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Realtà Virtuale: Nuove Frontiere della Terapia Cognitivo-Esperienziale

La realtà virtuale in psicoterapia consente di partecipare attivamente al riconoscimento e alla consapevolezza di pensieri, emozioni e comportamenti propri

Di Redazione, Federica Rossi

Pubblicato il 09 Mag. 2013

Aggiornato il 24 Giu. 2019 12:49

di Eugenia Andreoni, Giuseppe Acerra & Federica Rossi 

 

Realtà Virtuale: Nuone Frentiere della Terapia Cognitivo-Esperienziale. - Immagine: © violetkaipa - Fotolia.comLa realtà virtuale in psicoterapia consente di partecipare attivamente al riconoscimento e alla consapevolezza di pensieri, emozioni e comportamenti propri.

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É noto come un film, un racconto per immagini, una foto abbiano, a differenza della parola, un impatto immediato e maggiore sulla nostra sfera emotiva, quindi sull’apprendimento. Quando si parla di realtà virtuale (VR) ci troviamo davanti a qualcosa di più:un ambiente tridimensionale generato dal computer, in cui i soggetti interagiscono tra loro e con l’ambiente, come se fossero realmente al suo interno (Riva, 2007).

La realtà virtuale è considerata una sofisticata interfaccia comunicativa, in cui l’utente sperimenta il ‘senso di presenza’: “l’esserci, cioè la sensazione di essere all’interno del mondo sintetico generato dal pc” (Riva, 2009). Secondo Antinucci (1998) “la realtà virtuale permette di conoscere il mondo mediante un apprendimento di tipo senso motorio, più naturale nell’essere umano, rispetto all’apprendimento di tipo simbolico- ricostruttivo, mediato dal linguaggio e dalla scrittura“. La storia di questo strumento in ambito medico ha inizio quando, nel 1989, Jaron Lanier coniò il termine ‘Virtual Reality’ e fondò la Prima Compagnia di Ricerca sulla realtà virtuale, la VPL Research. Nel giro di un paio di anni, l’utilizzo di questo mezzo fu esteso al campo della psicologia, e furono pubblicati i primi articoli delle ricerche sull’utilizzo della realtà virtuale all’interno dell’assessment e di protocolli di trattamento psicologici (Rothbaum et al. 1995; North, North & Coble, 1997).

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Una ricerca sulla banca dati EBSCO nella collezione ‘Psicologia e Scienze del Comportamento’ con la parola chiave ‘virtual reality’ riporta 2 articoli fino al 1990, 29 al 1995, 135 al 2000, 454 al 2005 e 859 a oggi.

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A proposito di concretezza, cosa intendiamo nello specifico parlando del mezzo realtà virtuale? La strumentazione base è costituita da un pc con software dedicato a scenari 3D al quale collegare:

  • un joy-pad;
  • un dispositivo di visualizzazione (casco o occhialini);
  • uno o più sensori di posizione e di movimento (tracker).

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Grazie a questi strumenti si può parlare di realtà virtuale immersiva, la quale permette al soggetto di provare un senso di assorbimento sensoriale nell’ambiente tridimensionale. La realtà virtuale consente pertanto di sperimentare un rilevante coinvolgimento grazie al ‘senso di presenza’ provato all’interno degli scenari virtuali, e costituito da:

  • proto presenza: possibilità di movimento corporeo e interazione;
  • presenza nucleare: percezione di un ambiente vivido;
  • presenza estesa: percezione di elementi significativi per il soggetto.

Le caratteristiche di funzionamento del mezzo possono essere assunte in tre punti:

  1. Il soggetto immerso nello scenario virtuale osserva fenomeni e comportamenti;
  2. Può intervenire con la propria azione all’interno della scena;
  3. Può osservare in loco gli effetti dei propri comportamenti e modificarli nuovamente, considerando via via le diverse conseguenze.

Così facendo possono ripetersi cicli di percezione e azione, ciascuno operante sul risultato dell’altro. La conoscenza e il cambiamento si ottengono dal fare esperienza nel qui e ora.

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La principale opportunità offerta dalla realtà virtuale all’interno di un percorso psicoterapico consiste, pertanto, nella possibilità di partecipare attivamente al riconoscimento e alla presa di consapevolezza di pensieri, emozioni e comportamenti propri, in situazione.

 È questo uno dei vantaggi della realtà virtuale, ma anche il punto di condivisione con la terapia cognitivo-comportamentale: la visione del paziente come attivo costruttore della propria esperienza, e quindi del cambiamento. Posti a confronto con i tradizionali protocolli terapeutici, gli interventi con ambienti virtuali mostrano numerosi punti a favore.

I vantaggi possono essere identificati in tre principali possibilità innovative:

  • lo psicoterapeuta può realizzare l’assessment in situazione con il paziente, costruendo la gerarchia degli stimoli ansiosi all’interno degli scenari virtuali, per poi pianificare ed effettuare programmi di desensibilizzazione, esponendo il soggetto all’interno di ambienti virtuali protetti (Riva, 2007, 2008).
  • Le diverse componenti dell’ambiente virtuale sono suscettibili di un ampio controllo da parte del terapeuta, così da consentirgli di stabilire, di volta in volta, quale grado di difficoltà presentare al paziente, in relazione alla valutazione di tempi e progressi.
  • Lo svolgimento delle attività in ambienti virtuali permette al terapeuta di trattare nell’immediato il disputing sulle credenze disfunzionali, più accessibili e vivide durante l’esposizione piuttosto che in un colloquio classico.
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Un limite può consistere nei tempi di attuazione dell’intervento, più lunghi, ma a favore di un apprendimento in profondità e quindi più a lungo termine.

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Differenti review e meta-analisi hanno considerato gli studi condotti su fobie specifiche, tra le quali, in particolare, la paura di volare, l’agorafobia, la paura di guidare, la claustrofobia, la paura dei ragni. Vi sono inoltre evidenze circa l’efficacia di questa metodologia nel trattare differenti disturbi psicologici (Wiederhold & Wiederhold, 2001; Parson & Rizzo, 2008) in particolare il Disturbo da Attacco di Panico con o senza agorafobia (Vincelli e Riva, 2002, 2007) e Disturbi del Comportamento Alimentare (Molinari e Riva, 2004).

I protocolli sperimentali e clinici stessi non possono prescindere dall’orientamento teorico, dalla relazione terapeutica che si instaura con il paziente, e dalle necessità del paziente  stesso. Allo stato dell’arte, la realtà virtuale in  psicologia clinica non è quindi considerata una terapia a sé stante, ma uno strumento utile, capace di mediare tra lo studio del terapeuta e il mondo reale (Riva, 2007).

 

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