverano di cose diverse a seconda di quale sia il tempo che osservano (Kahneman, Miller1986;Leder, Mannetti 2007;Gilovich , 1995).

Quando osservano il passato recente si crucciano soprattutto per i cosiddetti errori di commissione. Per ciò che hanno fatto, per le azioni attive (prevale il rimorso). Invece quando osservano il passato remoto, le recriminazioni che producono sofferenza sono centrate su errori di omissione, ovvero su ciò che non si è fatto e si sarebbe potuto fare. E’ questa la dolorosa esperienza del rimpianto che tanto spesso caratterizza le esistenze tribolate. L’errore che genera sofferenza è duplice:

In primo luogo ci si rimprovera di azioni non fatte in passato ma solo dopo che si è a conoscenza di come siano andate le cose.

In secondo luogo non è definibile il crinale temporale in cui il passato da remoto, dove non si vogliono errori di omissione e rimpianti, diventa prossimo, dove non si vogliono errori attivi e rimorsi.

Il cambio del criterio fa si che ciò che oggi è fatto secondo un criterio sarà successivamente giudicato con l’altro. Possiamo dire che nell’immediato le azioni sono guidate dal criterio di limitare le perdite, mantenere lo status quo e soprattutto non avere responsabilità degli eventuali insuccessi. Invece nella valutazione a lungo termine il criterio utilizzato è quello dell’acquisizione, fortemente aggravato dall’illusione della crescita. Il tentativo nel presente di limitare le colpe spalanca le porte al rimpianto per domani.

Il solo tempo esistente è il presente ma su di esso si concentrano assai poco le attenzioni. Preoccupati di costruire un futuro splendido si accumulano sacrifici e rinunce certe nel qui ed ora in vista di un’alba futura luminosa che spesso non arriva mai. Si mangiano solo uova per salvaguardare la gallina per un domani che forse non si arriverà mai. Una vita passata a lavorare per il traguardo della pensione e poi l’infarto dopo la cena di addio con i colleghi.

Il rimandare il godimento è insegnato da sin piccoli “prima il dovere e poi il piacere”, “lasciati la cosa migliore per ultima così ti rifai la bocca”.

Come i ricordi influenzano le emozioni. - Immagine: © adimas - Fotolia.com
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Quando non ci si perde con lo sguardo in un futuro che si è certi nasconda il sole dietro la nebbia, ci si rivolge al passato come all’età dell’oro, della spensieratezza, della vita piena. Quanto siano felici i bambini lo prova il tempo che passano a piangere. Certo lo fanno spesso per cose che appaiono futili ma che sono tali solo ad occhi adulti. La disperazione assoluta per aver perduto il pallone di cuoio nella scarpata non è meno legittima della sofferenza per aver perduto il posto di lavoro o un appalto vantaggioso. Il timore per l’interrogazione su Foscolo non è minore del terrore che la propria tesi cui si è lavorato per un anno sia demolita al convegno internazionale. Le prime cotte e gli amori adolescenziali non sono meno drammatici e violenti dei divorzi e dei lutti adulti. In sintesi il passato è stato doloroso, il futuro probabilmente lo sarà e si trascura il presente che è l’unico tempo esistente. Quando si osserva prospetticamente la propria esistenza la si distorce. La memoria non è un registratore oggettivo e viene utilizzata come un arma al servizio del confermazionismo (Bower 1981;Cioffi 1989; Castelfranchi, Mancini, Miceli 2002). Il fatto di avere memoria è stato selezionato dall’evoluzione e comporta dei vantaggi quali: evitare di ripetere gli stessi errori, apprendendo dall’esperienza, costruire delle mappe del mondo che permettano di raggiungere gli scopi. Il fenomeno opposto, quello dell’oblio,  si è anch’esso selezionato. Probabilmente serve a fare spazio sull’hard disk, a non tormentarsi per cose rispetto alle quali non possiamo porre rimedio (si pensi ai lutti che punteggiano l’esistenza). Si conserva solo ciò che è più importante e  il valore di un ricordo è dato dalle convinzioni attuali, dalla weltaschaung del momento che piega e modella la memoria a propria conferma, come un testimone corrotto, pronto a cambiare versione a seconda dei voleri del committente.

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Il fenomeno che merita una riflessione evoluzionistica più approfondita è piuttosto quella strana deformazione mnesica per cui le vicende passate tendono nel ricordo ad apparire belle, dolci e desiderabili producendo spesso quell’emozione dolce amara che è la nostalgia. Naturalmente mi riferisco ad eventi che nel momento in cui si vivevano avevano tutt’altre caratteristiche e magari non si desiderava altro che la loro rapida fine. In parte ciò è spiegabile con il fatto che  non si abbia nostalgia di quegli eventi ma piuttosto di sè stessi e del come si era a quei tempi. Ma forse esistono dei motivi più importanti e sostanziali. Il fatto di attribuirsi un passato bello, intenso e ricco fa si che il bilancio complessivo della propria esistenza sia in attivo e ciò spinge a proseguirla. Ingannarsi circa un grande passato, come fanno le nazioni quando tramandano la propria storia, aiuta a sopportare un presente sbilenco e ad affrontare un futuro nuvoloso. E’ un po’ ciò che fanno gli economisti che a fronte di un periodo di evidente difficoltà ampliano l’arco temporaneo di osservazione e la crisi scompare. Perchè se è vero che il PIL nell’ultimo anno è drasticamente sceso, è altrettanto vero che se si considerano gli ultimi cento anni le condizioni di vita sono molto migliorate e dunque c’è di che star contenti.

 

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